Se si volesse rintracciare nella vita di Eugenio Treves un anno più intrigante del solito, si potrebbe pensare al 1924, ma soltanto per via di una serie di avvenimenti che, se risultano circoscritti in Vercelli, dove insegnava e scriveva, hanno tuttavia il pregio di rendere un’idea dei vari livelli sui quali si sbizzarriva quella sua poliedrica attività culturale che ha edificato un profilo di studioso ampiamente riconosciuto da un numero importante di scrittori ed editori del suo tempo.
Il primo avvenimento, che potremmo definire giocoso, ha a che fare con il famoso Giornalino della Domenica, fondato nel 1906 a Firenze da Luigi Bertelli, noto come Vamba, e pubblicato da Bemporad. Sulle pagine di quel glorioso settimanale, già oggetto di innumerevoli studi, anche per essere stato per molti versi promosso dall’ingombrante ma breve presenza di Emilio Salgari, si era formata la generazione che avrebbe pagato un enorme contributo di sangue durante il Primo conflitto mondiale. La ragione è che quelle pagine avrebbero man mano veicolato messaggi di autentico irredentismo. I giovani lettori, uniti tra loro da uno spirito che nessun altro giornale per la gioventù ha saputo instaurare, avevano fondato ben presto una laboriosa “Associazione dei Grilli”, con sezioni in tutta Italia, alla quale gli associati avrebbero continuato ad aderire per tutta la vita, anche dopo la morte del Giornalino.
In quel 1924, ormai esaurito il suo percorso, il settimanale, già cessato due volte e poi sempre resuscitato, stava appunto per chiudere definitivamente i battenti. Però la sezione vercellese dei “Grilli”, capitanata da Eugenio Treves, organizzò a maggio una fortunata rappresentazione al Teatro Verdi. Per l’occasione Treves aveva scritto una fiaba scenica intitolata La cassetta di cristallo, e uno scroscio di applausi accolse sul palco il serioso professore, quasi irriconoscibile, nelle vesti di un mago squisito dicitore del proprio testo fiabesco. Tra il pubblico c’era Giuseppe Fanciulli, prolifico scrittore, giornalista, critico letterario e, sin dall’inizio, colonna portante del Giornalino con lo pseudonimo “Mastro Sapone”.
Qualche mese dopo, il 12 novembre 1924, Fanciulli indirizzò una lettera a Treves, firmandosi “Pino”, sia per ringraziarlo per aver recensito sulla rivista Lidel il suo Tempo delle Rose (romanzo per giovinette), sia per sollecitare la ripresa della sua collaborazione al Giornalino. Nel frattempo (stesso anno) l’editore vercellese Gallardi & Ugo aveva dato alle stampe il libro Il pellegrino sconosciuto — Cinque fiabe, in tiratura limitata a 99 copie non venali: un generoso omaggio di Treves destinato agli amici e riferito a un genere letterario che gli era particolarmente congeniale per le connotazioni legate alla tradizione popolare e a intenti formativi e di crescita morale.
A dimostrare quanto fosse elevata la considerazione nei suoi confronti in città, fu inaugurato, proprio nel 1924, l’imponente monumento ai caduti di Vercelli, opera di Attilio Gartman, un complesso gruppo scultoreo in cui il sacrificio di una donna è affiancato dalla fiera e ben modellata figura di un soldato. E le epigrafi sulle quattro facciate erano state dettate da lui.
Monumento ai caduti di Vercelli, opera di Attilio Gartman.
Nessuno, infatti, aveva dimenticato, tra le autorità cittadine, che Treves, già arruolatosi come volontario nel 1915 nella Croce Rossa Italiana senza obblighi di leva, aveva poco dopo raggiunto la zona di guerra con l’VIII Sezione di Sanità e che nel 1917 era stato allievo ufficiale di artiglieria nella IV armata. Diventato ufficiale, aveva combattuto in diverse campagne e durante la battaglia del Montello, nel 1918, si era prodigato nel prestare soccorso ad alcuni commilitoni, guadagnandosi una croce al merito di guerra. Non a caso — verrebbe da aggiungere allo scopo di collegare qualcuno degli argomenti che sono stati esposti sin qui — era coetaneo di Scipio Slataper, caduto sul Podgora nel 1915 dopo aver collaborato al già citato Giornalino della Domenica.
Da tempo, peraltro, Treves aveva in mente, come modello, un periodico di tutt’altro genere, ossia quella Napoli nobilissima che era stata fondata nel 1892 da un gruppo di eruditi, letterati e storici, tra cui Benedetto Croce e Salvatore Di Giacomo, con lo scopo di valorizzare la città partenopea e, nel contempo, di indagare per raccogliere materiali utili a costruire la storia dell’arte meridionale. Dopo un primo e fecondo periodo di vita (1892–1907), Napoli nobilissima era risorta per un triennio (1920–1922) e, in quel 1924, nessuno poteva sapere che sarebbe rinata per la terza volta nel 1961 e destinata a lunga vita.
