I sapori e i colori di Camillo Francia

Una bucolica casa d’artista

Camillo Francia, “Terra e cielo”.
Roberto Coaloa
Roberto Coaloa

Storico, biografo di Tolstoj, slavista, traduttore, critico letterario, autore di saggi dedicati al Risorgimento, alla Grande Guerra e ai viaggiatori, come Carlo Vidua, collabora a Il Sole-24Ore e La Stampa. È uno dei più autorevoli specialisti della storia dell’Austria-Ungheria. Si definisce “flâneur esistenzialista”: un instancabile ricercatore di cose rare e amateur di musica.

  

A Camino (AL), nel Basso Monferrato, terra meravigliosa, ricca di antichi castelli, vigneti e ampi boschi, vive e lavora il pittore Camillo Francia, bon vivant e grafico-editoriale. Camino è un centro importante, ricco di storia. Accanto al paese, arroccato su una collina, troviamo le sue frazioni: Piazzano, Rocca delle Donne e Castel San Pietro, celebre oggi, non tanto per la sua gloriosa storia, ma per una famosa trattoria, indimenticabile per chi ama il fritto misto alla piemontese.

Camillo Francia nel suo studio. Alle spalle il suo quadro “Arabesque”, olio su tela, cm. 100 x 100.
Camillo Francia nel suo studio. Alle spalle il suo quadro “Arabesque”, olio su tela, cm. 100 x 100.

Merita una parentesi raccontare il “calvario”, degli appassionati del genere, alla trattoria: si inizia, da tradizione, con gli affettati, tra cui il famoso salame cotto, seguito dalla carne cruda e dai peperoni in bagna cauda. Una piccola ouverture di agnolotti e poi arriva il piatto principe, il fritto misto, mangiato con cupidigia in tutti i suoi componenti: dagli amaretti alle cervella, dal semolino dolce con le gocce di cioccolata, dalla mela, alla bistecca impanata, dalla salsiccia, ecc. Di solito si finisce a pomeriggio inoltrato con il dolce, il bunet, caffè e grappa. Ci siamo attardati a questa atavica saga monferrina perché l’ospitalità e la cucina fanno parte del mondo di Camillo Francia, come tra poco vedremo. È davvero magico questo angolo del Monferrato e vale un viaggio, scoprendo il paradiso dell’artista.

Una studio immerso nel verde

Casa di Camillo Francia, settembre 2018.
Casa di Camillo Francia, settembre 2018.

La casa-studio di Camillo Francia è una vecchia cascina, dove un tempo viveva il podestà del paese. Dagli anni Novanta è diventata proprietà del pittore con un ettaro di terreno, che comprende il boschetto e gli spazi dove Camillo raccoglie le erbe per fare i buonissimi friciulin e le verdure che mette in vasetti, durante l’estate, per l’antipasto piemontese “agrodolce”, specialità del padrone di casa.

Chi scrive ha avuto la fortuna di provare questo antipasto, piacevolmente agrodolce (portandosi a casa una scorta di vasetti dell’agosto 2017), ottimo da accompagnare con un sorso di Grignolino. Completa il quadro pastorale di Camillo la presenza di quattro gatti, vari uccelli e l’immancabile tasso, grande scavatore.

Copertina del libro “L’imbroglio del turbante” di Serena Vitale.
Copertina del libro “L’imbroglio del turbante” di Serena Vitale.

La casa-studio è a due passi dalla famosa trattoria e a una decina di minuti dalla casa natale del profeta Mansur, Giovanni Battista Boetti, che secondo una tradizione sarebbe il profeta-condottiero, leggendario frate missionario che nel Settecento, trasferendosi in Medio Oriente, diventò capo di un esercito islamico che cercò di sfidare la grande zarina Caterina II.

Camillo Francia ama parlare della storia del Monferrato, privilegiando i sapidi aneddoti dei frati e delle monache del Medio Evo, con i loro monasteri, ricchi di sorprese, spesso macabre… Su Mansur, però, chi scrive deve spendere qualche parola in più, per omaggiare la grande slavista, studiosa e amica Serena Vitale, che di questo personaggio misterioso ha fatto il protagonista di un suo romanzo: L’imbroglio del turbante.

