Dal XII al XVIII secolo sul territorio italiano si concentrava la più grande produzione di seta in Europa. Dalla metà del XIX secolo la bachicoltura italiana ed europea fu seriamente compromessa dalla pebrina, una malattia allora sconosciuta e incurabile del baco da seta che ne compromette le capacità produttive. Fecero quindi la loro comparsa i semai, commercianti temerari che viaggiando per ogni angolo del globo si procacciavano seme-bachi (così venivano chiamate le uova del baco da seta) sano da rivendere ai bachicoltori europei. La meta preferita dai semai era ovviamente l’Estremo Oriente; soprattutto il Giappone, un paese allora assai poco conosciuto, che proprio in quegli anni si stava lentamente aprendo al resto del mondo dopo secoli di chiusura. Il Giappone vantava infatti una plurimillenaria esperienza nella produzione della seta e il seme-bachi giapponese si dimostrava essere più resistente alla pebrina di quello europeo.
Fu a partire dal 1864 che semai italiani cominciarono a organizzare spedizioni (all’epoca illegali) in Giappone, al fine di procacciarsi le uova di baco da seta. Ancora non esistevano trattati o accordi ufficiali tra l’Italia e il governo giapponese, allora retto dall’ultimo shogun Tokugawa, e dal 1862 al 1865 l’esportazione di seme-bachi dal Giappone era stata proibita.
Il primo trattato commerciale tra Italia e Giappone, che non soltanto riguardava il commercio del seme-bachi, ma interessava un largo numero di prodotti, venne finalmente firmato nel 1866 dal comandante e inviato plenipotenziario italiano Vittorio F. Arminjon, della pirocorvetta "Magenta", a bordo della quale si trovava anche l’allora giovane sottotenente di vascello Camillo Candiani d’Olivola. Durante la stessa campagna oceanica, a Pechino venne firmato un secondo trattato commerciale tra Italia e Cina.
Va probabilmente considerato il fatto che potessero esserci delle similitudini tra le vicende storiche che i due paesi stavano attraversando in quegli anni. L’Italia si andava consolidando come entità politica unificata, a seguito delle guerre risorgimentali, mentre il Giappone stava uscendo dalla sua chiusura al resto del mondo. L’imperatore Meiji, al comando dal 1867, diede il via alla restaurazione del potere imperiale riunificando e modernizzando il paese, con un processo che iniziò dopo più di un anno di guerra civile (guerra Boshin, dal 1868 al 1869), tra le forze imperiali e quelle fedeli allo shogunato Tokugawa. Inoltre, entrambi i paesi erano circondati da grandi potenze dell’epoca, desiderose di estendere il proprio potere politico ed economico su nazioni meno forti. Risultò quindi naturale che i due paesi, con storia recente simile ed entrambi con un ridotto peso politico a livello internazionale, cercassero alleati al proprio livello, al fine di consolidare la propria posizione politica ed economica.
Nel 1867 il conte Vittorio Sallier de La Tour venne nominato ministro plenipotenziario d’Italia in Giappone, con l’incarico, tra l’altro, di proteggere le attività economiche italiane (in particolare dei semai). A partire dalla fine del 1868 il governo italiano cominciò a far stazionare nel porto di Yokohama navi da guerra italiane, in particolare nei periodi di commercio del seme-bachi. Tra gli anni ’70 e ’80 infatti la pirocorvetta "Vettor Pisani" e la pirofregata "Garibaldi" effettueranno diverse stazioni in Giappone.
Terminata la guerra Boshin, il governo Meiji, che controllava ormai tutto il paese, iniziò le sue riforme radicali, a seguito delle quali il Giappone divenne in pochi anni una potenza sul modello occidentale. Nel 1871 era stato abolito in parte il potere feudale e nel 1872 si diede il via al rafforzamento militare del paese, con l’istituzione di un esercito moderno. Dal novembre 1871 al settembre 1873 una missione diplomatica e di studio senza precedenti, composta da 107 funzionari, tra cui alcune delle più alte cariche del governo Meiji, al comando di Iwakura Tomomi, ministro della destra, visitò gli Stati Uniti e quasi tutti i più importanti paesi europei (tra cui l’Italia).
