Se oggi riuscissimo davvero a immedesimarci in un lettore di quasi 125 anni or sono, quando il mondo era immenso e poco conosciuto e tanto più lo era il quinto continente, l’Australia, saremmo parzialmente in grado di condividere l’emozionante stupore di chi, nel 1894, lesse il romanzo Il continente misterioso di Emilio Salgari. C’è anche da considerare che il genere avventuroso made in Italy, che proprio Salgari stava creando, costituiva una novità capace di accendere forti entusiasmi e la rutilante scrittura salgariana esercitava un fascino che oggi è pressoché impossibile rivivere, tanto sono cambiati i tempi.
Il continente misterioso inizia con un dialogo tra due marinai da poco giunti in Australia per una pericolosa missione. Un dialogo lungo, che catapulta immediatamente nella paradossale location, dove, si dicono l’un l’altro i due marinai, tutto è estroso e inquietante: gli alberi non danno ombra perché le foglie crescono di traverso, le ortiche sono alte come alberi e i pioppi sembrano arbusti, i serpenti hanno le ali e i grossi uccelli non volano, strani animali con il becco d’anatra allattano i cuccioli mentre altri più strani ancora hanno zampe disuguali, procedono a salti e nascondono i piccoli in tasca. Se si aggiunge che i due marinai, mastro Diego e il giovane Cardozo, avevano già letteralmente entusiasmato i lettori in un romanzo di poco precedente, Il tesoro del presidente del Paraguay (Torino, Speirani, 1894), il quadro diventa piuttosto chiaro, per quanto riguarda l’eccitazione del lettore del tempo.
Copertina de “Il continente misterioso” con alcune illustrazioni del noto pittore torinese Giovanni Battista Carpanetto.
Naturalmente Diego e Cardozo dialogano come probabilmente avremmo fatto anche noi al loro posto, ma esiste un altro personaggio, nel romanzo, che funge da enciclopedia ambulante e, pure lui dialogando con i suoi eroici ma sprovveduti compagni di avventure, spiega loro (in realtà ai lettori, soprattutto ai più giovani) ogni minimo particolare della fauna, della flora, della storia e del folclore (e molto altro) relativi all’Australia.
Era il modo, mutuato da Jules Verne e dagli altri suoi maestri, con il quale Salgari otteneva il preciso scopo di istruire divertendo senza risultare troppo noioso. D’altra parte, poiché nulla si crea e nulla si distrugge, anche lui necessitava di fonti e ispirazioni allo scopo di “creare” il genere avventuroso italiano. E nessuno, allora, conosceva il suo incessante e certosino lavoro di documentazione, svolto, tra l’altro, sul famoso Giornale Illustrato dei Viaggi e delle Avventure di terra e di mare, pubblicato da Sonzogno. E queste considerazioni sono valide, in generale, anche per gli altri suoi romanzi.
Istruire divertendo era ciò che si proponevano moltissimi editori dell’epoca (e non solo), soprattutto l’editore torinese Paravia che pubblicò Il continente misterioso mettendo per la prima volta sul libro paga Emilio Salgari.
Paravia gli richiese appunto una collaborazione particolarmente istruttiva e diretta ai giovani, così da indurlo a trascurare quel genere appendicistico, ossia popolaresco e con forti componenti passionali, che aveva caratterizzato la sua fortuna precedente, in particolare veronese.
Il romanziere era già attivo a Torino dalla fine del 1893 presso gli editori Speirani, presso i quali avrebbe operato sino al 1897, già instaurando il genere richiesto dagli educatori del tempo, tanto più che Giulio Speirani & Figli operavano in ambito cattolico. E a Torino si era trasferito proprio sul finire del 1893 proveniente da Verona, sua città natale. Aveva 31 anni e portava con sé la moglie Ida Peruzzi, incinta del secondogenito Nadir (nato a Torino il 18 gennaio 1894), e la figlia Fatima, ancora nella culla.
La Ditta Paravia era molto nota nell’ambito del rinnovamento pedagogico sin dalla accorta gestione di Giorgio Paravia, che aveva ereditato l’attività dal padre Giovanni Battista Paravia, per poi diventare un importante punto di riferimento nell’ambito educativo, scolastico e scientifico. Già nel 1888 la Ditta era presente all’Esposizione generale italiana a Londra con una varietà molto ricca di materiale cartografico e geografico, ivi compreso il Nuovo Atlante geografico ad uso delle scuole primarie e secondarie. Particolare che ricordiamo per una ragione precisa, come vedremo. In quel 1894 la prestigiosa Ditta era diretta principalmente da Carlo Vigliardi Paravia coadiuvato dai suoi cinque fratelli, impegnati anche nelle numerose filiali diffuse sul territorio nazionale.