Un misterioso condottiero

Seduti, in compagnia del gattone bianco e nero, sorseggiando un bicchiere di vino, coccolati dalla luce splendida che bacia questo lembo del Monferrato, Camillo ed io rievochiamo quella storia, che si svolge in Russia, Ossezia, Daghestan, Cecenia, Costantinopoli e Crimea.

Camillo Francia e il gatto Gamba di legno, marzo 2018.
Camillo Francia e il gatto Gamba di legno, marzo 2018.

Siamo negli anni che precedono la Rivoluzione francese e in quelle terre — contese dalla Russia e dalla Sublime Porta — la predicazione di Sheykh Mansur (il Vittorioso), un condottiero che riesce a radunare migliaia di combattenti e chiama i popoli della regione ad una rivolta contro i russi, sconvolge il potere della zarina Caterina II. La rivolta richiama l’interesse delle altre potenze europee, mentre si diffonde la notizia che il misterioso condottiero sarebbe un piemontese: un monferrino nato a Piazzano, tale Giovanni Battista Boetti.

Questo eroe da leggenda è stato ispiratore della resistenza al dominio russo; echi dell’antica rivolta si trovano anche nel romanzo breve di Lev Tolstoj Chadzi-Murat. Era Mansur-Boetti, il “Fanatico”, il profeta di un nuovo Islam puro e combattivo?

Il nettare del Profeta

Bottiglia di Barbera con l’effigie di Giovanni Battista Boetti.
Bottiglia di Barbera con l’effigie di Giovanni Battista Boetti.

Dopo la visita a Camillo Francia, dopo aver letto anni fa, con ammirazione, L’imbroglio del turbante, ho deciso di visitare, comme il faut, Piazzano di Camino, prima che tramontasse il sole. Da flâneur mi sono divertito a osservare e a fotografare la casa natale di Giovanni Battista Boetti, soprattutto ho “invaso” la tenuta Boetti (ora proprietà del giovane Mauro Rondano), che produce ottimi vini, come il Barbera.

Sulla bottiglia di Barbera c’è l’effigie di Giovanni Battista Boetti… Il vino, e non poteva essere diversamente, si chiama “Il nettare del Profeta” (si tratta di un vino genuino e il tappo, col sigillo in arabo, merita davvero il viaggio periglioso fino alla sperduta Piazzano, dove il tempo appare più lento, tra secolari boschi e vigneti).

È stato uno spasso impagabile la gita tra i campi del Monferrato — bottiglia (“buta”) in mano e sigaro acceso a sfidare i cieli indecifrabili di questa zona davvero magica — ma, smesso l’abito del flâneur, mi sono gettato al lavoro: da topo d’archivio ho radunato alcune notizie interessanti, forse utili a chi vorrà “completare” l’opera di Serena Vitale.

Il piemontese Sheykh Mansur

Meno conosciuta di quelle di Cagliostro o di Casanova, ma più ricca di risvolti avventurosi e di misteri, oltre che di implicazioni politico-religiose, è, infatti, la vita di Giovanni Battista Boetti, diventato lo sceicco e profeta “Al Mansur”, nato a Piazzano nel 1743 e morto, come “detenuto perpetuo”, nel monastero russo di Solovetsk, sul mar Bianco, nel 1798.

Sulla lapide posta nella casa natale, si legge una generosa, e molto ridondante, epigrafe, dettata a fine Ottocento dal locale parroco don Perpetuo Dionigi Damonte, “più orgoglioso del cittadino famoso che dubbioso delle sue proposizioni ereticali” (come hanno osservato Elio Gioanola e Dionigi Roggero in un loro recente saggio):

In questa casa nacque il 2 giugno 1743 Giovan Battista Boetti, che sotto il nome di Profeta Mansur, Sheikh-Oghan-Oolò, alla testa di ottantamila uomini, conquistò l’Armenia, il Kurdistan, la Georgia, la Circassia e vi regnò per sei anni qual sovrano assoluto. Morì nel 1798 a Solowetsk nel Mar Nero [Bianco, n.d.A.].

Qualcuno, tuttavia, deve averla “ritoccata” recentemente la lapide: come si vede dalla mia fotografia, l’epigrafe recita “Mar Bianco”. Chi l’avrebbe mai detto di trovare una testimonianza su Mansur talmente “genuina” e antica tra le belle colline di Camino?

