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Conversazione con Giovanni Tesio

Da Primo Levi alla letteratura contemporanea

Torinese di nascita e di adozione ma valsusina nell’identità e nel cuore, è dottore di ricerca in Filologia romanza. Nella prossima vita vorrebbe fare il liutaio e parlare correntemente otto lingue, di cui almeno tre scomparse; nel tempo libero però si accontenta di essere appassionata di musica, di strumenti musicali e di trascrivere manoscritti.

  

Giovanni Tesio è conosciuto come critico di arte letteraria, noto da tempo per i suoi studi sulla letteratura dialettale e sugli autori emergenti in questo ambito e, più recentemente, anche come poeta e come professore universitario; ultimamente lo abbiamo letto in corsivo, come interlocutore di Primo Levi nel libro ancora fresco di stampa Io che vi parlo (2016) e poco tempo prima nelle righe mozze della raccolta poetica di sonetti in piemontese Stantesèt sonèt [Settantasette sonetti] (2015).

Giovanni Tesio
Giovanni Tesio

Una mattina con l’autore

Copertina di
Copertina di "Io che vi parlo", 2016.

L’altra mattina il professor Tesio ha accettato di ricevermi in casa sua, a Torino, a due passi dal parco del Valentino. “Venga per le 11 per piacere, perché prima sarò fuori per la corsa”, leggo nella mail. Mi accoglie sulla porta e mi accompagna in una grande sala pressoché vuota di qualunque mobilio ma rivestita di libri su tutte le pareti, dal pavimento al soffitto. Si siede su una poltrona vicino alla finestra, accanto ad alcuni libri che probabilmente stava sfogliando prima di ricevermi; accanto, un tavolo tondo al quale mi accomodo io.

Inizio timidamente un discorso, perché non sono una giornalista e il mio lavoro non è intervistare le persone. Sono una chiacchierona e sono una persona che legge facendosi senza sosta domande e immaginandosi di poterle porre all’autore. Avere il privilegio di incontrare gli autori è qualcosa che cambia tutto, anche il senso dei libri stessi. Non è vero che i libri vivono da soli, o meglio: i libri vivono di vita propria, godendo talvolta anche di ottima salute; ma quando un autore è presente e vigile accanto alle sue opere e può anche parlare per raccontare se stesso e il suo pensiero, là le cose sono un po’ diverse, almeno per me.

Padre Giuliano Gasca Queirazza
Padre Giuliano Gasca Queirazza

Mi presento come allieva del professor Alessandro Vitale-Brovarone, filologo romanzo quasi coetaneo del professor Tesio, immaginando si conoscano. Mi conferma di sì, e noto una vena di affetto affiorare dai ricordi: mi racconta che si conoscono perché entrambi allievi, anche se con percorsi diversi, del padre gesuita Giuliano Gasca Queirazza (entrambi alla facoltà di magistero, Sandro allievo di padre Gasca da inizio a fine del suo percorso, Giovanni allievo di alcuni corsi). Giovanni ricorda padre Gasca con affetto e grandissima stima, sebbene poi lui, a differenza del padre gesuita filologo e linguista tout court, avesse deciso di imboccare la strada del critico; Gasca fu tra gli studiosi che per primi “dissodarono il terreno del dialetto” senza preconcetti, senza giudizi né etichette di valore.

Giovanni venne propriamente allevato accademicamente, nel suo cammino di studioso della critica letteraria, dal professor Bonora:

con immancabile serietà di studioso, ha avuto nei miei confronti un affetto che ha talvolta anche dimostrato, nonostante fosse molto schivo e per certi versi reticente e respingente. Il professor Gandolfo poi, vicedirettore del Centro Studi Piemontesi, uomo di fisionomia risorgimentale, mi ha avviato, in qualità di critico, agli studi piemontesistici.
Giovanni Tesio e Giordano Berti a Roddi d'Alba
A sinistra, Giovanni Tesio durante l’inaugurazione del percorso poetico a cielo aperto “Trifula bela, fa piasì contela” a Roddi d’Alba (CN) con Giordano Berti, 22 settembre 2012.
“Mi ritengo uno che ha combattuto parecchie battaglie. Che ne ha perse alcune e vinte altre. Devo avere una certa forza profonda, perché sono sopravvissuto ad Auschwitz, questa è una grossa battaglia. Anche come chimico ho sopportato sconfitte, ma ho vinto parecchie volte. Poi, come scrittore. Mi sono ritrovato a diventare uno scrittore quasi mio malgrado, ho aperto un capitolo nuovo. Mi è venuta addosso a scalini, prima in Italia poi all’estero, questa ondata di successo che mi ha squilibrato profondamente, mi ha messo nei panni di qualcuno che non sono io”.
Primo Levi, “Io che vi parlo”, pag. 69

Il piemontese come lingua madre

Già, perché il prof. Tesio è di lingua madre piemontese, e per lui l’italiano è stata la lingua da imparare e da amare con gli occhi e il cuore di chi guarda qualcosa di bellissimo e nuovo e se ne innamora. A guardare le cose dalla sua posizione il fanatismo verso i dialetti non ha senso di esistere (‘dialetto’, ci tiene a dirlo, è una parola, un’etichetta e, in quanto tale, è necessaria agli studi linguistici, ma quando lui la usa non intende nascondere gerarchie, e tanto meno professare disprezzo); per Giovanni c’è l’amore per qualcosa di naturale e materno, di posseduto gratuitamente, che si dà quasi per scontato fino a quando si sente di aver corso il rischio di perderlo, come un gioiello materno che si cerca e si ritrova in un cassetto.

Il professore mi cita a memoria una lettera che Pavese inviò a Cecchi dove si dice che i toscani hanno la presunzione di possedere la lingua, e dunque spesso la maltrattano, mentre per un piemontese, trattandosi di una lingua presa con passione il rispetto è maggiore. Lui l’italiano lo ha imparato in chiesa, a scuola, si tratta di un oggetto verso il quale il rispetto è grande. Ecco perché i sonetti sono in piemontese: “perché poesia è ferita che la parola deve suturare”.

“Il sonetto ingabbia ma libera, perché trattiene l’essenziale”.
Giovanni Tesio

Scrivere sonetti oggi

A novembre uscirà il suo canzoniere, Vita dacant e da canté, 369 sonetti in piemontese che ampliano l’opera già edita nel 2015. Perché il sonetto?, gli domando: perché il sonetto ingabbia ma libera, perché trattiene l’essenziale, mi dice. Certo la padronanza tecnica non dev’essere poca, penso io, tanto più in piemontese (al quale però io penso quasi come ad una lingua straniera, mentre per Giovanni è il contrario).

Il sonetto. E chi scrive ancora sonetti? Quasi nessuno, direi. Certamente non scrivono sonetti i poeti che oggi vanno per la maggiore, ed ecco che non riesco a trattenermi dal domandare al professore che cosa pensa di Guido Catalano, il fenomeno poetico torinese degli ultimi anni, recentemente assurto a fenomeno nazionale, come testimoniano le sue presenze sui canali Rai in prima serata. Con la gentilezza e la scientificità che lo contraddistinguono mi risponde, chiacchieriamo per alcuni buoni minuti, ci confrontiamo, mi mostra un programma di incontri letterari da lui pensato in cui Guido Catalano figura tra gli invitati e mi dice che…

No. Non lo voglio scrivere qui, perché il pensiero è profondo e Giovanni Tesio è critico letterario per professione, poeta nell’animo, e non sarò certo io a sostituire la sua voce con la mia. Lo invito invece a scrivere, e a raccontarci Guido Catalano e il fenomeno della sua poesia. Perché no, magari qui su Rivista Savej.

Copertina di
Copertina di "Stantesèt sonèt", 2015.

