Torino, ultimi anni dell’Ottocento. Sulla riva del Po si vede passeggiare un giovanotto. Ogni tanto si ferma e si china a raccogliere qualcosa. Tra le mani sta componendo un mazzolino di violette fresche, appena spuntate, destinato alla sua fidanzata, Antonietta. Il ragazzo vorrebbe stupire la sua amata donandole un ventaglio, o magari un ombrellino, tempestato di ametiste, ma non è possibile. I soldi in tasca non sono poi così tanti e si racconta che quelle pietre pregiate siano usate nientemeno che per ornare i gioielli delle regine. Soltanto a chi è di alto rango è consentito l’onore di indossare il colore viola che le caratterizza. Il mazzolino di violette ha poco a che fare con la preziosità delle ametiste, o di qualsiasi altra pietra dura, ma ciò è poco importante. Antonietta è felice di ricevere quel regalo fatto con il cuore. Usando l’essenza delle violette, la ragazza prepara delle caramelle dal gusto delicato. Il più delle volte, però, decide di conservare tra le pagine di un libro i soffici petali dei fiori che il suo innamorato va a raccogliere per lei allo scoccare di ogni primavera. Il viola di quei petali diventerà il colore distintivo dell’Antica Fabbrica Passamanerie Vittorio Massia, una bottega storica ancora oggi in piena attività a Torino.
Vittorio Massia era il nome del romantico cacciatore di violette. Lavorava nella bottega di passamanerie della sua famiglia. Con le mani sapienti e allenate a intrecciare fili, realizzava galloni, frange, alamari, nappe, mostrine. Insomma, tutte quelle guarnizioni che impreziosivano i tessuti usati per l’arredamento e l’abbigliamento delle illustri famiglie torinesi e per le livree dei loro domestici, nonché per le uniformi dei soldati e per i paramenti liturgici. Era stato il nonno Vittorio a fondare la bottega nel 1843: il laboratorio e il negozio erano collocati al pianterreno di un edificio costruito all’inizio di via dei Mercanti, mentre l’alloggio era al primo piano.
I Massia discendevano da una dinastia di tessitori ed erano artigiani “passamantieri”. Continuano ad esserlo tuttora, ma nel frattempo le cose sono cambiate. Nel 1880 il negozio si è spostato in via Giuseppe Barbaroux 20 ed è ancora lì, nel cuore del cosiddetto quadrilatero romano. Dal 2000 la produzione è stata trasferita da Torino a Pianezza, in seguito ai lavori di riadattamento di un’ex fabbrica di bachelite sita in lungo Dora Maria Bricca 20. Qui, nel 2001 è stato inaugurato anche il Museo della Passamaneria Vittorio Massia.
Oggi è il pronipote di Vittorio e Antonietta, Massimiliano “Max”, a essere a capo dell’azienda. L’Antica Fabbrica Passamanerie Vittorio Massia è la più longeva d’Europa e l’unica ancora attiva in Italia. Se si pensa che alla metà dell’Ottocento Torino vantava la presenza di ben duecento passamantieri, si comprende come il saldo legame famigliare, l’alta professionalità e la capacità di rinnovarsi, senza mai dimenticare la tradizione, siano state quelle marce in più che hanno consentito alla Fabbrica Massia di entrare nel nuovo millennio.
La storia della famiglia affonda le radici nella Torino del Seicento. Risale al lontano 1686 il primo documento in cui viene citato un Massia. Si tratta di Giovanni Battista, che figura tra i 138 firmatari dei Privilegi, Regolamenti e Statuti dell’Università de’ Mastri Mercanti Fabbricatori di stoffe, e drappi d’oro, argento e seta. Giovanni Battista operava all’interno dell’Albergo di Virtù, un istituto assistenziale fondato nel 1597, situato dapprima in via delle Rosine e poi in piazza Carlo Emanuele II, e finalizzato all’insegnamento di un lavoro manuale ai fanciulli di famiglie economicamente decadute. Nell’Albergo di Virtù lavoravano soprattutto mastri tessitori e filatori, aiutati da questi giovani che, dopo sei anni di apprendistato, potevano cercare lavoro all’esterno. Giovanni Battista, inoltre, fu il primo della dinastia a ottenere l’autorizzazione per la tessitura di velluti uniti. Il mestiere venne tramandato di padre in figlio, ma la ricostruzione della genealogia è assai difficoltosa, soprattutto tra Settecento e Ottocento, perché mancano i documenti, dispersi a causa della guerra. Ed eccoci quindi ritornare al fatidico 1843.