A sinistra: ritratto di Giovan Battista Boetti. A destra: epigrafe su Boetti-Mansur a Piazzano.

L’incontro con Cagliostro

Mi viene in mente che Cagliostro ebbe un incontro con Boetti, in una città che confina con questa regione…

Conte di Cagliostro
Conte di Cagliostro

Giovanni Battista Boetti, saputo dell’arrivo a Vercelli del conte-ciarlatano, si precipitò nella città, pare per un fatto per lui denso di richiami: della comune nascita il due di giugno, nel segno dei gemelli. A Vercelli Giuseppe Balsamo, al culmine della sua fortuna, arriva nel 1780 proveniente da Venezia, ricchissimo e di ambigua rinomanza. Spiritista e negromante, massone e cabalista, con i suoi pretesi miracoli, gli elisir di lunga vita, le pozioni magiche è riuscito a fare un mucchio di soldi e viaggia come un principe, accolto ovunque dall’entusiasmo delle folle.

Boetti è molto curioso degli strani poteri che Cagliostro esibisce, perché vorrebbe usarli anche lui nel suo sogno tra mistico e infantile di onnipotenza, convinto com’è da sempre che la provvidenza lo abbia scelto per grandi imprese nel disegno di un rinnovamento del mondo. L’incontro tra i due avviene sotto le splendide volte della cattedrale di Sant’Andrea e il loro colloquio spazia dalla stregoneria all’alchimia, alla teologia, alla cabala, alla cosmogonia egizia. Boetti scriverà su questo incontro:

Questo secolo volge rapidamente al tramonto. Indeciso e titubante per ottant’anni, questo tramonto balugina già di bagliori sanguigni. Cagliostro ne è la confusa immagine, occorre una resurrezione.

Uno o più Mansur-Boetti?

La resurrezione del mondo decaduto sembra la vera ossessione di Boetti. Spirito inquieto, dotato di grande intelligenza e di una formidabile memoria, il futuro Mansur è indirizzato dal padre, il notaio Spirito Bartolomeo, uomo prepotente e violento, agli studi di medicina, ma lui è troppo curioso e pieno di interessi diversi per acconciarsi a questo tipo di studi e di professione. Per questo scappa dal collegio di Torino, viene ripreso, scappa di nuovo e comincia così i suoi frenetici viaggi per l’Europa, guadagnandosi da vivere col servizio militare ma soprattutto con le elargizioni che riceve dalle donne innamorate di lui.

Casa natale di Giovan Battista Boetti.
Casa natale di Giovan Battista Boetti.

In Italia è documentato a Roma e a Venezia. In maniera improvvisa è folgorato dalla vocazione religiosa mentre si trova nel santuario di Loreto. A Ravenna chiede di entrare nell’Ordine domenicano e nel 1764 prende i voti. Dopo anni di studi teologici, chiede di essere mandato in Turchia a predicare il Vangelo, ma i superiori gli indicano come meta Musul, la città devastata dell’Iraq. Le tappe del viaggio sono raccontate in dettaglio nella Relazione anonima in francese venuta alla luce misteriosamente a un secolo e mezzo di distanza.

Le ricerche di Serena Vitale portano con sé un fiume di altri dati. La studiosa si districa tra fatti indimostrabili e contraddittori, e molti altri personaggi, fra cui un doppio di Mansur-Boetti che percorre la strada inversa: da musulmano raggiunge Firenze dove si fa battezzare cristiano, viene ordinato domenicano per poi essere riconosciuto anch’egli, secondo alcune fonti, nel ruolo del condottiero ceceno. Ma allora chi è, se c’è, il protagonista di questa storia? Erroneo sarebbe volerne individuare uno. Il romanzo è diviso tra i due protagonisti: da una parte la grande Caterina, dall’altra il quasi sconosciuto Giovanni Battista Boetti.

Agli albori della carriera artistica

Lasciamo da parte Boetti, forse il vero Mansur, e ritorniamo all’artista. Camillo, però, vuole ricordare ancora un particolare. Il Boetti di Piazzano era l’avo dell’artista Alighiero Boetti, che insieme a Giovanni Anselmo, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio, ha fatto parte del gruppo “Arte povera”.

Alighiero Boetti e il gufo Rémè a Kabul nel 1972 (© Archivio Alighiero Boetti).
Alighiero Boetti e il gufo Rémè a Kabul nel 1972 (© Archivio Alighiero Boetti).

