"Il signore Giovanni Rastelli, un simpatico giovanotto biondo pieno di slancio e di fuoco oratorio, acclama al voto popolare che ha chiamato a rappresentanti di Lanzo e di Viù uomini che hanno compreso lo spirito dei tempi e chi si propongono di secondarli".
Questo è quanto si poteva leggere l’11 settembre del 1883 nella seconda pagina su La Gazzetta Piemontese, un giovane che la politica da lì a breve, portò dalle Valli di Lanzo fino a Roma.
Giovanni nacque nel 1858 da Giuseppe Rastelli a sua volta figlio del notaio di Lemie e la sua vita fu assai particolare perché pur nascendo in un contesto reso ovattato da un certo benessere familiare, non mancò di lanciarsi in mille attività assai impegnative, forse temprato, da bravo montanaro, anche da quei paesaggi alpestri così particolari e irti. Studiò in parte a Venezia e in parte a Torino, e scoprendosi un buon oratore divenne presto uno dei più apprezzati penalisti del Foro torinese.
Ma la passione per la politica lo travolse così da farlo diventare consigliere comunale a Viù e poi sindaco, consigliere provinciale e infine deputato per tre legislature.
Io lo incontrai idealmente in documenti o altre pubblicazioni. Citato per lo più vagamente con rari approfondimenti. Mi parve incredibile che il primo parlamentare espresso dalle Valli di Lanzo, tra l’altro in un’epoca così particolare, non avesse una biografia o almeno un riferimento proprio. Aveva operato, del resto, pienamente nell’età giolittiana. Quella magnifica stagione riformista e di benessere frutto dell’efficace binomio Giovanni Giolitti — Vittorio Emanuele III. I due si intendevano e guardavano lontano. Poi, purtroppo, le cose cambiarono.
Chi racconta in modo così dettagliato e appassionato queste vicende è lo storico e presidente dell’Associazione di studi storici “Giovanni Giolitti”, Alessandro Mella, una passione per la ricerca del passato che nasce da molto lontano. Per dirla tutta esattamente quando aveva circa quattro o cinque anni, non di più, la famiglia decise di andare a visitare il Museo Egizio di Torino. Lì fu folgorato da quell’esposizione tanto da farsi leggere tutte le didascalie da una cugina più grande. Quando imparò a leggere invece dei fumetti, più comuni tra i coetanei, passò direttamente ai libri di archeologia ripercorrendo le gesta del famoso Heinrich Schliemann.
Dal Museo Egizio alla storia moderna e contemporanea il passo fu breve
finché iniziai a scriverne timidamente anche io. Per un tratto della mia vita armonizzai il mio impegno istituzionale d’allora, il servizio nei vigili del fuoco, con la storiografia e poi allargai ulteriormente i miei orizzonti. Imparai ad amare il restituire la voce a quei personaggi apparentemente minori che l’avevano perduta nel grande calderone della Storia.
Infatti i primi testi di Mella si orientano su storie passate dei vigili del fuoco, alcune anche curiose e inaspettate in luoghi lontani come Malta.
Da qui torniamo nelle Valli di Lanzo all’epoca di Rastelli, per comprendere che ambiente si respirava e come si viveva. Con la costruzione delle strade carreggiabili capaci di collegare le Valli a Lanzo tutto subì un graduale cambiamento. L’economia, per secoli del tutto montana basata su allevamento e poca agricoltura resa difficoltosa dal clima, ma non impossibile, mutò celermente a seguito di questi lavori. Le montagne a pochi chilometri dalla capitale del Regno di Sardegna, Torino, divennero meta del turismo estivo borghese e nobiliare.
Lo confermano ancora oggi non solo le innumerevoli fonti documentali ma anche le molte residenze edificate in quel periodo con incredibili esplosioni di magnificenza liberty. Un vero trionfo della bellezza frutto d’un epoca di grandi speranze, di vivaci entusiasmi e di discreto benessere malgrado le non poche parallele tensioni sociali.
Questo mutamento non sfuggì ai Rastelli che, non a caso, spostarono l’ufficio notarile di famiglia da Lemie a Viù ove non mancavano ospiti illustri con i quali, magari, si potevano creare utili rapporti sociali. Gioberti, D’Azeglio, Pellico, Croce, Lessona, Piumati, Puccini, membri di Casa Savoia e molti altri. Tra loro anche i baroni Franchetti che lasciarono quella magnifica villa che ancora oggi sorge nel centro del paese.
Proprio nell’epoca di Rastelli soggiornò a Bertesseno di Viù anche il poeta Guido Gozzano dove pare iniziò a comporre una sua celebre raccolta, ma è interessante leggere la descrizione di questi luoghi ritrovata nelle sue lettere:
Questo romitorio dista da Torino due ore di treno, quasi tre di diligenza, due più di mulo e quasi una a piedi, tra dirupi e macigni d’asprezza dantesca. Il luogo è bello…Lavoro molto…Alle 6 e mezzo sono già accoccolato su qualche macigno a cavaliere della valle, con il taccuino e la matita, e sogno e respiro. Scrivo poesie.