Racconta Max Massia:
Fu forse il mio quadrisnonno, nel 1843, a variare dall’attività di tessitura a quella di passamaneria, proprio nel periodo del suo boom. All’epoca le passamanerie erano richieste nell’arredamento, nell’abbigliamento, per le carrozze… e chi più ne ha più ne metta. Oltre a essere Fornitori della Real Casa, nel 1846 diventiamo anche fornitori di tutte le cordoliere e le mostrine per l’esercito regio ed è probabile che fornissimo i tessuti ancor prima di specializzarci nelle passamanerie.
Con il bisnonno di Max la produzione si svolgeva in via della Basilica 20, all’interno dello stesso palazzo in cui dal 1919 ebbe sede anche la famosa Ditta Penne Aurora. L’edificio fu spazzato via dai bombardamenti del 1943 e non venne mai più ricostruito. Dopo la seconda guerra mondiale, il nonno di Max, Giovanni, decise di concentrarsi di più sulla commercializzazione di passamanerie che sulla produzione e i macchinari furono accantonati. È stato Vittorio, figlio di Giovanni e padre di Max, a riattivare le attrezzature per imboccare la strada del restauro e della ricostruzione storica, che oggi costituisce la divisione Heritage dell’attività della Fabbrica Massia. Racconta Max in merito:
Lavoriamo per antiquari, collezionisti, musei e residenze storiche. Abbiamo curato l’allestimento delle residenze sabaude, da Palazzo Reale a Venaria, da Agliè a Racconigi. Siamo specializzati nei teatri. Siamo intervenuti sul Bolshoi di Mosca, sul Colón di Buenos Aires, sull’Opéra Garnier di Parigi. In Italia abbiamo fatto una settantina di teatri, tra cui il Bellini di Catania, la Fenice di Venezia, prima e dopo l’incendio, e il Carignano qui a Torino. Il sipario del Carignano era stato fatto dal mio bisnonno. In occasione del restauro del teatro, noi lo abbiamo ricostruito esattamente com’era in origine e lo abbiamo donato.
Altri committenti sono le compagnie teatrali, i gruppi storici e gli organizzatori di feste popolari, per i quali è fondamentale avere la certezza che i dettagli dei costumi indossati siano filologicamente corretti. E allora possiamo trovare l’intervento della Fabbrica Massia sulle divise del Gruppo Storico Pietro Micca e nelle sfilate del Palio di Siena e di Asti. Ma non solo: negli anni ’60 erano firmati Massia gli ornamenti interni dell’automobile papale e quelli della vettura del Presidente della Repubblica.
Più contemporanea è la divisione Day by day, che si focalizza invece su prodotti realizzati in esclusiva e sull’uso di materiali nuovi (neoprene, fibra di carbonio, fibre ottiche). Non mancano nemmeno le collaborazioni con le grandi firme dell’alta moda come Prada, Westwood, Dsquared, Armani, Cavalli, D&G, Fendi. Importanti sono poi le creazioni tese a modernizzare i manufatti classici. Dice Max:
ce n’è bisogno. Quando si parla di passamaneria subito si pensa a quelle frange tutte polverose che stavano sotto il divano della nonna!
Sono esempi di questa produzione i Tassel Brick, colorati bracciali per l’arredamento in cui i fili intrecciati si mescolano a piccole sculture create con i mattoncini LEGO, e i Cocktail Bracelet, lunghi soutache che si trasformano in eleganti braccialetti personalizzabili.