La storia di Camillo Francia, nato a Casale Monferrato il 30 gennaio 1955, è tutta da scrivere. È un bambino inseparabile dal suo giocattolo preferito: la “valigetta del pittore”, che porta ovunque, anche a scuola. Autodidatta, cresciuto tra Cella Monte e Casale, giovanissimo, a quindici anni, apre il suo primo studio, grazia alla madre. Camillo si dedica al disegno a china, in una città di provincia, ma dalle solide tradizioni artistiche. Nel 1970 il giovane artista si trasferisce a Milano per occuparsi di restauro di dipinti, antichi e moderni. Lì soddisfa un suo desiderio: realizzare un contatto diretto, anche fisico, con alcuni capolavori dei Maestri di ogni tempo, emozionandosi nel tenere in mano le opere di Picasso, Chagall, Mirò e Boccioni.

Nel 1979 realizza un gruppo di disegni ispirati alle poesie di Prévert, Eluard, Apollinaire e Baudelaire, che vengono presentati in volume da Davide Lajolo e recensiti da Mario Pomilio. Diventa un figurativo surrealista, cercando una strada, assai lunga, fatta di lavoro solitario, che lo porterà ad essere uno dei più amati pittori contemporanei, informale, astratto.

Armonia cromatica

La sua pittura oggi è caratterizzata da vivacissimi colori primari intrecciati in soluzioni informali fortemente innovative, che lo apparentano alla tradizione dell’espressionismo astratto europeo.

“Finestra”, olio su tela, cm. 80 x 80, 2009.
“Finestra”, olio su tela, cm. 80 x 80, 2009.

Di Camillo Francia artista, Vittorio Sgarbi ha tracciato questa esatta valutazione dell’opera nel 2005:

È un pittore dell’immagine astratta, che ha conservato una forte nostalgia nei confronti della figurazione. La sua gestualità informale compone tasselli cromatici fortemente allusivi, a proposito dei quali si può ben sottolineare la capacità di rovesciare i canoni del vero riconoscibile, reinventandone tipologia e struttura. Egli sembra così accostarsi a quei maestri del passato, che volevano attuare la loro ricerca analitica superando, senza tuttavia rinnegarli, i confini del verismo e del realismo. Calcolando e distribuendo colori e spazi in modo contrappuntistico, questo artista sa elaborare una sorta di scrittura rapida e immaginosa, elaborata con evidenza attraverso una riflessione approfondita sull’essenza dell’immagine. In questi lavori si sottolinea il carattere ingannevole della forma, e quindi emerge l’espressività sussurrata di una intelligenza introversa, nobilmente espressiva nei giochi ritmici con cui traduce il suo impulso creativo. Il rapporto tra la materia pittorica e il gioco segnico si stabilisce in masse dinamiche piuttosto ermetiche, ma molto ben concluse nella dialettica spaziale che stabiliscono con i fondi. Pittore eminentemente gestuale, Francia mette in luce, in modo emblematico, eventi costituiti da proliferazioni segniche, che appaiono come prodotte spontaneamente da una natura libera e incontaminata. Questo modo di distendere il colore definisce quindi strutture armoniche che, pur nella compiutezza appagante dell’insieme, sottintendono tensioni e rielaborazioni di un pensiero problematico. La manipolazione della materia cromatica traccia rugosità, distende forme arcuate e ariose, ma soprattutto si accende in improvvise illuminazioni, che si concretizzano come corpi astrali o come narrazioni visive dell’inarrestabile ciclicità delle stagioni. Dalla lezione storica del lirismo informale Francia ha tratto il tocco magico e alchemico che trasmuta la materia in effusioni spaziali, obbedendo alle regole e alle imprevedibilità di un patto amoroso. La sua coscienza pittorica affronta il mistero di un vero irraggiungibile, ma sempre presente come intuizione generativa del suo comporre, approdando infine all’enunciazione di presenze immanenti e precarie come residui di esperienze oniriche. La forma destrutturata si ricompone quindi in sinfonia e si ricostruisce fino ad attuare una personalissima significatività espressiva, caratterizzata da prevalenze tonali che tendono, in ultima analisi, alla monocromia.
Da sinistra: Camillo Francia, Enrico Colombotto Rosso e Vittorio Sgarbi, Torino, Galleria Narciso.
Da sinistra: Camillo Francia, Enrico Colombotto Rosso e Vittorio Sgarbi, Torino, Galleria Narciso.

