Lo studioso o l’appassionato di storia del Piemonte che voglia un quadro completo e accurato circa le vicende che hanno visto i piemontesi di ieri e di oggi nella veste di protagonisti di storie di viaggio e migrazioni non potrà fare a meno di leggere gli studi e le ricerche condotti da Giancarlo Libert e appassionarsi alle molte storie che lo studioso salva dalla dimenticanza.
La maggior parte di queste storie sono frammenti di vite di personaggi allo stesso tempo comuni e straordinari: in alcuni casi Libert ci riporta le voci di interviste fatte a contadini o operai, altre volte ci racconta di personaggi “famosi”, come è il caso della nonna di Papa Bergoglio, raccontato nel suo ultimo libro Nonna Rosa attraverso la figura della nonna, colei che insegnò al Papa il piemontese e gli trasmise anche una profonda fede (il libro, che ha già avuto numerose ristampe, è stato scritto a quattro mani con Orsola Appendino; il ricavato è devoluto all’associazione “Haciendo Lio” di Buenos Aires).
La mia attenzione è stata attirata verso i libri di Libert grazie a mia nonna, originaria di Monale d’Asti proprio come gli avi dell’autore. Il cugino primo di mia nonna, tutt’oggi residente nell’astigiano, un giorno le telefonò, dicendole:
Ma sai che c’è un "giuinot" che vien da Monale che ha fatto tutti degli studi sui Grattapaglia? Sai, per via di Renzo che è emigrato a Montauban. Ci parliamo a volte, gli ho raccontato un po’ di cose sui nostri vecchi! Ben che poi ormai siamo vecchi anche noi! Ti mando i libri allora eh.
E così mia nonna, che sa che mi interesso di “roba vecchia”, di manoscritti, di cartacce del passato, e che ho da un po’ di tempo l’idea di scrivere un romanzo sulla storia della mia famiglia lato materno, mi ha dato i libri ricevuti da suo cugino di Asti.
Ne L’emigrazione piemontese nel mondo. Una storia millenaria (Aqu4ttro edizioni, 2009) trovo citate le vicissitudini di quel ramo della mia famiglia che emigrò in Francia, e che mia nonna tante volte mi ha raccontato a voce, assieme ad alcune foto d’epoca molto suggestive delle persone e dei luoghi. Le testimonianze sono state raccolte dal meticoloso lavoro di intervista che ha condotto l’autore, che con pazienza ha contattato, attraverso le varie associazioni di Piemontesi all’estero, tutti i testimoni ancora viventi.
Dal libro vengono a galla i ricordi di testimoni evidentemente appassionatissimi e impegnati nell’ambito della promozione e conservazione della lingua e della cultura piemontesi, che alle domande e curiosità dell’intervistatore rispondono con dovizia di aneddoti e particolari, non tralasciando di narrare storie a proposito del lavoro che hanno svolto all’estero, delle sorti degli altri famigliari e della vita lavorativa e sociale che hanno costruito nel loro paese d’adozione.
Nel libro Astigiani in Francia. L’emigrazione dal medioevo all’età moderna. I caduti della Grande Guerra (vol. 1 Fonti e documenti, Aqu4ttro edizioni, 2016) trovo proprio riportate le interviste, leggermente rimaneggiate dall’autore per quanto concerne lo stile letterario, condotte con diversi membri della mia famiglia, alcuni dei quali ho anche avuto modo di conoscere di persona. Nelle trascrizioni riportate da Giancarlo sembra proprio di vederli parlare in carne e ossa, e questo è certo dovuto alla bravura, al tatto e all’empatia di chi il libro l’ha pensato e scritto. Superfluo ripetere che le testimonianze così raccolte permettono allo studioso di avere una traccia etnografica oggi preziosa, e che certamente andrà ad acquisire sempre maggior valore storico e culturale con il passare del tempo.