E le donne della famiglia? Anche loro negli anni si sono passate il testimone. Da Antonietta a Nella, per arrivare a Margherita, dal 1968 affiancata dalla signora Angela, sono loro a curare la parte di vendita al pubblico che si svolge in via Barbaroux. Il negozio è situato all’interno dello storico palazzo dei conti Giriodi di Panissera, dove Silvio Pellico si ritirò a scrivere Le mie prigioni subito dopo la scarcerazione dallo Spielberg. Dal 1880, anno di apertura del negozio, nulla è cambiato. Nel contesto della via, una delle più antiche della città, ben si inseriscono le raffinate vetrine e la sobrietà dell’insegna su cui campeggia il nome del fondatore. A questo proposito, diceva Giovanni ridendo:
Mio figlio l’ho chiamato Vittorio, è una tradizione della nostra famiglia: così di generazione in generazione risparmiamo sull’insegna.
Il locale di vendita è arredato con le antiche armadiature in legno di palissandro che ricoprono per intero le pareti. La parte superiore è caratterizzata dalla presenza di scaffali a giorno, o protetti da ante di vetro, in cui è esposta la merce dai colori variopinti. Nella parte inferiore, oltre ai cassetti, si trovano vani chiusi da ante piene. Il bancone corre tutto intorno alla sala e su di esso trovano posto un registratore di cassa americano e un bilancino. Due sedie Savonarola sono pronte per far accomodare gli acquirenti più indecisi. In questa atmosfera d’altri tempi non è difficile immaginare quello che raccontava Giovanni:
la principessa Iolanda di Savoia veniva spesso in bottega, si sedeva sul bancone e chiacchierava con mia madre.
All’interno di questa bottega storica tutta l’attenzione del cliente viene catturata dalla ricca esposizione dei prodotti. Tuttavia, si trovano appese alle pareti anche alcune stampe antiche tratte dalla celeberrima Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers di Diderot e D’Alembert, pubblicata tra 1751 e 1780. Raffigurano gli strumenti per la ritorcitura dei filati, i telai, gli orditoi utilizzati dai passamantieri, gli stessi su cui ancora oggi lavorano i dipendenti dell’azienda nella sede di Pianezza.
Per quanto riguarda la produzione, le collaboratrici della Fabbrica Massia si occupano delle lavorazioni più minute, al banco, come intrecci e nodi. La lavorazione industriale, che prevede la movimentazione di macchinari molto grandi e pesanti, è svolta da personale prettamente maschile. In generale, i collaboratori della Fabbrica sono laureati in Restauro e Storia dell’Arte,
ma la formazione vera e propria avviene all’interno dell’azienda. L’iter dura cinque anni, durante i quali si ricoprono tutte le mansioni, così da capire meglio qual è quella per cui si ha più attitudine.
Si segue perciò la tradizione di famiglia, che prevedeva che il passaggio dei segreti del mestiere potesse avvenire solo lavorando giorno dopo giorno all’interno della bottega.
Presso lo stabilimento di Pianezza è possibile visitare su prenotazione il Museo della Passamaneria Vittorio Massia. Si possono scoprire le varie tecniche e fasi della lavorazione e osservare i telai e le attrezzature tessili, risalenti a un arco di tempo che corre dalla fine del Settecento alla metà del Novecento. Inoltre, il museo conserva quasi duecento anime in legno tornito usate per confezionare fiocchi e bracciali, numerosi campioni di passamanerie antiche e una biblioteca di libri specialistici, dal XIX secolo a oggi, riguardanti la tessitura.
Scrive la studiosa Chiara Ronchetta:
L’origine dell’arte della passamaneria è antica, testimoniata da ritrovamenti in Egitto. Dall’Oriente, dove viene esercitata perlopiù per guarnire i tappeti, si è diffusa in Europa in seguito alle Crociate.
La creazione delle passamanerie è un’attività certosina: spesso per realizzare soltanto venti centimetri di prodotto non basta un giorno intero e due anni possono essere spesi sopra un unico gallone. La stessa preparazione dei macchinari può richiedere fino a sei mesi. Precisione e pazienza sono le virtù che un buon passamantiere deve sapere padroneggiare, perciò “non si può fare questo lavoro se non lo si ama”, afferma Max. Questo lo sanno davvero bene i Massia: da generazioni continuano a proiettare l’arte della passamaneria verso il futuro, maneggiando abilmente tessuti e fili, con un’attenzione particolare verso quelli viola. Ricordano il colore di quei fiori raccolti da Vittorio per la sua Antonietta sul finire dell’Ottocento.
👍 Un grazie per la disponibilità a Massimiliano Massia.