La stragrande maggioranza degli Italiani associa il nome della Cirio S.p.A. ai pomodori (pelati e in salsa) e al clima mediterraneo del Mezzogiorno, ma pochi conservano memoria delle origini torinesi dell’azienda e di quelle piemontesi del suo fondatore, Francesco Cirio, nato a Nizza Monferrato nel 1836.
Figlio di una famiglia molto modesta, dotato di grandissima iniziativa e insaziabile curiosità, Francesco inizia a lavorare da giovanissimo, partecipando a soli 10 anni come operaio alla posa del cavo telefonico sottomarino tra Genova e la Sardegna. Rientrato sulla terraferma, si dedica, dall’età di 14 anni, alla vendita di frutta e verdura nel mercato di Piazza Bodoni a Torino.
Contemporaneamente lavora, sempre a Torino, come scaricatore allo scalo merci ferroviario, dove rimane non solo affascinato dai treni, ma dove ne comprende anche l’immenso potenziale in termini di sviluppo del commercio. Così, nel 1850, sfruttando proprio le prime ferrovie che si stavano allora costruendo in Europa, avvia un piccolo commercio di prodotti freschi tra Italia e Francia: si tratta della prima azienda da lui fondata, che in pochi mesi espande le proprie attività oltre i confini francesi. Agli inizi del 1851, a 15 anni, Francesco Cirio è il maggiore esportatore del Piemonte. Sua, in questo periodo, un’invenzione destinata a cambiare il commercio internazionale nei decenni successivi: animato dal desiderio di raggiungere con prodotti velocemente deperibili mercati molto lontani, Francesco inventa il vagone frigorifero. Si tratta, nella sua forma di allora, di un comune vagone merci, con doppie pareti e doppio fondo: tra le assi delle due pareti e dei due fondi vengono inserite lastre di ghiaccio, che mantengono le verdure all’interno del vagone fresche per il tempo necessario a raggiungere in buone condizioni città come Londra e Budapest.
La svolta, che porta alla fondazione della Cirio come la conosciamo noi, produttrice di cibi conservati e in particolare di pomodori, viene da un evento esterno al commercio di verdure: la guerra di Crimea.
Iniziata nel 1853 e combattuta per il controllo dell’omonima penisola, all’epoca sotto controllo russo, ma parte dell’Impero Ottomano nel passato, la guerra richiamò l’attenzione (e la partecipazione militare) di Francia e Inghilterra, preoccupate che la Russia, in caso di vittoria, espandesse il proprio dominio a sud della Crimea, sulle coste meridionali del Mar Nero e su quelle orientali del Mediterraneo. La guerra di Crimea offrì al conte di Cavour, desideroso di trasformare il Regno di Sardegna da piccolo Stato periferico a importante interlocutore in ambito internazionale, un’occasione da non perdere. La Francia e l’Inghilterra si allearono contro la Russia, mentre il Regno di Sardegna, alleato dell’Impero Ottomano, inviò truppe in quella che nella mente dei cittadini di allora era una terra assai remota.
Viene spontaneo domandarsi a questo punto che cosa c’entrino Francesco Cirio e i pomodori in scatola con la guerra di Crimea. Come è noto gli Italiani sono particolarmente affezionati alla dieta mediterranea, che prevede il consumo di grandi quantità di frutta e verdura, entrambe difficilmente reperibili in un teatro di guerra a migliaia di chilometri di distanza dalla madrepatria.
Le lamentele dei soldati del Regno di Sardegna, che per i tre anni di durata della guerra, ebbero enormi difficoltà ad approvvigionarsi di frutta e verdura, spinsero Francesco a occuparsi di conservazione e inscatolamento di verdure e carni.
Nel 1856, appena terminata la guerra di Crimea, Francesco apre, in via Borgo Dora 34, il primo stabilimento per il trattamento e l’inscatolamento di verdure (inizialmente solo piselli). Il metodo utilizzato allora era quello ideato dal francese Nicolas Appert nel 1810. Il difetto di questo sistema era che, pur conservando abbastanza bene in confezione ermetica verdure e carni, queste perdevano il colore, risultando invariabilmente gialle o bianche e, quindi, poco appetibili. Inoltre, essendo stato brevettato prima degli studi di Louis Pasteur sui batteri, il metodo era approssimativo e la conservazione dei prodotti non sempre garantita. Francesco Cirio riuscì a migliorare il procedimento del collega francese ideando un sistema, che da allora porta il suo nome, più affidabile dal punto di vista della durata della conservazione e in grado di mantenere il colore originario del prodotto inscatolato. Nel 1867 il metodo Cirio riceve numerosi riconoscimenti e premi all’Esposizione Universale di Parigi.