L’innocenza della letteratura contemporanea

Ecco che allora la nostra conversazione si sposta sulla letteratura emergente in generale, discorso che mi sta a cuore perché io, da scribacchina appassionatissima ma amatoriale, vorrei scrivere, ma una voce mi dice sempre che non posso. Che non posso perché prima di me ci sono stati Gregorio Magno, sant’Agostino, Prévert, Pedro Salinas, Steinbeck, Oriana Fallaci, Márquez, Primo Levi, Dino Buzzati, e tutte le strade sono state tracciate con maestria assoluta: la preghiera, il dialogo filosofico, la poesia, il romanzo, la testimonianza storica, il racconto… non posso, non posso, ci sono i grandi e i grandi ci guardano e i lettori non si devono e non si possono ingannare come se non lo sapessero che i grandi sono grandi e noi siamo piccoli piccoli e il tempo dovremmo impiegarlo meglio studiando che non scrivendo. Eppure: eppure se tutti la pensassero come me non ci sarebbero più libri nuovi. E allora il dilemma, scrivere o tacere, che per fortuna alcuni, per la gioia di tutta l’umanità, risolvono con lo scrivere. Giovanni Tesio mi cita uno dei finalisti al Premio Strega, Cognetti, con il romanzo Le otto montagne, dicendomi che “sembra ci sia un tentativo di ridare voce a qualcosa di più sorgivo del post-moderno”. E cosa c’è di nuovo?, chiedo io. “L’innocenza”, mi dice Giovanni. Ci vogliono innocenza e, aggiungo, una grande dose di passione, forse anche di incoscienza. E la letteratura in dialetto? E i piemontesi e il piemontese? Il piemontese e la sua letteratura stanno bene, c’è Remigio Bertolino, c’è Bianca Dorato, ci sono stati poeti come Costa, Pacòt, Olivero, Antonio Bodrero, Gustavo Buratti e molti altri ancora dice Giovanni; per me ci sono anche Giovanni Tesio o Nicola Duberti, mi dico. E chissà quanti altri che non hanno ancora trovato qualcuno che parli di loro. Ecco allora che c’è materiale anche per i nuovi critici letterari, nella speranza che li vadano a scovare, questi scrittori, e ce ne parlino.

L’incontro con Primo Levi

Oltre alla già annunciata raccolta Vita dacant e da canté, prossimamente uscirà anche una raccolta di saggi su Primo Levi. Sì, perché la storia degli studi che Giovanni ha dedicato a Primo non è cosa che si esaurisca in poche pagine, anzi. Quando Giovanni era studente lesse su un’antologia di testi allestita da Virginia Galante Garrone, edita da Mursia, una pagina di Se questo è un uomo. In quella pagina c’era qualcosa di diverso dal testo che lui ricordava di aver letto. Come mai? E così telefonò a Levi, componendo il numero di telefono trovato sulla guida telefonica, e Primo lo invitò presso di lui a parlarne. “Con Primo Levi s’instaurò un buon rapporto”; Giovanni ne apprezzava la precisione di linguaggio, quando scriveva ma anche quando parlava. All’epoca non si sarebbe accettata una tesi su Levi, ma Giovanni, a partire da allora, scrisse molte volte a questo proposito: prima su Studi Piemontesi, poi su Belfagor e così via. Questa raccolta di saggi renderà più facile il compito a chi li volesse rintracciare e leggere tutti.

Da autore a lettore

Il professor Tesio smette di essere critico e diventa puro lettore e appassionato sui libri delle sue due figlie, che apprezza e legge come fanno altri lettori, ma sentendosi più coinvolto. Dice di non essere mai stato il maestro di letteratura o di scrittura per le sue figlie e di essere piacevolmente sorpreso e felice nel leggerle: “Credo di essere un padre che non ha contato niente. Non sono stato un padre che, letterariamente, le abbia stimolate, accudite, aiutate in qualche modo”. Di Enrica soprattutto ama la scrittura, di Silvia la capacità di costruire storie.

Ritroveremo presto anche loro in libreria.

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Bibliografia

  • Levi P., Io che vi parlo, Torino, Einaudi, 2016.
  • Tesio G. (a cura di), Diffusione e conoscenza di Primo Levi nei paesi europei, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2005.
  • Tesio G., Stantesèt sonèt, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2015.
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