Quando la matematica e astronoma, nonché scrittrice scientifica scozzese, Mary Somerville transitò a Torino assieme al marito nel 1836, in una delle tante tappe del suo viaggio di lavoro attraverso l’Europa, Giovanni Plana, astronomo reale, la ricevette con tutti gli onori e le fece dono della sua opera principale, la Théorie du mouvement de la Lune.
Questo notevole lavoro, che fu tra l’altro adottato dall’Ammiragliato inglese per predisporre le tavole di navigazione in dotazione alle navi di Sua Maestà britannica, è un’opera assai corposa e impegnativa sia da comprendere che da maneggiare, essendo costituita da ben tre tomi e più di 2.500 pagine scritte in francese. La gentilezza professionale del Plana tuttavia, non deve trarre in inganno in merito al carattere complesso e austero di un uomo che per ben 50 anni è stato a capo di un’istituzione scientifica, e altre ancora, tanto da esprimersi così:
Di astronomi ve n’è uno in Piemonte, e basta.
Questa lapidaria sentenza era rivolta nei confronti del giovane collega di Savigliano, Giovanni Virginio Schiaparelli che, come diremmo oggi, fu un cervello in fuga del passato. A seguito dell’opposizione di Plana, Schiaparelli fu infatti costretto a spostarsi nella vicina Milano, dove sarebbe diventato poi il direttore dell’Osservatorio astronomico di Brera e famoso per le sue osservazioni del pianeta Marte.
Tornando al Plana, il cui nome completo era Giovanni Antonio Amedeo, nacque a Voghera il 6 novembre 1781, per l’esattezza in via Emilia 91, da Giovanna Giacobone e da Antonio Maria Plana di antica famiglia piemontese originaria di Guarene vicino ad Alba.
Conforme alla sua posizione sociale, appena l’età glielo consentì, venne adeguatamente istruito, ma è curioso notare un episodio avvenuto in gioventù per comprendere maggiormente il suo carattere e i successivi sviluppi della sua carriera di matematico. Una mattina dell’aprile 1796, dopo la vittoria di Napoleone nella prima battaglia della Campagna d’Italia presso Montenotte, il giovane Plana eresse un albero della libertà proprio nel cortile della sua scuola di Sant’Agata in Voghera dove stava frequentando corsi di retorica. La polizia, subito allertata dalle autorità scolastiche, aprì un’inchiesta per scoprire e punire i responsabili, ma Giovanni, avendo confessato preventivamente al padre la propria colpevolezza, fu costretto dalla sua famiglia ad allontanarsi dal suo mondo, per proteggerlo da accuse di simpatie rivoluzionarie, e venne inviato a Grenoble dove risiedeva la zia Anne Sue.
Così all’età di 15 anni la sua vita da studente prese un’inaspettata piega. In Francia frequentò l’appena inaugurata Ecole Centrale, un’istituzione che offriva ampio spazio all’insegnamento delle discipline scientifiche, discipline apprezzate anche da un altro studente, il famoso scrittore francese Stendhal che divenne all’epoca suo caro amico.
Nel 1800 Plana vinse un concorso di ammissione agli studi universitari presso la prestigiosa Ecole Polytechnique di Parigi, come l’amico Stendhal, ma quest’ultimo, nonostante la passione iniziale per le scienze esatte e l’ammissione per frequentare gli stessi studi, proseguì, come sappiamo, su ben altre strade.
A Parigi i docenti del Plana furono quanto di meglio si potesse avere sul mercato, per citarne solo alcuni: il famoso matematico Joseph-Louis Lagrange, o Giuseppe Luigi, un altro piemontese nato nella odierna via Lagrange di Torino, insegnava Analisi e Meccanica, il francese Pierre-Simone de Laplace Astronomia, la cattedra di Geometria era occupata da Gaspard Monge, inventore tra l’altro della geometria descrittiva, mentre la Chimica era affidata a Claude Louis Berthollet che, tra l’altro, si laureò all’Università di Torino.
Terminati gli studi, nel 1803 Plana fece ritorno a Torino dove, per intercessione di Lagrange stesso, venne nominato professore di Matematiche alla Scuola Imperiale di Artiglieria del Piemonte, scuola che poi venne trasferita nel 1805 ad Alessandria. Già nel 1811 ottenne la cattedra di Astronomia presso l’Università di Torino, succedendo all’abate Valperga di Caluso, e tre mesi più tardi fu eletto membro della classe di Scienze esatte presso l’Accademia delle Scienze di Torino.
