Illustrazione di Beppe Conti per Rivista Savej.

Guglielmo Massaja, un piemontese alle frontiere africane dell’Islam

Il rapporto controverso con la sua terra

Mauro Forno
Mauro Forno

Docente di Storia contemporanea e di Storia del giornalismo presso l’Università di Torino, è presidente dell’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea della provincia di Asti. Ha dedicato molti dei suoi studi alla storia della Chiesa, del movimento cattolico, del giornalismo e della stampa nell’Ottocento e nel Novecento.

  

Quando il 6 agosto 1889 si spense ottantenne a San Giorgio Cremano, dopo che per 35 anni era stato missionario in Africa orientale, Guglielmo Massaja era un’icona del mondo missionario, un mito vivente che anche papa Leone XIII aveva contribuito a celebrare, prima pregandolo di scrivere e pubblicare, in un’opera monumentale, la sua straordinaria esperienza missionaria, poi promuovendolo cardinale.

Un piemontese di campagna

Il cardinale Guglielmo Massaja.
Il cardinale Guglielmo Massaja.

Nato l’8 giugno 1809 a Piovà d’Asti, Massaja era un piemontese di campagna. E tale sarebbe rimasto per tutta la vita, ereditando da quel retroterra culturale la semplicità e la tenacia contadine. Dopo essere entrato nel 1826 nell’Ordine de minori cappuccini ed essere stato ordinato sacerdote nel 1832, fu per dieci anni a Torino educatore e guida dei novizi cappuccini. Ebbe anche modo di frequentare la corte sabauda, avvicinando nella loro educazione i due giovani principi, Ferdinando e Vittorio Emanuele, futuro re d’Italia.

La missione in Etiopia

All’alba del 1846 fu tuttavia catapultato in una nuova inaspettata dimensione. Venne infatti nominato vescovo di Cassia e vicario apostolico dei popoli oromo (galla) dell’Etiopia sud-occidentale.

Per Massaja la scelta di lasciare la sua terra fu piuttosto dolorosa, sia perché in quei tempi partire per le missioni africane equivaleva alla quasi certezza di una morte precoce, sia perché da tempo erano iniziate a circolare voci su una sua possibile promozione a una prestigiosa sede episcopale del Piemonte.

Mappa dell’Africa nel 1840.
Mappa dell’Africa nel 1840.

Alcune circostanze rendevano tuttavia a lui non del tutto sgradita la prospettiva missionaria. Tra queste, la principale era il desiderio di mettersi alla spalle un mondo in cui faticava sempre di più a riconoscersi e in cui la religione e la fede gli sembravano essere sempre più umiliate. Dopo la sua partenza per l’Africa, avvenuta il 4 giugno 1846, i suoi rapporti con la patria — il Piemonte sabaudo prima, il Regno d’Italia poi — rimarranno non a caso piuttosto tiepidi.

Uno scenario politico complesso

Salama III
Salama III

Fondamentale, del resto, diventerà da quel momento per lui l’esigenza di garantirsi l’appoggio di potenze dal peso specifico decisamente maggiore: condizione imprescindibile per poter sperare di sopravvivere e operare in un’area politicamente complessa, caratterizzata dalla presenza di un vescovo cristiano ortodosso, Salama III, che lo considerava — non a torto, da suo punto di vista — un intruso; dall’imperversare, nelle terre dell’impero etiopico, di lotte fratricide tra principi per scalzare e subentrare all’imperatore di turno; dalla presenza di un Islam che Massaja considerava "persecutore e intollerante", i cui centri di emanazione erano la Mecca e l’Egitto (un Islam che, secondo lui, mirava a conquistare l’area africana attraverso il Mar Rosso e il Sudan e l’area asiatica attraverso l’India e l’attuale Pakistan; un Islam, dunque, assai pericoloso per il futuro dell’Africa e, in prospettiva, dell’intero pianeta).

Corrispondenza con Cristoforo Negri

Cristoforo Negri
Cristoforo Negri

Dopo la sua partenza per le missioni, il primo contatto di vertice tra Massaja e la madrepatria fu una lettera inviatagli il 15 gennaio 1857 da un funzionario sabaudo, il cavaliere Cristoforo Negri, che gli scrisse per aprire un canale di dialogo tra il Regno di Sardegna e una delle poche porzioni di territorio africano ancora rimaste libere dal giogo europeo.

La lettera di Massaja fu resa pubblica in Italia solo alcuni decenni dopo, nel dicembre 1889 (quando Massaja era già scomparso). Ma da allora fu spesso evocata dai governanti nazionali per individuarvi il germe di una precoce vocazione espansionistica nazionale in quelle terre.

