La lingua inglese ha un termine, polymath, che in italiano non ha un equivalente diretto. Si propone un insipido “esperto universale”, che tuttavia non trasmette il significato dell’originale: a person of wide-ranging knowledge, una persona dalla vastissima competenza.
Francesco Faà di Bruno, nato il 29 marzo 1825 ad Alessandria, fu certamente un polymath. Dodicesimo figlio di Luigi Faà di Bruno, un esponente di spicco dell’aristocrazia terriera alessandrina, che fu sindaco sia di Alessandria che di Bruno, come altri sei dei suoi fratelli, Francesco venne avviato ad una educazione religiosa, probabilmente su spinta della madre, Carolina Sappa. Uno dei fratelli di Francesco, Giuseppe Maria Faà di Bruno, costruì San Pietro ad Hatton Garden, a Londra, la chiesa più importante per gli immigrati italiani. Fu un leader della Pia Società di Missioni e scrisse “Credo Cattolico”, un’esposizione della dottrina cattolica rivolta ai non cattolici, che vendette oltre un milione di copie. Due delle sorelle di Francesco divennero monache.
Il percorso di Francesco verso la vocazione religiosa è per lo meno tortuoso. Per prima cosa viene la carriera militare, con l’iscrizione nel 1840 all’Accademia Militare di Torino, presso la quale viene brevettato tenente nel 1846. Gli studi in accademia includono la topografia e le lingue straniere, che Francesco metterà a frutto negli anni a venire.
Nel 1848, Francesco Faà di Bruno partecipa alla Prima Guerra di Indipendenza, nella Brigata delle Guardie al comando di Vittorio Emanuele, e prende parte all’assedio di Peschiera del Garda. Successivamente, viene incaricato di tracciare le mappe topografiche della zona del Mincio, e si guadagna una promozione a capitano. Nella successiva battaglia di Novara (22 marzo 1849), per due volte il suo cavallo viene abbattuto, e infine Francesco stesso viene colpito ad una gamba. Riceve una decorazione, ma decide a questo punto che la carriera militare non fa per lui.
L’abbandono dell’uniforme non è immediato. L’opportunità di un impiego come istitutore dei figli di Vittorio Emanuele, spinge il capitano Faà di Bruno a recarsi a Parigi e studiare matematica alla Sorbona. L’incarico come insegnante dei rampolli reali sfuma, ma Francesco ha trovato una nuova vocazione. O forse due.
Perché se è vero che a Parigi Faà di Bruno studia matematica con Cauchy, al contempo si prodiga in opere pie, visitando e assistendo i poveri della parrocchia di Saint Sulpice. D’altra parte anche durante la carriera attiva nell’esercito aveva trovato il tempo di compilare un “Manuale del Soldato Cristiano.” E la figura di Cauchy, brillante matematico ma al contempo filantropo e fervente religioso, sarà d’ora in avanti una ispirazione continua per il non ancora trentenne Faà di Bruno.
La sua carriera militare si conclude definitivamente nel momento in cui un collega lo deride, dicendo che alla Sorbona ha ottenuto solo una licenza, e non una vera laurea. Francesco Faà di Bruno si rifiuta di lavare l’onta con un duello, e nel 1953 si congeda dall’esercito sabaudo. Torna quindi a Parigi e consegue una laurea in scienze matematiche e astronomiche.
Pubblica nel 1855 Sullo sviluppo delle funzioni, un articolo nel quale viene esposta quella che è nota come “Formula di Faà di Bruno”, applicata al calcolo delle funzioni e delle derivate.
Ho avuto l’opportunità di leggere il tuo libro sui moduli binari, ed ero felice perché l’ho trovato ben adattato per introdurre il lettore alla teoria degli invarianti. Il soggetto è esposto in modo completo e brillante, l’esposizione è semplice, chiara e, in diversi punti, elegante. …Hai con questo lavoro consegnato un servizio alla scienza per il quale sarà grato, dal momento che hai colmato una lacuna importante. (Lettera di Paul Gordan, “Il re della teoria invariante”, 1875.)