Fortunatamente per l’Italia intanto, le relazioni diplomatiche con il Giappone erano iniziate nel migliore dei modi, cosa che favorì l’aumento di scambi economici e culturali tra i due paesi. Con il conte Alessandro Fè d’Ostiani, nuovo ministro plenipotenziario e successore di Sallier de La Tour, le relazioni italo-giapponesi migliorarono ulteriormente e i commercianti italiani riuscirono a ottenere dal governo giapponese agevolazioni che i loro colleghi britannici o statunitensi non erano ancora riusciti ad avere.
Il 23 agosto 1873, la regia pirofregata "Giuseppe Garibaldi" attraccò al porto di Yokohama, con a bordo il principe Tomaso di Savoia duca di Genova, in viaggio d’istruzione.
Anche l’allora trentaduenne luogotenente di vascello Camillo Candiani d’Olivola era a bordo come aiutante di campo del giovane Principe di Piemonte. Per lui si trattava della seconda missione in Oriente in generale e in Giappone in particolare. In una lunga lettera/diario, che sarà oggetto di ulteriore approfondimento su Rivista Savej, Camillo Candiani descrive con dovizia di dettagli ciò che accadde nei due mesi in cui la missione italiana, fu ospite dell’Imperatore del Giappone.
Nel 1879 il capitano di fregata Tomaso di Savoia-Genova e il capitano di corvetta Camillo Candiani ritorneranno insieme in Giappone, rispettivamente come comandante e vicecomandante della pirocorvetta "Vettor Pisani". La pirocorvetta italiana, al tempo di quella missione, divenne la prima nave da guerra occidentale a ricevere a bordo l’Imperatore del Giappone, Meiji.
Camillo Candiani, conte d’Olivola, signore di Montù dei Gabbi nacque ad Olivola (AL) l’11 ottobre 1841. Fu certamente un personaggio notevole, quanto a ingegno, cultura e anticonformismo, con una personalità che oggi definiremmo dominante. Primogenito di sette figli, nonostante fosse destinato a ereditare le fortune di famiglia, all’età di nove anni (nel 1850) venne avviato alla carriera militare.
Di lui sono state scritte e tramandate molte cose, alcune sicuramente romanzate, altre fanno parte della storia della Regia Marina Italiana della seconda metà dell’Ottocento. Le cronache della sua famiglia raccontano che avesse intenzione di sposare la figlia di sua sorella Maria Luigia, Eleonora Bongiovanni di Castelborgo, cui Camillo Candiani fa più volte riferimento nei suoi racconti di viaggio, ma la famiglia non lo permise. La ragione ufficiale fu che lui era ateo e anticlericale, mentre la nipote aveva ricevuto un’educazione di tutt’altro genere. Certo è che Camillo Candiani e sua nipote dovevano essere comunque abbastanza legati. Nel 1882, a 41 anni, sposò invece Secondina Desecondi, figlia di un notaio di Casale Monferrato (AL).
Camillo Candiani subiva facilmente il fascino femminile, e questo doveva sicuramente contribuire a rendere complicato il matrimonio. Della coppia erano noti i feroci litigi che si ebbero tra di loro. Mentre sembra che l’amore per i cani dev’essere stata una delle non molte cose che i due avessero in comune. Oltre che cani da caccia allevavano pechinesi, arrivando ad averne trentasei, che in casa occupavano i posti a sedere da padroni, anche a tavola, e guai a cercare di mandarli via.
L’originalità di Camillo Candiani si esternava in diverse maniere. Per qualche ragione, a un certo punto venne convocato d’urgenza a Roma, sede del Governo e del Ministero della Marina. Lui non aveva nessuna voglia di andarci e fece dire che era morto. Grande emozione negli ambienti della Marina, con scambio di telegrammi ecc., ma lui se ne stava tranquillamente nella sua casa di Olivola ad occuparsi della campagna.
Quando, al comando della Carlo Alberto, si recò a Tunisi in visita ufficiale al Bey, dovendo comunicare ai tunisini il nome degli ufficiali, come usava per lo scambio delle onorificenze, Candiani aggiunse in fondo alla lista il nome del suo cane. La famiglia conservò poi per anni una foto di quel cane con una gran decorazione appesa al collo.