Una gioiosa solitudine

Camillo Francia è artista famoso, ma rimane appartato, nel suo Monferrato, lontano dai clamori delle grandi mostre, a cui comunque ha partecipato, acclamato dai critici (della sua intensa attività artistica si può trovare una dettagliata rassegna delle sue mostre nel catalogo Hortus conclusus. Il giardino segreto, del 2012).

L’artista ama il suo buen retiro monferrino, i suoi gatti, la sua libertà. E anche la sua opera, che semplicisticamente potrebbe sembrare un esplicito riferimento iconografico, come ha già osservato Sgarbi, diventa un sottile gioco di mascheramento, che richiede uno sforzo di comprensione da parte dell’osservatore, coinvolgendolo, per altro, in un piacevole e partecipe dialogo con l’autore.

Camillo Francia nel suo studio, marzo 2018.
Camillo Francia nel suo studio, marzo 2018.

Paolo Levi ha osservato che nelle opere dell’artista la bellezza pittorica e grafica rivela impulsi gioiosi:

Il tratto amplifica spazi rasserenanti, e la compiutezza di una conciliazione con la vita. Camillo Francia è un grande pittore di mestiere, che sa risolvere con abilità la sfida sempre aperta con la tela vuota, sulla quale l’apposizione del segno e del colore non è mai elementare, e dove la forma-colore appare profondamente compenetrata all’intenzione mentale.

Il rosso e il bianco

È bello vagare nelle ampie stanze dove Camillo lavora, studia e rivede le sue opere del passato, ordinate in quello che lui chiama “magazzino”. Ama il rosso e si resta ammirati dinanzi alle opere in cui il colore diventa fiamma. Poi ci sono i bianchi, eleganti, come quello dedicato a raccontare l’opera di Tolstoj, Anna Karenina, dove Camillo ha scelto di ritrarre i due protagonisti minori, Levin e Kitty.

Camillo Francia,
Camillo Francia, "Kitty e Levin", olio su tela, cm. 60 x 60. Opera eseguita per la mostra “Lev Tolstoj e l’Italia” a cura di Roberto Coaloa, 2016.

Chi scrive ammira l’opera di Camillo Francia, pittore alto, irraggiungibile. E poi come non innamorarsi dei suoi colori, che rispecchiano un’anima equilibrata, anch’essa alta e irraggiungibile.

“Gioco di farfalle”, olio su tela, cm. 60 x 60, 2013.
“Gioco di farfalle”, olio su tela, cm. 60 x 60, 2013.

Pittore eccezionale, nascosto in terre misteriose, indecifrabile come il personaggio di Mansur-Boetti. Camillo vive felice in un universo tutto suo, fatto di esseri fantastici, di donne bellissime, di animali simpatici ed esseri allegri di fiaba e di oziosi vampiri, come il sottoscritto, che per un attimo si gode questo paradiso. Per poco. Camillo mi sembra uno scrittore russo fin de siècle, che sembra guardare la vita degli altri da un’interiorità infinita, come le nuvole o le stelle potrebbero guardare. Camillo sorride, divide il piacere di un bicchiere di vino con il suo ammiratore, si accende una sigaretta, accarezza il gatto, e accompagna con occhi dolci e buoni, con infinita comprensione, il suo ospite, che (ne è ovviamente certo) non lo avrebbe mai compreso, se non cominciando ad essere un po’ genio, buono, come lo è chi ha scelto di abitare le diafane regioni dello spirito, per una intelligenza straordinaria, lontano dagli affanni quotidiani.

📌 Studio Camillo Francia
Via Ombra, 2
15020 Camino (AL)

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Bibliografia

  • Barbero G., Francia, il pensiero tra segno e colore, Roma, Verso l’Arte Edizioni, 2001.
  • De Santi F., I confini dell’anima nella ricerca pittorica di Camillo Francia, Roma, Verso l’Arte Edizioni, 2002.
  • Levi P., Camillo Francia. Il colore della conoscenza, Torino, Piemonte artistico e culturale, 2005.
  • Sgarbi V., I giudizi di Sgarbi, Milano, Giorgio Mondadori Editore, 2005.
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