Nella prima periferia della città di Torino, più precisamente a Collegno, due piccole vie parallele intersecano Corso Francia, il corso rettilineo più lungo d'Europa: la prima porta il nome di Luigi Pasteur, la seconda invece è intitolata a Edoardo Perroncito. Una vicinanza geografica affatto casuale, infatti se il primo è noto ai più per le sue scoperte nell'ambito della chimica e della microbiologia, il secondo, oggi ingiustamente dimenticato, di Pasteur fu stretto collaboratore.
Edoardo Perroncito, nato da un calzolaio e una sarta nel 1847 a Viale d’Asti, fu veterinario, laureato alla Regia Scuola Superiore di medicina veterinaria di Torino, assistente nell’Istituto di anatomia patologica e patologia generale, e poi professore all’Università di Pisa di patologia generale e anatomia patologica veterinaria. Nel 1879 ottenne la prima cattedra italiana di parassitologia, istituita presso la facoltà di Medicina e Chirurgia di Torino, a partire dalla quale tale disciplina fu riconosciuta come a sé stante. Una volta in pensione, fu presidente dell’Accademia di Medicina di Torino, della Reale Società e Accademia veterinaria italiana, presidente onorario della Société zoologique de France e, dal 1898 al 1902, direttore della Scuola superiore di medicina veterinaria di Torino.
Per i piemontesi che si trovarono a lavorare alla fine dell’Ottocento agli scavi delle gallerie del San Gottardo, tra il Ticino e la Svizzera tedesca, Perroncito non fu un personaggio secondario: i minatori, costretti a lavorare agli scavi rimanendo sotto terra talvolta per giorni, mangiando e dormendo nell’umidità sotterranea, senza poter venire a contatto con la luce del sole, sviluppavano una malattia che in poco tempo li uccideva.
In un primo tempo attribuita all’aria malsana e più in generale alle pessime condizioni ambientali, la cosiddetta “anemia dei minatori”, in Piemonte conosciuta come “anemia del Gottardo”, fu invece ricondotta da Perroncito alla giusta causa; per via dell’accumulo nei cunicoli rocciosi di feci e rifiuti, si sviluppava un verme parassita che attaccava il corpo dei minatori annidandosi nell’intestino. Perroncito studiò quindi il parassita, sperimentando su di esso diversi modi per combatterlo e pervenendo finalmente a una cura, che fu poi salvifica non solo per i piemontesi impegnati in Svizzera, ma per tutti i minatori di diverse zone d’Europa. Questa sua scoperta gli valse dunque fama internazionale.
A una ricerca attenta tra le pagine di Google, troviamo il nome di Edoardo Perroncito citato in alcuni libri scientifici scritti in inglese, in cui il nome del nostro compare a fianco di quello, decisamente più illustre, di Louis Pasteur.
Di Pasteur inoltre utilizziamo il nome indirettamente e spesso, anche senza saperlo: quando diciamo che il latte è pastorizzato ci stiamo riferendo a un avvenuto processo chiamato pastorizzazione non in virtù di una qualche parentela con la parola “pastore” (anche se parlando di latticini l’idea non ci sembra poi assurda), come la sterilizzazione ha a che fare con qualcosa che viene reso sterile. La pastorizzazione, che a rigor di logica linguistica dovrebbe creare pastori o far diventare tali (!), è invece il processo che permette di risanare una data sostanza dai batteri in essa contenuti, agendo sulla variazione di temperatura. Il nome deriva dal suo scopritore, Louis Pasteur appunto, che in origine stava effettuando ricerche sul vino, incoraggiate nientepopodimeno che da Napoleone, al fine di evitare che il vino si deteriorasse quando veniva trasportato per la vendita. La stessa tecnica di pastorizzazione fu da Pasteur applicata con successo anche alla birra e ai latticini, permettendo così che si evitasse non solo il deterioramento dei preziosi prodotti, ma anche il propagarsi di malattie che i batteri in essi presenti provocavano nell’uomo.
Nel periodo in cui Perroncito otteneva importanti risultati studiando e curando l’anemia dei minatori, in Francia Louis Pasteur sperimentava una profilassi per curare il carbonchio, una malattia allora letale per tantissimi capi di bestiame, ovini e bovini, e che veniva poi trasmessa anche all’uomo. Per via dell’interesse strategico che questa ricerca rivestiva anche per l’Italia (pena la perdita di bestiame, con danni per l’economia), il Governo italiano incaricò ufficialmente Perroncito di andare in Francia e collaborare con Pasteur, seguire e valutare le esperienze del più anziano chimico e imparare la maniera migliore per vaccinare il bestiame e gli esseri umani. L’esperienza in Francia al fianco di Pasteur fu positiva, e Perroncito fu talmente persuaso dell’efficacia del metodo pasteuriano di ricerca basata sulla profilassi di vaccini che fondò a Torino, nel 1887, il “Laboratorio Pasteur”, con lo scopo di studiare per l’Italia una cura contro il carbonchio. Da questi studi risultò il vaccino anticarbonchioso, che permise dunque di sconfiggere anche questa malattia.
Nella propaganda pro-vaccini, per convincere le persone a sottoporsi alla profilassi e a sottoporre le proprie bestie, Perroncito fu sostenuto dall’amico Giovanni Battista Bottero, allora direttore della Gazzetta del Popolo, medico, nato a Nizza ma anche lui piemontese. La Gazzetta promosse infatti in quegli anni un’attività di persuasione della beneficità dei vaccini che aiutò l’Italia ad adottare la cura su larga scala.
Dall’esperienza congiunta tra Perroncito e Pasteur nacque un’amicizia e le collaborazioni continuarono, soprattutto nella battaglia contro il colera che uccideva i polli. Di tutte queste collaborazioni scientifiche, tramutatesi poi in amicizia, non rimane apparentemente più traccia, e la cosa sembra insensata; credo sia verosimile ipotizzare che le tracce scritte di questa collaborazione siano da ricercarsi nei fondi archivistici che raccolgono le rispettive corrispondenze del Perroncito e del Pasteur, tra le quali certamente giacciono anche le tracce di una pagina di storia della scienza.
Non è da escludersi che il Perroncito sia stato parte attiva in alcune delle scoperte poi unicamente attribuite al più celebre chimico francese; non sembra infatti insensato pensare che possa esser stato proprio un veterinario, per di più giovane e dunque all’avanguardia del tempo circa i metodi e gli studi in corso, a suggerire a Pasteur alcune utili osservazioni in campo zoologico (Pasteur, come abbiamo detto, era invece chimico).
Si armino quindi di pazienza e passione gli studiosi che volessero intraprendere ricerche più approfondite su questo personaggio così centrale nella storia della scienza moderna italiana, e anzi, piemontese. Le sue opere rimangono tutte da studiare, così come ciò che riguarda la sua biografia.