Nel ricercare informazioni su Bernardino Drovetti il biografo si imbatte in due personalità quasi opposte, a seconda che si consultino fonti italiane o inglesi. Uomo integerrimo o losco figuro, abile politico o cinico manipolatore, appassionato antiquario o scaltro affarista, studioso o avventuriero. Due persone, due storie sovrapposte, fino alla morte, velata di mistero.
Nato a Barbania il 7 gennaio 1776, Bernardino Michele Maria Drovetti si laurea in Legge a Torino nel 1794, e segue le orme paterne diventando notaio. Due anni dopo abbandona tuttavia la professione e, ottenuta la cittadinanza francese e sposata la causa rivoluzionaria, si unisce alla Grande Armée di Napoleone.
La sua carriera è particolarmente rapida. Nella prima campagna d’Italia (1797) a Mantova è al fianco di Gioachino Murat, al quale in una occasione salverà la vita. Partecipa come ufficiale alla campagna in Egitto (1798–1799). Nella seconda campagna d’Italia (1800) combatte a Marengo, e viene nominato comandante degli ussari piemontesi, per poi affiancare il generale Colli, capo di Stato Maggiore della divisione piemontese dell’Armata d’Italia.
La brillante carriera militare gli apre le porte della politica, e grazie ai buoni auspici di Murat e Colli, Drovetti ottiene da Napoleone Bonaparte l’incarico di console generale francese in Egitto. Drovetti si dimostra un abile diplomatico, e si guadagna la fiducia di Mehmet Alì, un ex generale ottomano e governatore dell’Egitto, che si è autoproclamato khedive (una specie di viceré) di Egitto e Sudan, con la tacita approvazione di Costantinopoli. Con l’appoggio di Drovetti, Mehmet Alì riesce a scacciare gli inglesi nel 1807 — ma non prima che gli inglesi abbiano tentato, senza successo, di uccidere Drovetti in un attentato.
Scampato il pericolo, Drovetti collabora a sedare la guerra civile nel 1811. La collaborazione fra l’Impero Francese e l’Impero Ottomano garantisce all’Egitto una stabilità che fa bene alla politica e ancora di più agli affari. I francesi contribuiscono a fondare e addestrare un esercito e poi una flotta egiziana (1815), e medici francesi aprono ospedali e vaccinano la popolazione contro il colera. Vengono istituite scuole con docenti francesi per la formazione di giovani egiziani. Agricoltura e commercio fioriscono, favorendo gli scambi con la Francia.
Curiosamente, è sempre grazie a Drovetti se Mehmet Alì riesce a inviare, nel 1826, una giraffa al Re di Francia come segno di stima. Né la cosa deve sorprendere: Bernardino Drovetti gestisce infatti anche un fiorente traffico di animali esotici verso le corti europee. Grazie a lui, il Khedive fa anche arrivare un elefante, Fritz, alla corte dei Savoia, come ringraziamento per le cento pecore che Carlo Felice aveva donato all’Egitto.
Ma la permanenza in Egitto risveglia in Drovetti una nuova passione, per le antichità. Compie un primo viaggio alle Grandi Piramidi di El-Giza per accompagnare François-René de Chateaubriand durante il suo viaggio da Parigi a Gerusalemme e insieme i due visitano anche “altri luoghi curiosi”. È invece accompagnando il colonnello Vincent Boutin, inviato di Napoleone, che nel 1811 Drovetti compie il primo viaggio nell’Alto Egitto, lungo la valle del Nilo.
L’interesse di Drovetti per le antichità egizie naturalmente non è un caso isolato: l’egittomania sta travolgendo l’Europa, in seguito al ritorno in patria dei militari che hanno servito in Egitto. Influenze “egiziane” compaiono nell’arte, nella letteratura e nella musica, e il pubblico è desideroso di sapere di più sull’antica civiltà del Nilo.
Il giovane console comincia quindi a collezionare avidamente reperti egizi, spesso facendo ricorso (secondo alcuni) a metodi meno che esemplari. Drovetti partecipa a spedizioni e scavi, ma non esita ad acquistare in blocco reperti forniti da altri “antiquari” e anche da volgari tombaroli.