La sua rapida carriera non si arrestò di certo qui. Poco dopo, nel 1813, divenne direttore dell’Osservatorio Astronomico torinese, ricoprendo quest’incarico per oltre cinquanta anni, e dal 1816 insegnò anche Meccanica razionale presso la Reale Accademia Militare torinese.
Per quel che riguarda la sua vita privata, bisogna citare il suo matrimonio con Alessandra Maria Lagrange, una nipote di Joseph-Louis, avvenuto nel 1817. Da lei ebbe due figli: Sofia e Luigi, quest’ultimo morirà nel 1832 all’età di 7 anni e lo strascico di questo dolore familiare è testimoniato anche nell’introduzione all’opera già accennata.
Gli eventi politici che sconvolsero l’Europa di quegli anni non influirono più di tanto sulla vita privata e sull’ascesa professionale del matematico anche se, durante i moti del 1821, venne accusato di patteggiare per l’indipendenza italiana, tanto che un suo collega, l’astronomo ungherese Franz Xaver von Zach, si complimentò con lui per averla passata liscia dopo i disordini, sospettando una sua insensibilità politica, ma il Plana gli rispose asciutto che “un popolo non può acquistare la libertà se non facendo i più gravi sacrifici”.
Sempre nel 1821 Plana ricevette l’incarico, insieme all’astronomo di Brera Francesco Carlini, di seguire i lavori geodetici inerenti la misura di un arco di parallelo a una latitudine media tra polo ed equatore in Piemonte e in Savoia. Un lavoro di alta precisione e di confronto matematico che venne portato a termine in soli tre anni e i cui risultati furono pubblicati in due volumi rispettivamente nel 1825 e nel 1827, ricevendo nel 1828 anche il Premio Lalande.
Fu chiaro che sul suolo sabaudo Plana godette del favore della dinastia regnante. Per esempio, nonostante fosse direttore da nemmeno un decennio, Vittorio Emanuele I, che si dilettava anche lui di scienze astronomiche, appoggiò finanziariamente la sua richiesta di trasferire la sede dell’Osservatorio Astronomico dal palazzo dell’Accademia delle Scienze, dove oggi trova anche sede il Museo Egizio, direttamente sui tetti di Palazzo Madama, impresa completata nel 1822, anche con l’arrivo di nuova strumentazione sempre finanziata dal sovrano.
Nel 1827 Carlo Felice gli assegnò il titolo di astronomo reale e negli anni successivi lo scienziato si dedicò anche ad altre ricerche nei settori dell’analisi, della fisica matematica e della meccanica celeste come, ad esempio, quelle sulla densità dell’atmosfera, sui pendoli, sulla variazione della temperatura al variare dell’altezza, sui fenomeni d’urto, sulla rifrazione astronomica, sulle orbite dei corpi in moto tra la Terra e la Luna, sul moto delle comete e dei pianeti.
Questa mole di lavoro può impressionare, ma costituisce solo una parte della sua attività, svolta con instancabile tenacia durante gli anni. Infatti, oltre che un abile e prolifico matematico, Plana fu anche un infaticabile astronomo, che non trascurava nemmeno un giorno per dedicarsi alle sue osservazioni del cielo, dormendo pochissimo, c’è chi dice addirittura circa due ore a notte e volutamente in posizioni scomode per restare sempre attento.
Questo lavoro diede i suoi frutti, se è vero che nel 1842 divenne vicepresidente e in seguito, nel 1851, presidente dell’Accademia delle Scienze di Torino. Oltre alle cariche iniziarono a giungere i riconoscimenti di un altro sovrano, Carlo Alberto, che gli assegnò nel 1844 la decorazione dell’Ordine civile di Savoia e il titolo ereditario di barone. Infine il 3 aprile 1848, dopo la proclamazione dello Statuto, il Re lo nominò anche senatore del Regno di Sardegna.
Sul piano internazionale vi furono altrettanti incarichi ufficiali e onorificenze. Tra quelle più prestigiose si può citare la nomina ad associato straniero dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Francia, carica che veniva assegnata ad un massimo di otto persone tra le più insigni di tutte le scienze; poi, nel 1834, ricevette la prestigiosa medaglia Copley della Royal Society di Londra, riconoscimento che Plana condivide per esempio con Alessandro Volta e Albert Einstein.
