Sei piemontese se a un bot e mes ti presenti puntuale all’appuntamento, se chiedi un cicles o se prendi giusto un cicinin di caffè.
Per tutti gli altri c’è il DEP, un dizionario elettronico della lingua piemontese pensato per chi il piemontese lo vuole imparare e non continuare a fé na figüra da ciculaté.
Dizionario elettronico bilingue piemontese-italiano e italiano-piemontese, il DEP consta, al momento, di 22mila vocaboli piemontesi descritti con oltre 70mila significati, con verbi di cui son date coniugazioni e forme pronominali enclitiche.
Per ogni voce è dotato di una registrazione vocale eseguita da attori professionisti, in modo da conoscere la corretta pronuncia del vocabolo; è corredato inoltre da una ricchissima fraseologia che orienta il lettore all’utilizzo della parola attraverso i suoi usi più consueti e appropriati.
La voce di ogni singolo lemma è costituita da:
La fraseologia riporta i diversi esempi di significato che un lemma può normalmente avere. Questo significa mettere a disposizione un dizionario che risponda tanto alla domanda “che cosa significa questa parola?” quanto alla domanda “come si compone questo oggetto?”; significa quindi rendere conto di come un nome sussista in un insieme di cui faccia parte, per area semantica di appartenenza o perché parte di un oggetto complesso:
è per esempio il caso dell’aratro — "sloira" in cui la fraseologia riporta le parti costitutive dell’aratro stesso con esempi quali "bü dla sloira" — timone dell’aratro, "dental dla sloira" — dentale dell’aratro, "grija dla sloira" — orecchia dell’aratro e così via.
Così, insieme agli usi più comuni, i lemmi sono corredati delle collocazioni
"bür ransi" — burro rancido, "brö marià" — brodo sposato, ovvero “brodo contenente uova sbattute”,
in cui nome e aggettivo co-occorrono senza disponibilità a essere sostituiti con sinonimi (il burro è appunto rancido non amaro, così, meglio, come l’acqua è potabile e non bevibile); dalle frasi polirematiche
… e via discorrendo — "… e via fort";
e per complessità maggiore verso idiomatismi, cioè modi di dire cristallizzati nel tempo che non possono essere resi che attraverso una parafrasi:
"ün ch’a sa nen sì ch’a sa" che letteralmente suonerebbe come un non-senso del tipo "uno che non sa sì che sa", ma che ha per più semplice significato una resa più simile a “uno che non sa che cosa vuoi che sappia”, o meglio una tautologia comprensibile a tutti: “se una cosa non la sai, non la sai”.
Infine gli usi proverbiali, che accanto alla ricchezza del patrimonio linguistico specifico forniscono spesso la traduzione di proverbi dallo stesso significato in italiano, ma prodotti con materiale lessicale diverso, come:
prendere due piccioni con una fava — "marié na fija cun dui gëner" (che letteralmente sarebbe traducibile come “sposare una figlia con due generi”).
La traduzione della fraseologia dal piemontese all’italiano è uniformemente letterale, per rendere conto dell’uso della lingua. Non sempre perciò è immediatamente comprensibile il significato di una locuzione o di un modo di dire, come invece avviene in una frase del tutto corrispondente alla sua traduzione in italiano, ad esempio:
"Esse alégher" — Essere allegro
Ci si è serviti spesso dell’uso delle parentesi quadre ([…]) per specificare il significato in italiano, per esempio:
"Avej un cativ döit" — Avere un cattivo garbo [Essere sgarbato]
"Mes alégher" — Mezzo allegro [Brillo]
in cui la traduzione letterale, di non immediata comprensibilità, è corredata dal significato preciso della locuzione. Tra parentesi quindi, il lettore troverà tradotto il significato, come sopra, ma anche sinonimi o rese lessicali di locuzioni polirematiche, come in
"Dé el bianc a le müraje" — Dare il bianco ai muri [Imbiancare]
o in modi di dire:
"Na pcita alegrìa" — Una piccola allegria [Breve ricreazione; festicciola]
o il significato di proverbi o frasi proverbiali difficilmente comprensibili altrimenti, come
"Le alegrìe dla cativa gent a düro poc" — Le allegrie della gente cattiva durano poco [Prima o poi i nodi vengono al pettine]
Il Dep è nato inizialmente come strumento ausiliario al correttore ortografico piemontese, ideato dal dottor Enrico Eandi — presidente della Fondazione Savej oggi intitolata a suo nome come Fondazione Enrico Eandi — per sopperire ai dubbi relativi alla grafia elaborata a partire dalla grammatica del professor Bruno Villata.
La base dati del correttore è stata poi utilizzata per dare forma all’attuale Dizionario Elettronico Piemontese.
Le potenzialità della rete consentono di lavorare quindi contemporaneamente su correttore e dizionario: sulle lacune ancora presenti in quest’ultimo, sulle eventuali correzioni da apportare. Consente inoltre di arricchire il DEP delle diverse sfumature o varianti che molti lemmi comportano nel piemontese e che di area in area possono mutare anche di poco.
Allo stesso tempo è possibile proseguire nella sua implementazione tanto nella ricerca dizionariale quanto nel recupero di gerghi (come i modi di dire della malavita) o linguaggi settoriali (come quello manifatturiero, edilizio, contadino ecc.) che fanno parte di un repertorio linguistico e di un patrimonio culturale difficilmente ora accessibile, sia per la perdita di molti mestieri e di relativi strumenti, processi, operazioni, sia pure per la mancanza o la esiguità di testimonianze scritte che ne abbiano tramandato il lessico precipuo.
Il Dep non è quindi un universo chiuso di parole e significati, ma un dizionario con possibilità di implementazione continua, che permette di rende conto di una lingua parlata da generazioni e ancora del tutto vitale, patrimonio della gente del Piemonte, e accessibile a chiunque nel mondo si interessi per diletto o per studi alla lingua piemontese.