Fatta eccezione per la presenza di una — peraltro molto generica — proposta di trattato commerciale (in particolare, Negri aveva fatto cenno alla prospettiva di qualche accordo "di amicizia, navigazione e commercio" con uno o più principi locali), la lettera non presentava in realtà passaggi particolarmente arditi. E anche la risposta di Massaja (secondo cui qualsiasi trattato avrebbe avuto effetti puramente nominali, essendo molti regni etiopici dell’interno di fatto impediti a commerciare con la costa) era stata molto tiepida.

Nessun piemontese!

Il vescovo cappuccino non aveva al contrario mancato di criticare l’atteggiamento del regno sabaudo, a suo parere interessato solo ai vantaggi materiali e per nulla al bene religioso degli africani.

Poiché "il nostro Governo — scrisse Massaja — non ha mai usato per l’addietro di prendere alcuna parte attiva per le Missioni Cattoliche, noi qui siamo tutti considerati Sudditi francesi; perché bisogna dire la verità la Francia è finora l’unica nazione che usa di adottare tutti i Sacerdoti dell’Apostolato all’estero, e di considerarli come suoi figli".

Non fu dunque Massaja a "proporre" l’avvio di relazioni fra la madrepatria e le terre d’Etiopia, come alcuni osservatori avrebbero sostenuto dopo la sua morte. E nemmeno il missionario cappuccino diede prova di particolare entusiasmo patriottico. Come avrebbe scritto lui stesso poco tempo dopo, in una lettera a un confratello cappuccino:

Io non voglio vedere "nessun Piemontese, perché in quel regno, a differenza di altri paesi di simile istituzione, si fanno anche violenze a chi dice la verità".
Forte di Macallè in Etiopia.
Forte di Macallè in Etiopia.

Una visione profetica dell’Islam?

Ma allora perché Massaja decise alla fine di rispondere alla lettera di Negri (per cortesia? per i rapporti di amicizia che ancora lo legavano al sovrano? per una sua certa intima irritazione verso una Santa Sede che, dopo la sua partenza per le missioni, sembrava averlo un po’ abbandonato a se stesso?), ben sapendo che, alla vigilia di una unificazione nazionale caratterizzata da un durissimo scontro tra chiesa e governo, quella lettera avrebbe prodotto in patria un notevole scalpore, specie tra l’opinione pubblica cattolica?

In realtà, dal punto di vista politico anche Massaja riteneva che occorresse garantire un futuro cristiano al Corno d’Africa attraverso una presenza occidentale nell’area, capace di porre un argine alla temibile avanzata dell’Islam. Ma pensava che si dovesse trattare solo di segnali "ammonitori", da realizzare, ad esempio, attraverso il transito regolare di navi militari di una grande potenza (Francia o Inghilterra) o il possesso e il controllo di piccole postazioni commerciali sulle coste del Mar Rosso. Molto critico era, invece, in relazione a possibili operazioni di conquista coloniale. E ciò soprattutto per il fatto che, a suo parere, un’Europa ammorbata dal laicismo e dall’anticlericalismo non aveva alcun diritto di portare la "sua civiltà" ai popoli dell’Africa.

Un Cappuccino alla corte di Menelik

Menelik d’Etiopia
Menelik d’Etiopia

Tra il 1864 e il 1867 Massaja fu per due volte in Europa, per tentare di trovare sostegno a questo suo progetto. Poi, il 9 settembre 1867, riprese la via dell’Africa, con l’intenzione di rientrare nei territori della sua missione attraverso il regno dello Scioa, guidato dall’ambizioso principe Menelik.

Proprio Menelik, ritenendo che un uomo come Massaja potesse aiutarlo a stringere rapporti con le potenze occidentali (al fine di rafforzare la sua posizione sullo scacchiere etiopico, rendendo possibile il suo sogno di scalzare l’imperatore Johannes IV dal trono), fece immediatamente capire al missionario cappuccino l’intenzione di trattenerlo nel suo regno.

Da quel momento Massaja — che si trovava formalmente al di fuori dalla sua giurisdizione territoriale — divenne una sorta di "consigliere di corte" del futuro imperatore, ruolo per il quale ottenne anche l’autorizzazione personale del pontefice.

La corrispondenza diplomatica con il re d’Italia

Il missionario piemontese poté svolgere senza intoppi questa sua particolare attività — missionaria e "politica" — fino almeno al giugno 1872, quando, di fronte alle insistenti pressioni di Menelik, non poté esimersi dal fare da tramite a un’ambasceria al re d’Italia, per proporgli un trattato di amicizia e collaborazione italo-scioano.