Come si può vedere
i viucesi impararono, ma anche i montanari delle valli adiacenti, a sfruttare il turismo e a trarne linfa vitale per le proprie famiglie e comunità. Chissà quante grandi e storiche decisioni furono prese segretamente in lunghe passeggiate agostane sulle nostre montagne.
Torniamo alla carriera politica del giovane avvocato, Rastelli si laureò in giurisprudenza nel 1886 diventando in breve tempo, come già accennato prima, uno dei più noti penalisti del foro torinese. Dal carattere forte e deciso gli capitava di alzare la voce con la corte quando lo riteneva necessario per difendere i suoi assistiti. La sua sicurezza e l’arte oratoria gli diedero visibilità e furono preziose per le esperienze politiche successive. Spesso richiesto anche in processi fuori provincia, lavorava a tutto tondo, dai piccoli casi a quelli che riempivano le pagine della cronaca, come nel caso di un fatto di cronaca nera avvenuto a Torino che fece molto scalpore, nel 1900.
Enrico Ballor assassinò con un martello prima lo zio in Corso Vittorio Emanuele 16 e poi una portinaia di Via Magenta 5 per terminare con due donne al circolo Caprissi in piazza Vittorio 19. Un caso che non passò inosservato nemmeno a Cesare Lombroso, padre della moderna criminologia.
L’omicida seriale si ricordò di aver conosciuto l’avvocato quando era giardiniere a Lanzo e lo richiese espressamente per la sua difesa convincendolo della sua innocenza, ma dopo un po’ di mesi ammise la sua colpevolezza ponendo l’avvocato in una situazione imbarazzante, i giornali stranamente non ne approfittarono compatendo la sua delicata posizione che si risolse chiedendo la perizia per la sua infermità mentale.
Nonostante l’impegno politico Rastelli non dimenticò le sue valli e nel 1913 sostenne anche una causa di truffa ai danni di due ingenui giovani sposi di Usseglio. Non riuscendo ad avere figli si rivolsero al sedicente profeta delle Valli di Lanzo, un certo Medeo l’fòl, o meglio Amedeo Olivetti. Questo individuo eccentrico, fisicamente repellente e poco dedito all’igiene personale, vagabondava per le valli vivendo di espedienti, spacciandosi come profeta e guaritore.
I fantasiosi riti che caldeggiava agli sposi, proponendo anche la sostituzione del marito nel letto coniugale, portarono denari e beni nelle tasche del fattucchiere, ma tutto questo lo portò anche dritto in tribunale, ma nemmeno come veggente fu credibile, infatti la profezia che scagliò contro il Rastelli, riguardo alla sua mancata rielezione, si rilevò errata nonostante lo scontro elettorale particolarmente acceso.
Entrando nel vivo, si può dire che le prime due campagne elettorali di Rastelli furono politicamente importanti ma paradossalmente più semplici. Si votava con il sistema uninominale a doppio turno ma con un bacino elettorale assai ristretto. Ogni collegio esprimeva il proprio deputato che poteva agilmente punirlo qualora questi non avesse soddisfatto gli elettori.
Ma, appunto, votavano in pochi. Per lo più benestanti e notabili i quali, spesso, potevano spostare i consensi grazie alla loro influenza nella società locale. Le cose mutarono sensibilmente quando si andò alle urne dell’autunno del 1913. Con l’introduzione del suffragio universale maschile, infatti, il numero e l’estrazione sociale degli elettori subirono un brusco cambiamento perché al voto andarono anche quegli uomini che provenivano da classi sociali più modeste e dei quali occorreva guadagnarsi la stima e la fiducia, per esempio mostrando loro i grandi progressi del paese e nel sociale, le previdenze volute dal governo e così via.
Per questo la campagna elettorale del 1913, che Rastelli condusse contro un avversario abile e capace come il dottor Vittorio Molinari, fu senza esclusioni di colpi. Tra gli strumenti usati ci furono anche i numerosi convivi elettorali che si tenevano riccamente in un tempo in cui l’alimentazione era molto più povera di oggi. Per alcune persone si trattava delle quasi uniche occasioni per mutare un poco una dieta molto povera.
Ma a lato di ciò non mancarono libelli ingiuriosi, colpi bassi e perfino le pistolettate che il parroco di Col San Giovanni indirizzò contro un sostenitore del Rastelli reo di aver provocatoriamente tentato di mettere dei manifesti elettorali sul muro della canonica. Episodio cui seguì un lungo e artificioso processo. Cose alla Guareschi per chi ne ricorda le spassose novelle.
Giovanni Rastelli ebbe una sua formazione politica che lo vide appartenere a quell’area che inizialmente si riconobbe nel termine “costituzionali” per poi progressivamente passare alla definizione “liberali”.