Sarebbe oltretutto interessante sottoporre a studio linguistico la parlata di questi ultimi superstiti di un’emigrazione ormai davvero lontana nel Novecento (si tratta qui di migranti piemontesi partiti dalla loro terra di origine negli anni ’40 e ’50, per lo più), meglio se attraverso il supporto di registrazioni audio destinate a essere conservate nel tempo: questi parlanti sono testimoni di un piemontese per così dire incontaminato da tutto ciò che, foneticamente e lessicalmente, è accaduto nei settanta, ottanta anni seguenti, avendo conservato gelosamente parole, modi di dire e accento che i nostri piemontesi rimasti in patria hanno perso per via del contatto costante con l’italiano.
In apertura dei suoi libri Libert è solito fornire al lettore un inquadramento storico che si rifà alle prime testimonianze disponibili riguardanti l’emigrazione delle aree di suo interesse, iniziando quindi spesso la narrazione dall’epoca antica, passando per cenni di storia medievale. In tema di documentazione e ricostruzione storica delle vicissitudini delle famiglie piemontesi durante i secoli medievali, tanto avrebbero da dare le fonti documentarie di tipo notarile conservate presso gli archivi italiani (è nota l’estensione documentaria conservata all’Archivio di Stato di Torino, ad esempio); al momento di compravendite o altri tipi di negozi, i notai erano obbligati a chiamare a sé dei testimoni che conferissero pubblica e riconosciuta validità al documento, che garantissero la stipulazione dell’accordo con la loro presenza e poi con la loro sottoscrizione. Possiamo quindi leggere nomi e cognomi dei nostri antenati comparire in calce a documenti del XII o del XIII secolo addirittura, come è il caso ad esempio — e di nuovo — dei miei antenati Grattapaglia in questo documento del 1181:
Anselmus Gratapaleas è chiamato come testimone di un accordo stipulato di fronte al signore di Saluzzo, al fine di regolare una lite avvenuta tra i cittadini di Asti e i cittadini di Alba (da un documento notarile privato dell’Archivio di Stato di Torino).
Del medesimo autore, e sempre a proposito dell’emigrazione piemontese all’estero, ricordiamo anche Astigiani nella Pampa, Cuneesi nella Pampa, Torinesi nella Pampa (edito da Atene del Canavese) e Alessandrini nella Pampa, libri scaturiti non solo dallo studio di fonti, documenti, foto e da interviste, ma anche dai viaggi dell’autore in Argentina, dove la consultazione degli archivi e l’incontro con le comunità piemontesi sudamericane hanno arricchito ulteriormente le ricerche.
Anche in questa “saga della Pampa” è possibile seguire storie avvincenti di piemontesi tanto sconosciuti quanto illustri, come è il caso interessantissimo del cofondatore del giornale La Gazzetta dello Sport, Eliso (o Eliseo) Rivera, nato a Masio nel 1865, poi emigrato in Argentina tra le due guerre, dove proseguì la sua attività di giornalista fondando, anche in terra straniera, alcuni giornali.
Giancarlo Libert oggi è impegnato nello studio delle vicende storiche inerenti la costruzione delle case INA di corso Sebastopoli, progetto di ricerca patrocinato dalla ONLUS “Centro studi e ricerche storiche” fondata da Giancarlo assieme ad altri appassionati ricercatori. Queste case popolari, costruite negli anni Cinquanta in seguito e grazie alla legge Fanfani, permisero a molti abitanti delle campagne di stabilirsi in città a un prezzo adeguato e cercare impiego presso le industrie torinesi. Storia questa volta di “micro-emigrazioni”, di spostamenti in patria.
Giancarlo Libert ha sviluppato nel tempo una passione per la tematica dell’emigrazione dei piemontesi nel mondo, ed è quindi attento anche ai movimenti odierni, alle tendenze di viaggio e alla volontà sempre più presente nei ragazzi di esplorare il mondo e di educarsi attraverso il viaggio e l’incontro con “lo straniero”, per poi tornare e ritrovare, e magari apprezzare con rinnovata passione, le proprie origini. È grazie a questo spirito di osservazione per il mondo che cambia che è possibile incontrare Giancarlo a quasi tutte le iniziative che le diverse province piemontesi propongono per raccontare storie di viaggio, sostenere gemellaggi e incoraggiare lo studio delle migrazioni come studio dell’identità delle persone.