La storia del generale Giuseppe Govone, nato a Isola d’Asti il 19 novembre 1825 e morto ad Alba il 26 gennaio 1872, è costellata di voci, dicerie, illazioni, racconti apocrifi.
Il suo soprannome, ad esempio: Cuore di pietra.
Fra il 1836 e il 1844 Govone frequentava la Reale Accademia Militare di Torino. Molto portato per le lingue straniere, il giovane cadetto leggeva agevolmente l’inglese, cosa che gli permetteva di leggere e poi raccontare ai compagni di corso i singoli episodi di The Old Curiosity Shop, romanzo di Charles Dickens pubblicato in 88 puntate settimanali fra il 1840 ed il 1841. Secondo la leggenda, arrivato all’ultimo episodio, il giovane Govone non ebbe cuore di rivelare ai propri amici il finale tragico del romanzo (per i disinformati, la piccola Nell, protagonista del libro, muore di malattia prima che i suoi amici possano salvarla), e si inventò un lieto fine.
Quando l’inganno venne scoperto, quello che era stato un gesto di buon cuore venne interpretato come un crudele sberleffo, e Giuseppe Govone, non ancora brevettato ufficiale delle forze sabaude, si ritrovò appiccicato addosso il soprannome di Cuore di pietra. Ma forse si tratta di voci messe in giro successivamente, e fu invece Carlo Alberto a battezzare Cuore di pietra il giovane Govone, in riferimento alla freddezza del giovane ufficiale — un tratto indispensabile per una spia.
Col grado di tenente, Giuseppe Govone partecipò alla prima guerra di indipendenza, prendendo parte alle battaglie di Pastrengo, Peschiera e Corlungo, e meritandosi due medaglie d’argento. Promosso capitano, venne affiancato a La Marmora, e prese parte alla battaglia di Novara nel 1849.
Giovane, coraggioso, affidabile, considerato un cinico, portato per le lingue straniere, il capitano Govone è l’uomo giusto per i servizi diplomatici: viene inviato come attaché militare a Vienna e a Berlino — in quelle che sono, quasi certamente missioni di spionaggio. Ufficialmente risulta sia in viaggio “per motivi di famiglia”, in realtà sta studiando le innovazioni militari di prussiani e austriaci.
Nel 1853, è osservatore militare durante la guerra russo-turca nei Balcani, ma ben presto abbandona la propria neutralità, schierandosi coi turchi. In particolare, Govone diventa l’uomo chiave nella difesa di Silistra, una città portuale in quella che è oggi la Bulgaria.
Govone non è solo un buon militare, ma come ufficiale del genio è in grado di ridisegnare i bastioni difensivi della città. La sua capacità di prevedere le mosse dei comandanti russi lo rende quasi leggendario fra gli ufficiali turchi, tanto che allo scadere del suo mandato il governatore turco osserverà “la sua presenza valeva più di un corpo d’armata”.
Govone lascia il teatro del conflitto russo-turco, ma solo per tornarci nel momento in cui lo scontro dai Balcani si sposta in Crimea, e inglesi, francesi e piemontesi scendono in campo al fianco dei turchi. Govone è parte dello staff di La Marmora, e partecipa alla battaglia di Balaclava. Durante la famosa “Carica dei Seicento”, il cavallo di Govone viene abbattuto dalla mitraglia russa, e Govone viene insignito dell’Ordine del Bagno dalla regina Vittoria. Per la sua partecipazione alla battaglia di Cernaia riceverà invece la Legione d’Onore dal governo francese.
Promosso maggiore, Giuseppe Govone viene incaricato di studiare la logistica in preparazione della seconda guerra d’indipendenza. Sua è l’idea di sfruttare le ferrovie per mobilizzare le truppe. Successivamente, viene assegnato allo staff del re, come capo dell’“Ufficio I” — spionaggio. Govone è infatti nuovamente l’uomo giusto al posto giusto: ha viaggiato, ha contatti nelle forze militari straniere, è un esperto nelle nuove tecnologie.
Durante la seconda guerra d’indipendenza, Govone è quindi al lavoro su entrambi i lati del fronte, con frequenti missioni oltre le linee nemiche, appoggiandosi a carabinieri in borghese e contrabbandieri, usando messi a cavallo e piccioni viaggiatori. Partecipa alle battaglie di Palestro, Magenta e San Martino. Vorrebbe usare le truppe per prendere Roma, subito, ma gli viene impedito. I bersaglieri dovranno aspettare il 1870, e Porta Pia. Govone viene promosso colonnello per meriti sul campo. Ha trentatrè anni.
È qui che la carriera di Giuseppe Govone, astro nascente dell’élite militare sabauda, prende improvvisamente una piega curiosa. Nel 1860, viene promosso Generale di Brigata e inviato in Abruzzo a combattere il brigantaggio. Una scelta per lo meno singolare, considerando che Govone è noto soprattutto per la sua esperienza sullo scacchiere internazionale e per la sua competenza nel campo di quello che oggi chiameremmo hi-tech — treni a vapore, mitragliatrici, telegrafi.
