La Rivolta dei Boxer, che travolse la Cina tra il 1899 e il 1901, e culminò con il drammatico assedio delle legazioni di Pechino, è entrata a far parte dell’immaginario popolare grazie al film 55 Giorni a Pechino del 1963. Nel 1959 Peter Fleming (il fratello di Ian, il creatore di James Bond), aveva pubblicato The Siege at Peking, un classico resoconto sugli eventi di Pechino. Si tratta di una rivolta tipicamente “cinese”, nella quale una società segreta si adopera per abbattere un potere ingiusto e delegittimato. Ma questa volta non si tratta di un conquistatore straniero o di una dinastia corrotta, bensì delle nazioni occidentali.
Dopo la Seconda guerra dell’oppio e con il trattato di Tientsin, nel 1860 le grandi potenze occidentali si sono accaparrate un dominio commerciale che sta strangolando la Cina. I Boxer — il cui nome corretto è Yihequan, vale a dire la "Società dei Pugni Giusti e Armoniosi” — intendono scacciare gli stranieri, e soprattutto i missionari cristiani. Godono del tacito supporto imperiale, e attraverso una serie di pratiche mistiche, si considerano invulnerabili alle armi da fuoco. Il che è un bene, visto che sono armati principalmente di lance e spade.
Dopo crescenti disordini e occasionali scontri nelle campagne, il 15 giugno del 1900 le forze dei Boxer attaccano il quartiere delle legazioni, dove si sono rifugiati 900 stranieri (fra militari e civili) e circa 2.800 cinesi di fede cristiana. Ben presto le truppe imperiali si affiancheranno ai boxer nell’assedio delle legazioni, un evento che il New York Times descriverà come
l’episodio più entusiasmante mai accaduto nella storia della civiltà.
La cosiddetta “Alleanza delle Otto Nazioni” (Giappone, Russia, Impero Britannico, Francia, Stati Uniti, Germania, Italia e Austria-Ungheria) organizza un corpo di spedizione per venire in soccorso agli assediati. Fra gli uomini inviati in Cina con il secondo scaglione delle truppe c’è anche Luigi Piovano, tenente di belle speranze delle forze armate sabaude proveniente dalle Langhe. Rimarrà in Cina per cinque anni, fino al 1905, passando al grado di capitano e ricoprendo vari incarichi. Avrà anche modo di visitare la Corea e il Giappone.
Luigi Paolo Piovano era nato a Chieri nel 1868 in una famiglia contadina. Compiuti studi classici, si era arruolato nell’esercito del Regno d’Italia. In Cina servì come comandante di un contingente di artiglieria da montagna stazionato nella Caserma Italia, appena fuori Pechino.
Oggi conosciamo molti dettagli dell’avventura del tenente Piovano grazie alle lettere scambiate assiduamente con i familiari e alle sue fotografie — raccolte nell’Archivio Fotografico Piovano, curato dalla bisnipote. Appassionato della nuova arte, Piovano infatti documenta con assiduità i luoghi e le persone con cui viene in contatto. Ci consegna così una vita e un’avventura condensate in scritti, immagini e quelli che vengono spesso chiamati ephemera: i suoi documenti includono infatti anche opuscoli pubblicitari, inviti, biglietti da visita, cartine geografiche e mappe originali del periodo e dei luoghi che visitò.
Il viaggio di Piovano comincia a Napoli, sul piroscafo “Giava”, che attraverso Suez toccherà Aden, Singapore, Hong Kong, fino ad arrivare a destinazione dopo 38 giorni di viaggio.
Cara madre,
da Singapore ti ho scritto una lettera che ti ho spedito a tre giorni da Hong Kong. Quante cose straordinarie ho visto a Singapore!
Per la prima volta ho visto i Cinesi con i loro codini. Sono davvero brutti, ma neanche troppo, grandi e grossi e buoni. Lavorano moltissimo, e sono calmi e curiosi. Ho capito comunque perché le loro città sono così grandi e frequentate da viaggiatori provenienti da ogni parte del mondo. Ma una delle cose più strane che ho visto sono gli uomini cavallo. Invece dei tranvai e delle carrozze pubbliche ci sono molti piccoli autisti che guidano alcuni mezzi chiamati “risciò” tirati da uomini, che con 50 cent ti portano ovunque tu voglia. E dovresti vedere come corrono!
(Lettera di Luigi Piovano dal piroscafo "Giava" a 3 giorni da Hong Kong, 17 agosto 1900)
Le lettere e le memorie di Piovano sono piene di dettagli curiosi e di senso del meraviglioso. Il tempo e l’esperienza non scalfiscono l’entusiasmo divertito col quale il giovane tenente langarolo descrive eventi disparati quali una licenza trascorsa in Giappone, i matrimoni, i concerti e le occasioni di gala della comunità delle Otto Nazioni, ma anche gli incontri con personaggi improbabili come M.H.St.G.M.Mc Rae del 14° Sikhs, ufficiale britannico che inopinatamente in Cina impara a parlare siciliano…
Statuo bono piciotto, A Rivederci!
Intanto la vita procede. Piovano fa tesoro delle sue lastre fotografiche Ilford e, nel 1901, per 52 lire acquista un cavallo di nome Falstaff, nel frattempo riceve lettere dall’Italia — il fratello gli comunica in toni che oggi possono apparire fin troppo enfatici la notizia dell’assassinio di Umberto I. Nel 1902 ha modo di incontrare l’imperatrice vedova Cixi, che i tedeschi definiscono “l’unico vero uomo nella corte imperiale”.
È certamente questa miscela di umanità e di avventura che rende affascinante e significativa l’esperienza di Piovano. Le lettere di amici e parenti parlano di un uomo generoso, serio ma capace di grandi slanci, da buon “vecchio piemontese”. E poi ci sono i dettagli citati en-passant, come l’occasione in cui Piovano ha modo di salvare la vita di un potente mandarino, che si dimostrerà molto generoso.
Fu una spia per la corona sabauda, Luigi Piovano? Probabilmente non lo sapremo mai, ma c’è una certa aura romantica in tutta questa storia che rende l’idea attraente. Di sicuro i servizi italiani trassero giovamento dalla sua passione per le fotografie, utili strumenti per acquisire informazioni. Nel 1905 Piovano torna a casa, col grado di capitano, una valigia piena di fotografie e una memoria piena di eventi e incontri. C’è da domandarsi se negli anni successivi proverà mai nostalgia per gli anni trascorsi nell’ambiente cosmopolita ed esotico della Cina coloniale.
Luigi Paolo Piovano morì a Chieri nel 1952 con il grado di generale. La sua figura viene oggi ricordata da pochissimi, quasi una nota a pié pagina della strana e dimenticata storia “coloniale” del Regno d’Italia. Ma non tutto viene dimenticato. La bisnipote del generale Piovano (alla quale va la nostra gratitudine per l’assistenza offerta nella stesura di questo breve articolo), sta prendendo spunto dalla vita e dalle memorie del bisnonno per scrivere delle storie poliziesche ambientate nella Cina della Belle Époque. Perché spesso la realtà supera la fantasia, e la fantasia può essere uno strumento utile per conservare il ricordo.
Fanteria italiana a Tientsin nel 1900 e un Boxer durante la rivolta.