Il continente misterioso comparve nelle librerie non solo in veste molto elegante, sia nella versione legata in tela con placca oro, sia in quella in brochure, ma anche con due notevoli particolarità: le illustrazioni del noto pittore torinese Giovanni Battista Carpanetto, che già aveva illustrato le precedenti avventure dei due marinai pubblicate dagli Speirani, e una carta geografica dell’Australia realizzata dall’altrettanto noto cartografo Domenico Locchi. Quest’ultimo particolare, non trascurabile, sarà poi imitato da altri editori di Salgari, perché assegnava all’opera un preciso connotato culturale.
L’accoglienza del pubblico — riservata peraltro a tutte le opere di Salgari — fu buona: la seconda edizione apparve nel 1895 e la terza nel 1899, per giungere alla settima nel 1909, l’ultima che Salgari, morto nel 1911, poté vedere. Poi si ebbero altre ristampe (l’ottava nel 1913), sino alla tredicesima nel 1924, finché, nel 1927, il romanzo fu riscattato dai figli di Salgari che lo consegnarono a nuova e lunga vita presso altri editori insieme al resto dell’opera paterna.
L’esordio non poteva che arridere a ulteriori novità presso Paravia, il quale assisteva con interesse al dilagante successo dell’opera di Salgari presso i colleghi, non soltanto nella stessa Torino, dove gli Speirani stavano ottenendo riscontri eccezionali pubblicando, oltre ai romanzi, racconti e novelle sulle loro riviste, ma anche presso uno tra i maggiori editori italiani, Treves di Milano, che proprio nel 1894 aveva dato alle stampe I pescatori di balene.
Fu così che nel 1895 Paravia pubblicò ben tre nuovi lavori di Salgari: un romanzo, una traduzione dal francese e una bizzarra versione, pure dal francese, d’un capolavoro del genere “avventure eroicomiche”. Il nuovo romanzo ebbe un titolo sorprendente: Al polo australe in velocipede.
L’impresa annunciata dal titolo riguardava una parte del mondo persino più affascinante dell’Australia, il Polo Sud, all’epoca praticamente sconosciuto, ricco di leggende e di miti in ambito letterario, poiché se ne erano occupati in precedenza Edgar Allan Poe e Jules Verne, entrambi maestri di Salgari. Si aggiunga l’aspetto avveniristico, sia riferito alla conquista dell’Antartide, che avrà luogo soltanto nel 1911 (anno della morte di Salgari), sia per l’uso di una “macchina” portentosa, un velocipede con otto ruote, fornito di caldaia a vapore, nonché attrezzato per portare tre uomini (quanti sono i protagonisti del romanzo), e un carico di due quintali. Quel prodigioso marchingegno poteva viaggiare alla velocità di trenta miglia all’ora ed era congegnato persino in modo da essere diviso in tre biciclette separate per l’uso normale. Se si aggiunge ulteriormente la presenza di un mammut ancora vivo, l’avventura non poteva essere più avvincente.
Concepito, come Il continente misterioso, con intenti divulgativi e senza presenze femminili, il volume fu ancora arricchito con una carta geografica di Domenico Locchi e fu illustrato da Giuseppe Garibaldi Bruno, un ufficiale di marina datosi alla pittura. L’accoglienza del pubblico fu tutt’altro che deludente, con nuove edizioni nel 1896, 1897, 1899, sino alla sesta edizione nel 1911 ed altre postume (l’ultima risale al 1924), per poi passare a editori diversi.
Nel 1962 il compianto esploratore polare nonché scrittore e giornalista Silvio Zavatti ha scritto:
Nel libro i riferimenti storici sono esatti, la terminologia glaciologica polare perfetta e l’informazione segue fino allo scrupolo le conoscenze dell’epoca.
L’accennata traduzione dal francese, che vide per la prima volta Salgari impegnato in un lavoro del genere, non era destinata ad altrettanto successo e può inserirsi tra i lavori cosiddetti “alimentari” del romanziere, con moglie e due figli piccoli da mantenere. Si trattò di Valor di fanciulla, un romanzo marinaresco di Ferdinand Calmettes, intitolato Brave Fille (1890) e riferito alle vicissitudini un po’ sdolcinate di una coraggiosa ragazzina, Elisa Hènin, e del suo cane Barbet.
In una lunga e anonima recensione apparsa sulla torinese Gazzetta del Popolo della Domenica in data 1 marzo 1896 si legge fra l’altro:
La accurata ed elegante versione che ne ha fatto E. Salgari conserva il sapore originale di nitidezza, spigliatezza ed efficacia di stile che sono nel testo francese.
Pubblicato anche in edizione economica, ottenne la prima ristampa nel 1900, ma soltanto nella seconda nel 1904, quando Salgari era già famoso, sul frontespizio comparve l’esatto nome di battesimo, in precedenza indicato come “Enrico”, forse per ritrosia del nostro Emilio, che risulta peraltro correttamente indicato anche nelle successive ristampe del 1910, 1911 e in quelle postume.