E fu proprio nel 1924, a settembre, dopo un non breve periodo di gestazione, di programmazione e di contatti, che, praticamente da solo, Treves fondò la rivista mensile illustrata Vercelli nobilissima.
Si legge nella presentazione al primo numero:
Rievocare le memorie e celebrare le glorie della nostra terra vercellese; illustrarne tutti gli aspetti, tutti i monumenti, tutte le attività; esaltare la fecondità dei suoi campi, le generosità dei suoi figli, lo splendore delle sue arti; illuminare le opere buone di pacifico lavoro, di civile vantaggio, di carità umana che essa valse a far sorgere e prosperare; delineare l’uso e il costume e raccogliere la tradizione leggendaria del popolo; additare i cittadini esemplari; soppesare insomma e rivelare agli altri e un poco fors’anche a noi stessi la nostra materiale e spirituale ricchezza; questo noi ci proponiamo […] Noi amiamo questa nobilissima terra vercellese, feconda di biade e di eroi, crediamo in essa e le consacriamo queste pagine modeste, ma fervide e schiette…
Pubblicata da Gallardi & Ugo in elegante veste, la rivista avrebbe proseguito la sua avventura culturale sino al 1926, coinvolgendo i campioni della Scapigliatura piemontese Giovanni Faldella e Achille Giovanni Cagna; autori e studiosi di prestigio come Riccardo Artuffo, Guido Marangoni, Piero Operti, Virginia Galante Garrone, Carlo Montù e altri, mentre la collaborazione artistica fu affidata a insigni pittori tra cui Cesare Cerallo, Alberto Ferrero ed Enzo Gazzone.
La prematura e per molti versi inspiegabile fine della rivista lasciò inediti o incompiuti studi interessanti, tra cui un’esauriente ricerca su tutti gli stemmi delle famiglie patrizie vercellesi, e soprattutto lasciò un acuto rimpianto ai collaboratori, ai lettori e a Treves, intento ancora nel 1927 a tentare la prosecuzione dell’iniziativa, tentativo che avrebbe ripreso molti anni dopo, terminata la Seconda guerra mondiale, quando però il magico momento era già svanito da tempo.
Eugenio Treves, nato a Milano il 23 gennaio 1888 da famiglia ebraica, si era trasferito ben presto a Vercelli, dove aveva frequentato le elementari e il liceo classico. Iscrittosi all’Istituto di studi superiori di Firenze, aveva conseguito la laurea in Lettere l’11 luglio 1911. Dopo un breve periodo d’insegnamento nelle scuole tecniche di Volterra, si era recato a Grenoble quale lettore di italiano presso la facoltà di Lettere all’Università e vi era rimasto sino al 1913.
Nell’autunno di quell’anno, ritornato a Vercelli, aveva iniziato l’insegnamento della letteratura italiana presso l’Istituto Tecnico Cavour, dove sarebbe rimasto sino al 1958, anno in cui fu collocato a riposo, salvo due lunghe interruzioni, la prima — come abbiamo visto — per il Primo conflitto mondiale e la seconda, nel 1938, per motivi razziali. Quest’ultima interruzione ebbe luogo nonostante l’abiura, avvenuta già nel 1927 in occasione del matrimonio, celebrato con rito cattolico, e nonostante un’apparente convivenza senza problemi con il regime fascista, in considerazione delle sue numerose conferenze nell’ambito dell’istruzione pubblica. A lui fu affidata, ad esempio, quella per l’inaugurazione dell’anno scolastico 1927-28: intitolata Riprendendo il cammino, fu tenuta nell’aula magna della Scuola Borgogna di Vercelli alla presenza di tutte le maggiori autorità politiche, civili, militari e religiose della città.
Nel frattempo, ossia sin dal 1907, aveva iniziato la pubblicazione di poesie, racconti, articoli di vario argomento su riviste quali Archivio della Società Vercellese di Storia e d’Arte, Piemonte, Il Giornalino della Domenica, L’Illustrazione del Popolo. Da citare, per la poesia, Fragmenta (Carnesecchi, Firenze, 1907); L’elitropia (Zanichelli, Bologna, 1914) e Il pagliaccetto giallo (Gallardi & Ugo, 1920).
In seguito— negli anni Trenta — sarebbero arrivate collaborazioni sporadiche al Corriere dei Piccoli; a Piccola Fata (quindicinale milanese di novelle e varietà per la donna): a Novella, sorta nel 1919 come madre nobile dell’attuale Novella 2000 e portata al successo nei primi anni Trenta da Salvator Gotta, che possiamo presumere suo amichevole sostenitore, sia per ragioni anagrafiche (Gotta era nato nel 1887), sia per analoghe vicissitudini belliche durante il Primo conflitto mondiale.
Non a caso i due commilitoni si ritrovarono sulle pagine di Lidel, raffinata rivista mensile di costume e moda pubblicata a Milano dal 1919 al 1935 e fondata da Lydia De Liguoro, che la diresse sino al 1927, accogliendo firme come quelle di Massimo Bontempelli, Grazia Deledda, Amalia Guglielminetti, Luigi Pirandello, Mura, e Carlo Carrà, nei panni di critico d’arte. Treves vi collaborò a lungo quale critico letterario e — come abbiamo già visto accennando a Giuseppe Fanciulli — si occupò di recensire le novità librarie con ampia libertà di scelta.