Massaja predispose allo scopo due lettere diplomatiche, una per il ministro degli Esteri Visconti Venosta e una per re Vittorio Emanuele II. In quest’ultima il vescovo cappuccino non mancò di manifestare il suo affetto personale per il sovrano (conosciuto in anni giovanili), ma anche la sua amarezza per i modi in cui si era realizzato in Italia il processo risorgimentale.

Maestà, scrisse Massaja, "voglio cogliere l’occasione per scriverle anche io a titolo mio privato […] che non l’ho dimenticato, e non lo dimentico, a fronte che trà Lei e me vi sia una distanza tale che il metro e il calcolo umano non saprebbe misurarla; […] maestà, quando io penso che Ella è arrivata all’apogeo di un regno che in quei tempi sembrava un sogno il mio cuore si perde oppresso da due sentimenti che io quì non posso esprimere, ma che Ella capisce certamente senza che io lo dica".

Il Cappuccino piemontese fece quindi cenno alla possibile prospettiva di rapporti più stretti tra i due regni, ma dichiarandosi disposto a collaborare solo a patto che il governo italiano avesse provveduto a inviare nello Scioa "qualche persona di cuore e di calma".

Tutte le cautele di Massaja si rivelarono tuttavia inutili. L’iniziativa produsse infatti in Italia una ridda di reazioni, alimentando tra l’altro l’interesse per quelle aree da parte della Società Geografica Italiana (sodalizio nato a Firenze nel 1867 per iniziativa di Cesare Correnti e di Cristoforo Negri: proprio l’uomo della lettera del 15 gennaio 1857).

Vedersi additato come l’"alleato" di uno stato che aveva "umiliato" la chiesa e il papa fu, per Massaja, un colpo durissimo. Il che spiega anche lo scarsissimo entusiasmo con cui, quattro anni dopo, egli accoglierà la nuova richiesta di Menelik, ormai alla ricerca affannosa di alleati e di armi in Europa, di organizzare una seconda ambasceria, per chiedere al re d’Italia sostegno politico e materiale.

Non potendo permettersi di perdere l’appoggio del re dello Scioa, divenuto indispensabile per proseguire la sua missione in Africa orientale, Massaja alla fine accettò la richiesta di Menelik, non prima tuttavia di avere scritto personalmente a Pio IX, per informarlo della vicenda.

L’espulsione dall’impero

Johannes IV, imperatore d'Etiopia.
Johannes IV, imperatore d'Etiopia.

Sarebbe impossibile pretendere di riassumere in poche righe i termini e i risultati di questa seconda delicata ambasceria. Basti qui solo ricordare che una delle sue principali conseguenze fu il crescente sospetto maturato, da parte dell’imperatore, verso la presenza alla corte dello Scioa del missionario piemontese.

Duramente sconfitto dalle forze imperiali, nel marzo 1878 proprio Menelik dovette alla fine accettare le durissime condizioni di pace impostegli dall’imperatore, tra cui l’allontanamento dallo Scioa di tutti i missionari cattolici, a partire da Massaja.

Alla vigilia della Pasqua 1879 Johannes IV ricevette alla corte imperiale il missionario cappuccino e il 3 ottobre 1879 gli notificò il decreto di espulsione da tutti i territori dell’impero.

L’allontanamento forzato dalle terre in cui aveva trascorso quasi 35 anni di lavoro missionario rappresentò un durissimo colpo per Massaja. Ma egli non biasimerà mai la decisione dell’imperatore.
Come scriverà anche nelle sue memorie:

L’imperatore Giovanni in facia alla sua conscienza ed al suo Dio fù con me giusto nei suoi rigori, e lo sarà anche con tutti i nostri viaggiatori nelle stravaganti loro pretenzioni d’introdurre nei suoi paesi una nuova civilizzazione al di là dei suoi calcoli, dei suoi usi, e dei suoi pretesi diritti. Tolto Dio naturale creatore e padrone, egli è padrone in casa sua, come crediamo di essere noi in casa nostra, ed ha pieno diritto di giudicarci come nemici, oppure rispettarci come amici e benefattori a suo tempo, avendo da rendere conto a nessuno in facia al codice ateo del nostro progresso, il quale conosce nessuna morale e nessun diritto al di là della forza brutale.

Minato nel morale e nel fisico, alla fine di un massacrante viaggio, il Cappuccino piemontese raggiunse il Cairo nel febbraio 1880 e il 23 maggio 1880 firmò la rinuncia ufficiale e definitiva al vicariato apostolico dei galla, accolta da papa Leone XIII il 3 giugno.