L’espansione della Cirio fu rapidissima e portò l’azienda a esportare i propri prodotti conservieri in tutta Europa: nel 1867 circa 5.000 vagoni di prodotti inscatolati raggiunsero Vienna, Londra, Parigi e le altre capitali europee, dove venivano venduti come beni alimentari di lusso nei negozi più esclusivi. Francesco Cirio aveva reso possibile il consumo di pomodori e albicocche a Londra in pieno inverno!
Manifesti pubblicitari Cirio degli anni 1921, 1934 e 1955.
A noi, oggi preoccupati dell’impatto ambientale e dell’igiene alimentare più dei nostri antenati, questo risultato può sembrare indesiderato: perché mai dovremmo voler mangiare albicocche (per di più in scatola) a gennaio? Tuttavia, ci sono alcuni aspetti positivi dell’innovazione di Cirio che meritano di essere ricordati. Il primo è che alcuni alimenti conservati sono tuttora fortemente richiesti dal mercato (ad esempio la salsa di pomodoro in inverno). Il secondo è che, specialmente nei Paesi a clima più freddo, l’invenzione di Cirio rese disponibili grandi quantità di alimenti altrimenti irreperibili anche nei mesi estivi. In terzo luogo, la possibilità di conservare parte della produzione agricola, ne aumentò la domanda e diede slancio alla stessa, incrementando i redditi dei lavoratori nel settore. Infine, la conservazione degli alimenti per lungo tempo è da sempre un ottimo metodo di contrasto alle carestie.
L’Unità d’Italia aprì le porte del Meridione alla Cirio e le permise di occuparsi di quello che sarebbe diventato il prodotto principe dell’azienda: il pomodoro conservato nelle sue varie forme. Grandi appezzamenti di terreno, appartenuti alla nobiltà latifondista del Regno delle Due Sicilie e lasciati incolti per decenni, vennero recuperati da Francesco e adibiti alla produzione di materie prime per i suoi stabilimenti di inscatolamento che venivano creati nel frattempo anche nel Meridione. Nei due decenni successivi all’Unità, il metodo Cirio venne costantemente perfezionato e l’azienda si espanse notevolmente sia in Italia sia, ancora, all’estero. Degli stessi anni è la fondazione, sempre da parte di Francesco, di altre imprese specializzate nella produzione e nella vendita di particolari prodotti, alcune delle quali tuttora esistenti. È il caso del latte e dei latticini della Polenghi Lombardo Cirio, creata dai fratelli Polenghi nel 1870 come Polenghi Lombardo e divenuta Polenghi Lombardo Cirio nel 1884, con l’ingresso nel capitale azionario di Francesco Cirio. Anche la Società Italiana per la Bonifica dei Terreni Ferraresi (ancora oggi una delle maggiori aziende agricole italiane e quotata alla Borsa di Milano) è stata una creazione di Francesco Cirio.
Alla fine del penultimo decennio del XIX secolo Francesco decide di riorganizzare le attività industriali, riordinando le partecipazioni e i legami di controllo di quello che era ormai un vero e proprio impero industriale. Attraverso una serie di operazioni finanziarie, il riordino si completa con l’attribuzione di tutte le partecipazioni alla capogruppo, la Società Anonima di Esportazioni Agricole Cirio, su cui si riversano però anche tutti i debiti delle controllate. Grande inventore, capitano d’industria dall’intuito pronto e sottilissimo, Francesco si rivela un pessimo finanziere. Nel giro di pochi anni la situazione finanziaria del gruppo si deteriora al punto da costringere il governo (allora presieduto da un altro Francesco, Crispi, nato agli antipodi di Cirio) a intervenire per salvare l’azienda. A seguito del tracollo finanziario e del successivo e determinante salvataggio governativo, il fondatore viene allontanato dalla gestione, che passa al suo socio Pietro Signorini.
Dopo aver trascorso gli ultimi anni di vita promuovendo bonifiche di terreni paludosi e redistribuzione di terre incolte, Francesco Cirio muore a Roma il 9 gennaio 1900, all’età di 63 anni. Pochi giorni dopo, dato che oramai gran parte della produzione agricola del gruppo Cirio e molti stabilimenti erano concentrati nel Mezzogiorno, la sede sociale viene spostata da Torino a Napoli, dove rimarrà per quasi un secolo, fino a quando verrà acquistata da Sergio Cragnotti, sotto la cui direzione la sfortunata storia finanziaria del gruppo si ripeterà.