Fra le sue opere di narrativa, si segnalano Primavera deserta (Carnesecchi, Firenze, 1907), Il dono (Tipografia Galileiana, Firenze, 1908), Cognatina (Gallardi & Ugo, Vercelli, 1915); Frate Francesco-Novelle vere (Battistelli, Firenze, 1921); Le pecore incantate (Pezzella, Napoli-Genova, 1927); Leggende piemontesi (Unitas, Milano, 1931); Il nano giallo, scritto nel 1944 ma pubblicato a Vercelli in 150 copie fuori commercio dalla Tipografia Editrice “La Sesia” nel dicembre 1953; Mago Bontà (Vallecchi, 1949); L’avventuriero onorato (Ceschina, Milano, 1954).
Tuttavia la produzione che ne conserva maggiormente la memoria è quella, vastissima, didattica e divulgativa, che lo vede esordire con studi risalenti al 1913-1914 su Niccolò Barbieri detto Il Beltrame, comico vercellese del secolo XVII, che hanno ottenuto un riordino, una riedizione e un ampio commento critico a cura di Giusi Baldissone nel 1999 presso Interlinea Edizioni di Novara. Agli anni Trenta risale la sua attività per la collana “La scala d’oro” edita dalla torinese UTET, per la quale ridusse per la gioventù opere di autori celebri quali L’Orlando Furioso dell’Ariosto, La Gerusalemme liberata del Tasso, Il Morgante Maggiore di Pulci, I racconti di Natale di Dickens, I racconti straordinari di Edgar Allan Poe e il Quo Vadis? di Sienkiewicz.
Ha divulgato la lingua italiana con il volumetto Si dice? Dubbi ed errori di lingua e di grammatica, pubblicato da Ceschina di Milano nel 1951. Presso l’editrice La Nuova Italia sono state pubblicate le edizioni da lui commentate dell’Iliade e dell’Odissea, più volte ristampate e, nel 1962, ha dato alle stampe Il mondo epico: da Omero a Cervantes.
Per Sansoni di Firenze ha scritto La vita di Vittorio Alfieri, con particolare attenzione al mondo giovanile. Per la Casa editrice Giuseppe Principato di Milano e Messina ha narrato ai giovani la mitologia greca e romana con il volume Dei ed Eroi (1953), che ha ottenuto una terza edizione ampliata nel 1963, e ha pubblicato I racconti di Shakespeare nel 1964. Sue, presso lo stesso editore, sono le traduzioni (1953) dei romanzi di Sophie Rostopchine, la scrittrice russa naturalizzata francese nota come la Contessa di Ségur: ricordiamo Il Generale Durakine e L’albergo dell’angelo custode.
In collaborazione con Fernando Palazzi e Luigi Falcucci ha curato antologie di lettura per le scuole, ma soprattutto gli deve essere attribuita in larga misura la paternità del Nuovissimo dizionario della lingua italiana, edito da Ceschina nel 1939, compilato in collaborazione con Fernando Palazzi e tuttavia, a causa delle leggi razziali, comparso con omissione del suo nome, circostanza avvenuta anche per altre sue opere, così da costringerlo a usare, scrivendo, lo pseudonimo Mario Lauri. Si legge tuttavia nella presentazione alla settima edizione del 1955:
Alla compilazione di questo dizionario ha prestato lunga, amplissima e valida collaborazione il professor Eugenio Treves. Di questa sua collaborazione gli viene dato oggi qui quel riconoscimento che gli era dovuto e che, per ragioni contingenti, non fu possibile dargli fin dalla prima stampa.
Dopo di allora persino gli addetti ai lavori non esitarono a considerare il Palazzi come il dizionario di Treves; persino Aldo Gabrielli, il linguista noto appunto per i dizionari della lingua italiana che portano il suo nome, gli scrisse:
Il tuo dizionario non scherza: siamo già alla settima edizione.
Eugenio Treves è mancato a Vercelli, a ottantadue anni, nel 1970. Nel 1996 gli eredi hanno consegnato all’Archivio di Stato il suo epistolario di circa 2.300 lettere riferite al periodo 1903-1970. Si tratta in massima parte di lettere editoriali e di lavoro, che testimoniano rapporti, tra gli altri, con Sibilla Aleramo, Riccardo Bacchelli, Virgilio Brocchi, Ettore Cozzani, Lionello Fiumi, Filippo Tommaso Marinetti, Attilio Momigliano, Ada Negri, Francesco Pastonchi, Giuseppe Prezzolini e Giuseppe Ungaretti, che fu suo commilitone nella Prima guerra mondiale. Nel 2001 sono invece stati donati alla città di Vercelli (Università del Piemonte Orientale e Comune) gli oltre 7.000 volumi della sua biblioteca, in precedenza raccolti in un alloggio appositamente affittato dalla famiglia.