Per l’altro romanzo francese affidato alle sue cure nello stesso anno, sarebbe riduttivo parlare di semplice traduzione, poiché Paravia (non è pensabile un’iniziativa personale del traduttore) chiese una cosa stupefacente che è rimasta sconosciuta sino ai primi anni di questo secolo, quando chi scrive ha effettuato un confronto tra l’originale francese e il testo torinese, così che si è ritenuto interessante riproporre l’opera nel 2007. Il romanzo in questione è Flamberge au vent, di Henry de Brisay, illustrato da Jacques Onfroy de Brèville, che si firmava Job. L’edizione italiana s’intitolò Spada al vento e mantenne le illustrazioni originali.
Ambientato nel 1732 in Francia e principalmente a Parigi, conteneva avventure di cappa e spada di genere eroicomico, con tanto di cavallo con problemi intestinali. L’editore lo concepì come strenna natalizia per la gioventù e desiderò che Parigi e dintorni fossero sostituiti con Torino e dintorni. Ciò avrebbe comportato una conoscenza non comune della Torino del secolo precedente (toponomastica, nomi di locande ecc.), con un’enorme serie di varianti piccole e grandi, praticamente in ogni pagina. E Paravia poteva comunque fornire un folto gruppo di interessanti pubblicazioni sull’argomento per documentarsi.
Salgari accettò la sfida ed effettuò un ottimo lavoro, aggiungendo un bel po’ di suo e omettendo qualcosa. Le sue generalità, in veste di traduttore, apparvero con la sola iniziale del nome di battesimo, a causa della consueta ritrosia, eppure i suoi interventi furono interessanti e particolareggiati così, ad esempio, da sostituire il vino Bourgogne con un eccellente Gattinara!
Quando il romanzo è stato riproposto nel 2007, sul frontespizio sono comparsi, come autori, i nomi Emilio Salgari e Henry De Brisay affiancati, come giusto e tardivo riconoscimento, tanto più che per quel lavoro non era esistita prima la possibilità di un corretto giudizio.
E si arrivò, nel 1896, al terzo volume ufficiale di Salgari, che Paravia pubblicò con la consueta eleganza e l’immancabile carta geografica: Nel paese dei ghiacci, contenente due romanzi brevi: I naufraghi dello Spitzberg e I cacciatori di foche della Baia di Baffin.
Illustrate con incisioni ottocentesche, erano avventure mozzafiato che confermavano l’entusiasmo dell’autore per i viaggi nelle zone nordiche, così che l’accoglienza eguagliò quella dei due romanzi precedenti, con numerose ristampe, arricchite persino con nuove illustrazioni di Alberto della Valle, e cessate nel 1926.
Nel 1897 Salgari si legò in esclusiva con l’editore Donath di Genova e il rapporto con Paravia ebbe termine. Non del tutto, però.
Assillato da necessità economiche, il romanziere, qualche anno dopo, iniziò a eludere con uno stratagemma l’esclusiva, cedendo ad altri editori opere di minor impegno firmate con pseudonimi e una di queste fu accolta da Paravia nel 1900: firmata “G. Landucci” e intitolata Avventure fra le Pelli-Rosse, fu illustrata dal già citato Giuseppe Garibaldi Bruno. Ispirata ad un’opera di Robert Montgomery Bird, non corrispondeva ai soliti livelli salgariani, ed è agevole riscontrarne le carenze, causate appunto dalla scrittura effettuata tra un lavoro ufficiale e l’altro, ossia frettolosamente nel tempo libero.
Tuttavia il genere creato in Italia da Salgari conosceva successi incredibili, tali da consentire la fortuna persino di molti inadeguati imitatori: e così anche questo romanzo firmato “Landucci” ebbe una ristampa nel 1909 e altre postume, sino a quella del 1924, quando comparvero in copertina le esatte generalità. Passato poi all’editore Sonzogno e via via ad altri, il debole romanzo ha conosciuto fortune non da poco, avendo come viatico, appunto, le generalità dell’autore.
Esse sono comparse anche successivamente in altre opere pubblicate dal prestigioso editore torinese molti anni dopo la morte di Salgari. Si tratta di Emilio Salgari racconta ai bambini la storia di Mago Magon (1938), Le nuove mirabolanti avventure di Mago Magon più forte del leon (1939), I ribelli della montagna (1940) e L’indiana del Monti Neri (1941).
Le prime due furono illustrate dal pittore fiorentino Piero Bernardini e furono concepite come testi derivanti da una lunga favola che il romanziere avrebbe raccontato ai figli quand’erano piccoli, prima di andare a letto, e la favola è riferita, nella parte iniziale, a un bambino speciale nato con la barba e perciò cacciato dalla reggia del padre per vivere in libertà fiabesche avventure.
Le altre due opere, illustrate dall’egregio artista torinese Beppe Porcheddu, comparvero come romanzi tratti da trame lasciate dall’autore. Si tratta di quattro opere, ben congegnate e accolte altrettanto bene, realizzate (con l’aiuto di Giovanni Bertinetti) dal figlio quartogenito di Emilio, il torinese Omar Salgari, diventato a modo suo continuatore dell’opera paterna.