In occasione di una visita alla base navale di Tolone, quando era al comando della corazzata "Sardegna", confidando nella velocità superiore della sua nave e nel perfetto addestramento dell’equipaggio, s’inventò una manovra così arrischiata da lasciare i francesi di stucco e seccatissimi. Venne poi il momento della sfilata a terra degli equipaggi. Sembra che la tradizione della marina francese del tempo volesse che i sapeurs, ossia i genieri, fossero barbuti. Quelli italiani non lo erano, e ciò dovette apparire indecoroso agli occhi del comandante Candiani, il quale fece quindi sfilare i suoi genieri con barbe finte.
Grande estimatore di vini, sembra che partendo per le sue missioni navali caricasse sulla nave un’abbondante scorta di damigiane di vino d’Olivola (particolarmente grignolino) non fidandosi evidentemente di quello che avrebbe potuto acquistare durante il viaggio
Completata la sua istruzione all’Accademia Navale di Genova, a 19 anni divenne guardiamarina. Ebbe il comando di diverse navi, tra cui l’incrociatore corazzato "Carlo Alberto", l’ariete torpediniere (incrociatore) "Piemonte", costruita in Inghilterra, e le corazzate "Sardegna" e "Caio Duilio". Nel 1898 con la "Carlo Alberto" (all’epoca nave ammiraglia), ebbe l’incarico di comandante di divisione navale oceanica, istituita anche per proteggere gli interessi nazionali nel continente americano in genere, e a Cuba e in Colombia in particolare. La squadra traversò l’Atlantico, visitò vari paesi dell’America Latina, per poi spingersi nel Pacifico — il Canale di Panama a quell’epoca non esisteva e si doveva circumnavigare l’America del Sud — fino alla California.
La "Sardegna" era una corazzata considerata ai suoi tempi un capolavoro dell’ingegneria navale. Camillo Candiani ne fu il primo comandante e pare ne fosse molto orgoglioso. Nel 1886 Camillo Candiani fu assegnato all’Ambasciata Italiana nel Regno Unito come addetto navale. In Inghilterra seguì la costruzione del "Giovanni Bausan", un incrociatore protetto o ariete torpediniere.
Camillo Candiani prese parte a diverse circumnavigazioni del globo, molto importanti dal punto di vista diplomatico e scientifico, come le già citate missioni con la pirocorvetta "Magenta" (febbraio 1866 — marzo 1868), con la pirofregata "Giuseppe Garibaldi" (novembre 1872 — ottobre 1874) e con la pirocorvetta "Vettor Pisani" (marzo 1879 — settembre 1881). Sia la campagna oceanica della "Magenta", che quella della "Vettor Pisani", furono lungamente documentate. Della circumnavigazione della "Giuseppe Garibaldi" non si conoscono diari, se non le già menzionate lettere, di recente pubblicazione, e che verranno riportate in ulteriori articoli su Rivista Savej.
L’ultima missione in Estremo Oriente di Camillo Candiani (Contrammiraglio dal 1895) fu tra il 1900 ed il 1901, come comandante della Forza Navale Oceanica in Cina in occasione della rivolta dei Boxer, in aiuto di alcune navi da guerra italiane di stazione a Tientsin. In quell’occasione Camillo Candiani venne incaricato di rappresentare l’Italia nel gruppo degli alti comandi internazionali, in quello che oggi verrebbe definito come “consiglio interforze”.
Nel dicembre del 1901, sulla strada di ritorno dalla Cina, Camillo Candiani venne nominato senatore del Regno d’Italia. Per breve tempo ebbe ancora il comando militare marittimo dell’isola della Maddalena e fu poi direttore dell’arsenale di Spezia.
Venne nominato viceammiraglio nel 1906 ed il 30 giugno 1910 fu collocato definitivamente a riposo. Si ritirò nella sua tenuta di Olivola, che alternava ai suoi impegni come senatore del Regno, preferendo probabilmente la quiete della campagna alla vita cittadina.
Morì ad Olivola il 19 febbraio 1919, all’età di 78 anni. Sua moglie gli fece fare un’importante tomba con monumento in bronzo nel cimitero di Casale Monferrato, ma non volle essere poi seppellita assieme a lui.
👍Per la collaborazione nell’inquadramento storico del periodo e delle relazioni Italia-Giappone si ringraziano il professor Giulio Antonio Bertelli dell’Università di Osaka e il dottor Tomaso Ricardi di Netro.