Al di là dei premi istituzionali Plana fu anche il beneficiario di un generoso lascito testamentario da parte di un collega, Barnaba Oriani dell’Osservatorio di Brera, morto nel 1832. Caso più unico che raro nella storia della scienza, Oriani dispose quanto segue:
Lascio per una volta al cavaliere Giovanni Plana 50.000 franchi, in attestato di stima per le sue opere già pubblicate, che lo qualificano per uno dei più valenti matematici ora viventi.
Il 3 gennaio 1864 Plana presentò in Accademia, per l’ultima volta, una memoria sulla teoria dei movimenti planetari, Forma del movimento circolare ed ellittico libero intorno ad un punto eccentrico dell’azione di una forza centrale. Fu il suo ultimo intervento scientifico perché pochi giorni dopo morì improvvisamente il 20 gennaio 1864 all’età di 83 anni.
Il 21 gennaio 1864, in occasione della sua morte, venne pronunciata in Senato la commemorazione funebre in suo onore:
Un gran lume di intelletto s’è spento tra noi… Giovanni Plana morì ieri alle nove e mezzo del mattino dopo breve e penosa malattia.
Ma torniamo alla Luna che l’ha reso immortale e all’origine e al perché del suo lavoro così impegnativo. Il nostro satellite, lontano solamente 384.400 chilometri, è il corpo celeste più vicino a noi, tanto che i crateri di cui è coperto furono tra i primi oggetti osservati da Galileo Galilei con il suo rudimentale cannocchiale nel 1610.
Cannocchiale di Galileo del 1610, conservato presso il Museo Galileo di Firenze.
Così vicina, ma con una traiettoria così difficile da capire, la Luna sfidò i cervelli più brillanti del passato. Il problema non fu banale da risolvere perché la difficoltà è dovuta alla Luna stessa, la cui orbita non è fissa, ma fortemente perturbata per effetto dell’azione esercitata dalla Terra, dal Sole e dai pianeti circostanti; come se non bastasse un’ulteriore complicazione è data anche dalla variabilità dell’interazione gravitazionale tra la Terra e la Luna, dovuta alla non sfericità dei due corpi.
Con queste premesse si può capire perché nei secoli il moto lunare abbia impegnato diversi studiosi, stimolando l’utilizzo di tecniche matematiche sempre più sofisticate come il calcolo infinitesimale. In questo contesto si colloca il lavoro di Giovanni Plana e Francesco Carlini, ai quali il direttore dell’Osservatorio Astronomico di Brera Barnaba Oriani, commissionò una raccolta di tavole lunari quanto più possibili precise.
Ma perché era così importante avere queste tavole lunari? Per rispondere bisogna aprire brevemente una parentesi sul mondo della cartografia.
Oggi come nel passato è sempre stato importantissimo calcolare precisamente la latitudine e la longitudine, due coordinate che identificano la posizione univoca di un luogo sulla superficie terrestre. La latitudine è una distanza calcolata in angoli dall’equatore terrestre, facilmente stimabile con un sestante, mentre la longitudine geografica è una differenza temporale tra la posizione da stimare e un meridiano di riferimento, ruolo che la convenzione attuale assegna a quello che attraversa il sobborgo di Greenwich, vicino a Londra.
Il problema della stima della longitudine in mare venne risolto solo nel XVIII secolo con l’introduzione del cronometro marino di John Harrison. Prima di allora vari metodi vennero proposti, ad esempio Galileo suggerì di osservare e prendere come riferimento i satelliti da lui scoperti che apparivano e scomparivano in prossimità di Giove, tuttavia i migliori risultati si ottennero calcolando la posizione di alcune stelle rispetto alla Luna della quale era necessario quindi calcolare l’orbita.
La collaborazione tra Francesco Carlini e Giovanni Plana per la raccolta delle tavole lunari tuttavia non durò a lungo. Plana continuò quindi il lavoro per ben vent’anni in solitaria, senza l’ausilio di aiutanti e di calcolatori e partendo dal solo principio newtoniano che regola la gravitazione universale. La sua impresa terminò nel 1832 quando pubblicò nella Théorie du mouvement de la Lune le lunghe formule che gli permisero di calcolare le coordinate della Luna nel corso del tempo.
Questa sua opera testimonia le notevoli capacità del Plana nell’utilizzo di un nuovo metodo matematico per il problema del movimento celeste, chiamato metodo della variazione delle costanti arbitrarie. Plana mise a frutto gli insegnamenti di Lagrange, integrando equazioni sempre più complesse fino a raggiungere il massimo grado di approssimazione del moto che si poteva raggiungere ai suoi tempi. Senza entrare nei dettagli tecnici, il pregio e il vanto del suo lavoro fu il fatto di fornire una soluzione in forma analitica del problema del calcolo del moto lunare, in modo tale che la sua teoria fosse indipendente dalle osservazioni e rimanesse valida anche per variazioni accidentali degli elementi orbitali.