Per contro Drovetti è pronto ad ostacolare “la concorrenza” di archeologi quali Henry Salt, Giovanni Battista Belzoni e Jean-Francois Champollion. È proprio Belzoni che riferisce di essere stato minacciato ed aggredito da due uomini di Drovetti, certi Antonio Lebolo e Giuseppe Rosignani, durante gli scavi a Luxor del 1818. E se molti studiosi escludono la responsabilità diretta di Drovetti nell’incidente, Belzoni la pensava diversamente. Successivamente Belzoni scamperà ad un tentato omicidio, ma se il cecchino che cerca di ucciderlo sia stato mandato da Drovetti o da Henry Salt, resta un mistero irrisolto.
Intanto l’astro di Napoleone è tramontato, ma Drovetti rimane in Egitto, viaggiando spesso in compagnia di vari studiosi. Con il mineralogista Frédéric Cailliaud visita le oasi tebane di Dakhla e Kharga (1819) e con il geografo Edme-François Jomard, già responsabile della missione culturale presso il Khedive, l’oasi di Siwa (1820). Le pubblicazioni che ne derivano gli valgono l’ammissione nell’Accademia delle Scienze di Torino.
Nel 1821 Drovetti ottiene un rinnovo dell’incarico come console generale in Egitto, questa volta a nome dei Borboni. Ciò gli permetterà di riprendere le proprie ricerche, e anche di mettere i bastoni fra le ruote a Champollion durante la spedizione del 1827–28.
Si tratta per Drovetti di vera passione per la nascente disciplina dell’egittologia, o solo di calcolo e opportunismo? Le opinioni a riguardo sono contrastanti. Drovetti non è certamente un archeologo secondo gli standard moderni della ricerca, ma di fatto tutti gli “antiquari” della prima metà dell’800 sono più saccheggiatori che studiosi.
Certo, Drovetti non esita a mettere sul mercato le proprie collezioni, offrendo alle autorità francesi i propri reperti. È l’esploratore Carlo Vidua ad intervenire, esortando Carlo Felice a fare un’offerta migliore…
pensando alla rarità e al merito di questa Collezione affinché il Piemonte non sia defraudato da un museo riunito da un Piemontese.
E Carlo Felice acquista così nel 1823, per 400.000 lire, la collezione Drovetti, che forma il nucleo del futuro Museo Egizio torinese. La collezione comprende 102 mummie, 95 statue e 169 papiri. Fra questi c’è uno dei documenti essenziali per lo sviluppo dell’egittologia moderna : il Canone Reale di Torino, una lista dei faraoni appartenenti alle diverse dinastie, proveniente da Luxor e risalente (si presume) al regno di Ramsete II (1300 a. C.).
Drovetti continua a raccogliere materiale e a rivenderlo. Nel 1827, è Carlo X di Francia che acquista per 250.000 franchi una seconda collezione Drovetti, oggi esposta al Louvre. Infine, nel 1836, Karl Richard Lepsius acquista per 30.000 franchi la terza collezione Drovetti, che viene trasportata in Prussia e sistemata nel Museo Egizio di Berlino. Si può dire che l’antiquario piemontese sia responsabile della nascita dei principali musei dell’Europa continentale.
Nel 1829 Drovetti chiede il congedo dal proprio incarico “per motivi di salute”, e torna a Torino. Quali che siano tali motivi (si suppone l’idropisia), non gli impediscono di viaggiare in Europa, tenendo conferenze e incontrando altri studiosi. Secondo alcune fonti, nel corso dei vent’anni successivi la sua stabilità mentale si deteriora sempre di più, e stando ad alcuni biografi, Drovetti viene confinato in un manicomio torinese, in San Salvario, dove muore il 9 marzo 1852.
Dà da pensare, lo strano caso di Bernardino Drovetti, a cosa il tempo restituisca di ciascuno di noi — un pensiero che Drovetti, galantuomo o avventuriero, ma comunque intimo dei faraoni, avrebbe certamente apprezzato. La sua tomba, in stile pseudo-egizio, opera di G. Albertoni, si trova a Torino nel Cimitero Monumentale.