Insegnante all’Università di Torino (dopo che un altro incarico per la corona, questa volta come astronomo all’osservatorio di Torino, si è risolto in nulla), Faà di Bruno si dedica anche all’attività di inventore e ingegnere. Progetta una varietà di strumenti scientifici (incluso il barometro a mercurio), uno scrittoio per ciechi, ideato per venire incontro alle necessità di una sorella non vedente, una sveglia elettrica.
Partecipa alla progettazione della chiesa di Nostra Signora del Suffragio e Santa Zita, in via San Donato a Torino. Il campanile utilizza accorgimenti di avanguardia per arrivare all’altezza di 83 metri. Lo scopo della torre, con il suo orologio con i quadranti di due metri, è quello di permettere a tutti, in Torino, di vedere chiaramente l’ora, in modo che non sia possibile per i datori di lavoro approfittarsi degli operai falsando gli orari. La chiesa di Nostra Signora del Suffragio viene completata nel 1866, ed è dedicata alla memoria del fratello di Francesco, Emilio Faà di Bruno, caduto nella battaglia di Lissa.
Questa preoccupazione per la classe lavoratrice è centrale nelle attività di Faà di Bruno, che organizza lezioni divulgative di astronomia aperte al pubblico, fonda l’Opera di Santa Zita (1859), modellata sulla Società di San Francesco da Sales fondata da Don Bosco, con cui stringe amicizia, e istituisce una scuola di musica, in cui insegna, e tiene dei concerti, dedicando le proprie composizioni alle donne di servizio torinesi. Fonda anche una Società per la Santificazione delle Feste, per tutelare i lavoratori obbligati a lavorare la domenica. Don Bosco viene invitato a occupare la posizione di Vice Presidente.
La produzione musicale di Faà di Bruno, spesso trascurata nelle sue biografie, riceve critiche positive da Franz List.
Ma Francesco non pensa solo allo spirito, e sulla base delle proprie esperienze con le mense per i poveri di Parigi, fonda un servizio simile anche in Torino, per sfamare i bisognosi durante i mesi invernali. Come parte delle proprie attività sociali, Faà di Bruno fonda una scuola professionale e infine partecipa alla creazione di un ordine di suore: le Minime di Nostra Signora del Suffragio. La congregazione si espanderà successivamente per includere una scuola ed altre strutture rivolte al sociale.
Nel 1860 fonda l’Infermeria di San Giuseppe, per donne povere e malate, con annesso un convalescenziario. Nel 1862 fonda una pensione per le donne anziane e disabili.
In risposta alle frequenti epidemie, in particolare di tifo e colera, risultato di scarsa igiene, Faà di Bruno allestisce dei bagni pubblici nel quartiere di San Donato, una delle aree più povere della capitale piemontese.
Nel 1863 organizza una biblioteca itinerante, fornita di testi su molti argomenti, in particolare religione e scienza. Nel 1864 istituisce corsi di formazione in economia domestica e, nel 1866, corsi di formazione per insegnanti di scuola elementare.
Faà di Bruno conclude la propria parabola nel 1876, quando viene ordinato sacerdote. In questa occasione, Papa Pio IX gli fa dono di un calice eucaristico. Nei dodici anni successivi, Francesco Faà di Bruno continua a fare ciò che sa fare meglio: tutto. Diviene una figura centrale nella Torino che corre verso il ventesimo secolo, e continua ad insegnare nel liceo che oggi porta il suo nome.
Muore improvvisamente il 27 marzo 1888, e ben presto si comincia a parlare della sua santità — che verrà riconosciuta con la beatificazione il 25 settembre 1988.
In un momento in cui Torino, il Piemonte e l’Italia stavano cambiando con rapidità vertiginosa, Francesco Faà di Bruno fu soldato, cartografo, matematico e astronomo, inventore, architetto, attivista sociale, autore e compositore, concertista, insegnante, sacerdote, uomo di spirito ma anche e soprattutto, da buon piemontese, uomo pratico.