Pagine interne della “Théorie du mouvement de la Lune”.
Ovviamente prima di lui altri scienziati come Laplace e Lagrange avevano elaborato teorie sul moto lunare, ma ad esempio lo studio di Laplace, del quale il lavoro del Plana può essere considerato un ampliamento, si sviluppava su basi esclusivamente teoriche.
Purtroppo alcune discordanze tra i due modelli divennero anche oggetto di polemiche tra i due scienziati; differenze che oggi noi sappiamo imputabili non a errori, ma al minor grado di approssimazione del moto a cui Laplace si era arrestato.
Il nome di Giovanni Plana tuttavia non viene quasi mai menzionato nei manuali di meccanica celeste che trattano la teoria della Luna, forse eclissato, è proprio il caso di dirlo, dai suoi troppo famosi maestri, Lagrange e Laplace o dalla difficile comprensione del suo testo.
Il professor Francesco Tricomi, docente presso la facoltà di Matematica a Torino, nel discorso commemorativo tenuto a Voghera in occasione del centenario della morte del Plana commentava così:
Bisogna però onestamente aggiungere che la soluzione approssimata data dal Plana, a parte questo grande vantaggio (dell’indipendenza dall’osservazione diretta) non ne offrì altri, perché è lungi dall’essere una soluzione semplice ed elegante (alcune formule occupano decine di pagine) e poteva forse venire esposta sotto forma migliore, anche tenuto conto dello stato della scienza al suo tempo.
Se il suo lavoro principale è stato oggetto di critiche, la sua personalità non lo fu da meno nemmeno in vita. Giovanni Boccardi, direttore dell’Osservatorio di Torino dal 1903 al 1923, menzionato su Rivista Savej nell’articolo sulle prime donne astronome della città ne diede ad esempio un giudizio molto negativo.
E dopo tanto aver studiato il nostro satellite, era più che giusto nominare anche un suo cratere.
Quello che porta il nome di Plana si trova esattamente nella regione a nord-est del Mare Serenitatis, una formazione circolare di 27 chilometri con versanti poco scoscesi che si consiglia di osservare cinque giorni dopo la Luna nuova oppure quattro giorni dopo la Luna piena.
Opere e riconoscimenti dell’insigne matematico sono presenti inoltre in diversi punti della città di Torino. Un’enorme statua raffigurante un austero signore in abiti di foggia ottocentesca, Giovanni Plana appunto, colpisce all’ingresso dell’Accademia delle Scienze di Torino, mentre in via Garibaldi 25, nella sacrestia della Cappella dei Mercanti, Negozianti e Banchieri, è conservato il “calendario perpetuo” e tuttora funzionante del Plana, un vero gioiello tecnologico del 1835, considerato da molti il primo computer del storia.
Il Calendario Meccanico Universale si presenta come una grossa scatola appesa a un muro e incorniciata come fosse un quadro, con scritte, numeri, finestrelle e ritratti di sovrani tra cui Carlo Alberto, re di Sardegna e Leopoldo II granduca di Toscana. Al centro sono raffigurati Giulio Cesare e Gregorio XIII, i due “padri” del calendario moderno occidentale. All’interno della scatola si trovano sostegni in legno, ruote dentate, catene e diversi tamburi sui quali si trovano dei fogli di carta che riportano svariati e piccoli numeri, ben 46.000 dati. Il tutto serve per il calcolo del tempo dall’anno 1 fino al 4000 e si aziona semplicemente con il movimento di una manovella, avendo impostato prima la data che interessa.
Andando indietro nel tempo o nel futuro si possono scoprire le fasi lunari e molto opportunamente data la sua collocazione, le date delle feste mobili come la Pasqua, le Ceneri, il Corpus Domini e l’Ascensione. Solo recentemente alcuni studenti del Politecnico di Torino hanno scoperto l’algoritmo che regola questo calcolatore meccanico che Plana realizzò con il solo supporto di carta e penna. Oggi basta andare direttamente sul sito della Cappella dei mercanti per vedere cosa nasconde l’interno del Calendario perpetuo o scoprire i dati che fornisce con le relative spiegazioni senza la necessità di azionarlo sul posto. Meraviglie attuali che forse avrebbe saputo apprezzare e sfruttare anche lui.