Il Cardinal Massaja Apostolo dell’Abissinia. Travestito da mercante attraversa l’Egitto, dove riesce a liberare un chierico cattolico prigioniero.
Il Cardinal Massaja Apostolo dell’Abissinia. Travestito da mercante attraversa l’Egitto, dove riesce a liberare un chierico cattolico prigioniero.

Un inaspettato ritorno

Massaja si trovò così improvvisamente a doversi confrontare con una prospettiva inattesa: quella di finire i suoi giorni nella sua antica patria, che credeva di avere abbandonato per sempre, con il rischio di doversi nuovamente confrontare con un contesto politico molto distante dai suoi desideri.

Proprio riferendosi alle tendenze all’anticlericalismo e al laicismo che ormai, a suo parere, animavano gran parte dei governi europei dell’epoca, in un passaggio delle sue memorie scriverà amaramente:

Io ho desiderato […] che una potenza europea fosse corsa in ajuto alla Chiesa di Dio per mettere un poco di ordine nella povera Abissinia […], ma dopo che ho veduto cantarsi impunemente […] qui le glorie di Satana, non lo desidero più. L’Abissina facia quello che può da se, e l’apostolato della Chiesa lavori per la sua salute, ma stia pure lontana la satanica nostra civilizzazione, affinché non arrivi la anche il morbo.

Quanto agli onori che gli sarebbero stati ripetutamente tributati in patria, nell’ultimo scorcio della sua vita, in una lettera del giugno 1885 all’ex ministro generale dei Cappuccini Egidio Baldesi da Cortona, egli chioserà (alludendo a un’iscrizione in marmo che i suoi concittadini avevano voluto dedicargli):

Come Ella ben sa, la questione di Patria e di parenti è per un religioso una macchia più che un’onore, e quella di lapidi è un tratto dell’attuale nostro paganesimo, il quale venera la civiltà romana dei nostri antichi pagani più della cristiana canonizzata dalla Chiesa. Ella colla Sua lettera […] ha voluto compatirmi volendo far eco alla mia debolezza, supponendomi di accordo colla mia Patria e parenti, ma grazie a Dio posso assicurarLa che no.
Panorama di Piova d'Asti, paese natale del Cardinal Massaja.
Panorama di Piova d'Asti, paese natale del Cardinal Massaja.

Dal Monferrato al mondo…

Sulla figura del Cardinal Massaja si è scritto e detto molto, talvolta anche manipolando il senso delle sue azioni e delle sue scelte.

Noi di Rivista Savej l’abbiamo scoperto e apprezzato a partire dalla passione e curiosità con cui l’amico Marco Gobetti ci ha parlato di questo piemontese missionario, la cui storia costituisce il caposaldo del progetto Dal Monferrato al mondo passando per l’Etiopia nato dalla collaborazione tra Marco Gobetti e Valentina Cabiale.

Cosa lega il Monferrato all’Etiopia?
La storia di Massaja e non solo.
La storia dell’antichissima presenza umana e animale, documentata da resti archeologici e paleontologici, di entrambi i territori, e non solo.

Nella fase inaugurale del progetto, nell’autunno 2015, sono state realizzate diverse narrazioni pubbliche su questi temi e sulla figura del cardinal Massaja in particolare. Sul sito sono disponibili approfondimenti e video degli interventi, tra cui quello del prof. Mauro Forno (autore tra l’altro di questo articolo) Il cardinal Massaja e l’espansionismo coloniale italiano e di padre Mario Durando Un bogia nen in viaggio fra Italia e Africa. A quest’ultimo è andato anche il compito di presentare l’opera Memorie storiche del vicariato apostolico dei Galla: 1845 — 1880 a cura di padre Antonino Rosso che ha trascritto e raccolto i manoscritti di Massaja.

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Bibliografia

  • Forno M., Tra Africa e Occidente. Il cardinale Massaja e la missione cattolica in Etiopia nella coscienza e nella politica europee, Bologna, Il Mulino, 2009.
  • Pronzato A., Tanta strada sotto quei sandali… Cardinale Guglielmo Massaia un santo dimenticato, Milano, Gribaudi, 2009.
  • Rosso A. (a cura di), Memorie storiche del vicariato apostolico dei Galla 1845–1880, Padova, EMP, 1984.
  • Rosso A., Evangelizzazione, promozione umana, fama di santità, Pinerolo, Officine Grafiche di comunicazione, 2003.
  • Siccardi C., Il Cardinale Guglielmo Massaja missionario in Africa. Nella solitudine della Croce, Cinisello Balsamo, San Paolo Edizioni, 2011.
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