Esiste anche qui una storia apocrifa, secondo la quale Govone sarebbe l’artefice dell’incontro di Teano, fra Vittorio Emanuele e Garibaldi. Fra i compiti assegnati a Govone ci sarebbe stato anche quello di incanalare i garibaldini lungo un percorso che rendesse l’incontro coi piemontesi inevitabile.
Ma se gli equilibrismi logistici restano da confermare, agli atti rimangono le azioni di Govone contro i briganti abruzzesi — e la sua successiva assegnazione in Sicilia, per reprimere anche qui brigantaggio e rivolte.
Dai dispacci inviati da Govone ai suoi superiori, risulta chiaro che il giovane ufficiale ha identificato correttamente le cause del brigantaggio: misero stato del proletariato, amministrazione corrotta, rivalità locali tra i galantuomini e una magistratura lenta e iniqua. Govone propone anche una soluzione: un repulisti della magistratura, e il commissariamento dell’amministrazione locale. La sua proposta viene rifiutata, e gli viene ordinato di usare le maniere forti coi briganti.
A Govone non resta che affrontare il problema del brigantaggio in Sicilia da un punto di vista strettamente militare: esegue rastrellamenti, prende d’assedio i centri abitati nei quali i ricercati si nascondono, non esita a colpire fiancheggiatori e familiari. Si tratta del momento più brutale e controverso dell’Unità d’Italia e Giuseppe Govone è nell’occhio del ciclone. Odiato dalla popolazione, soggetto a critiche da parte tanto dei politici piemontesi quanto dei notabili siciliani, Govone viene accusato di crimini di guerra. La questione arriva in parlamento, e il generale viene prosciolto dalle accuse e anzi encomiato, ma sollevato dalla sua posizione.
Il mistero dell’assegnazione di un militare come Govone a un ruolo tanto inadatto permane tutt’oggi. L’ipotesi più accreditata è che il giovanissimo Govone fosse mal sopportato dai vertici delle forze sabaude. Gli eventi successivi sembrano confermare questa ipotesi.
Divenuto Presidente del Consiglio, La Marmora incarica Govone di trattare con Bismarck l’alleanza italo-prussiana che è strumentale nell’avviare la terza guerra d’indipendenza. Govone si reca a Berlino nel 1866, e torna in tempo per partecipare alla battaglia di Custoza. È nelle fasi centrali della battaglia, una delle più cocenti sconfitte subite dalle truppe italiane, che Govone, con la sua Nona Divisione, si trova nella posizione perfetta per capovolgere l’esito dello scontro. Ancora una volta l’uomo giusto al posto giusto. Gli servirebbero solo dei rinforzi. Ma il generale Della Rocca, stazionato a pochi chilometri, rifiuta di spostare le proprie truppe in supporto a Govone. Perché? Probabilmente per antipatia, verso Govone personalmente, o verso le sue tattiche militari troppo innovative. Abbandonata e senza aiuti, la Nona Divisione viene spazzata via dagli austriaci.
Dopo Custoza, Govone è uno dei pochi comandanti italiani ad avere le idee chiare sulla ripresa del conflitto, ma è ormai evidente che si trova isolato. Govone è diventato apertamente l’oggetto dell’ostilità degli alti comandi, e il suo successivo incarico all’Ufficio della Guerra non migliora le cose.
È il 1867, e Govone vorrebbe organizzare un esercito moderno, tagliando le spese inutili e persino ipotizzando un corpo aeronautico dotato di dirigibili. Il taglio delle spese militari è l’ultima goccia — Govone ha ormai contro l’intera classe militare (la “setta piemontese”) e allo scoppio della guerra franco-prussiana, il generale diviene il capro espiatorio per la mancata preparazione delle truppe italiane.
Soggetto per tre anni a quello che oggi verrebbe probabilmente definito “mobbing”, Govone abbandona nel 1870.
Tutti ormai dicono che sia pazzo. Certo è molto ammalato (probabilmente vittima di un crollo psicofisico per lo stress), e si ritira a vita privata. Ma le voci e le illazioni non si fermano. Circolano storie di eccessi di follia, e qualcuno pare lo abbia visto ballare e cantare nel proprio ufficio. Queste voci sono probabilmente l’ultimo passo in un crudele assassinio del personaggio-Govone, una lenta e inesorabile distruzione di una carriera, di una credibilità e di una persona.
Il 26 gennaio 1872, nella sua casa di Alba, il generale Giuseppe Govone, che per due decenni ha custodito i segreti dell’Unità d’Italia, sale su un cornicione, e si spara un colpo di pistola alla testa.