Divenne un giolittiano molto convinto e questa collocazione nell’area liberale ebbe ragioni sia ambientali, sia storiche e sia sociali. Egli era nato in una benestante famiglia della borghesia piemontese e la borghesia fu la grande classe protagonista dell’Ottocento italiano. Il mondo liberale ne era in un certo senso espressione e ne garantiva gli interessi. Ma non c’è solo questo.
Il giovane Giovanni crebbe con in casa uno zio, Martino, reduce della Prima guerra d’indipendenza e tutta la sua adolescenza e giovinezza furono caratterizzate dal clima risorgimentale. Nacque nel 1858 l’anno degli accordi tra Cavour e Napoleone III. Poi vennero la Seconda guerra d’indipendenza nel 1859, lo sbarco dei Mille nel 1860, la campagna del 1860 — 1861, Garibaldi all’Aspromonte nel 1862, la Terza guerra d’indipendenza nel 1866, Mentana nel 1867, Roma capitale nel 1870, la morte di Vittorio Emanuele II e Pio IX nel 1878 e quella di Garibaldi nel 1882.
Insomma egli si formò e maturò leggendo sui giornali le cronache di questi eventi e nel clima che essi portarono nel paese. E del resto chi fece il Risorgimento od almeno ne fu viva protagonista se non la borghesia da cui proveniva? Il passaggio fu, quindi, del tutto naturale e quasi spontaneo. Chissà quante volte egli ascoltò il borbottio dei reduci nei caffè e nelle osterie viucesi, o i notabili confrontarsi sulle scelte politiche di Cavour. Rastelli fu figlio del suo tempo e del suo mondo.
Rastelli, una volta eletto deputato e arrivato a Roma, inizialmente si occupò di quei temi apparentemente minori ma di vitale importanza per la vita delle montagne che amava e le cui genti fu chiamato a rappresentare a Montecitorio.
Esistono i testi di queste interrogazioni parlamentari con cui lui dimostrò di occuparsi per lo più di questioni strettamente pratiche e di primaria utilità. Tra loro merita menzione l’interesse che cercò di portare verso il tema delle malattie della piante di castagno nelle Valli di Lanzo. Può sembrare una banalità ma allora le castagne costituivano un alimento fondamentale degli alpigiani. La loro penuria poteva condizionare seriamente l’alimentazione di migliaia di persone specialmente nei duri mesi invernali. Ma naturalmente non ci fu solo questo.
La sua lotta politica più importante si svolse certo nel maggio del 1915 quando fu accanto a Giovanni Giolitti e pochi altri nel tentativo di tenere il nostro paese fuori da quella guerra che Benedetto XV aveva efficacemente definito “inutile strage”. Una battaglia politica che comportò seri rischi per la propria sicurezza personale dal momento che gli interventisti più accesi diedero vita a un vero protosquadrismo violento e feroce. Opporsi alla volontà governativa di entrare in guerra equivaleva a diventare dei potenziali bersagli viventi. Lo dimostrarono le aggressioni a Giolitti e gli attentati progettati contro di lui mentre D’Annunzio, rientrato da Parigi ove si era rifugiato per sfuggire ai creditori, invocava il fuoco purificatore contro il “mestatore di Dronero”.
Rastelli ebbe coraggio anche quando, il 20 maggio 1915, votò contro il disegno di legge che nascondeva il “via libera” a un conflitto già concordato a Londra alle spalle del parlamento stesso. Questo gli procurò anche, a lui e altri, la campagna d’odio fomentata dai giornali nazionalisti.
In meno di due anni dall’evento il deputato si spense il 25 gennaio 1917, e si celebrarono imponenti funerali, ma di lui oggi rimane purtroppo poca memoria nella toponomastica anche se il Comune di Viù conserva amorevolmente il busto che un tempo decorava un piccolo monumento commemorativo posto su di una struttura oggi non più esistente.
Ci sono persone che credo non meritino di essere dimenticate e spazzate via dell’oblio. Questi a volte porta pace e quiete, altre volte cancella ingenerosamente, senza criterio e senza umanità. Chi si occupa di storia per amore della stessa cerca, forse, di capire quando l’oblio ha ragione e quando commette qualche ingrata imprudenza, qualche svista deprecabile. E a queste ultime, con mano amorevole come un artigiano appassionato, lo storiografo prova a porre rimedio. Quando ci riesce può davvero sorridere alla vita.
Quando si scrive un libro dedicato a un personaggio storico la ricerca prende mille vie spesso impensabili. Non si trova mai abbastanza e ci si rende conto che il volume è un punto di partenza e mai d’arrivo. Numerose sono le notizie che si scoprono successivamente alla stampa e si finisce, comunque, per affezionarsi ai “propri” personaggi e ridar loro memoria diventa una sorta di missione e vocazione. Tra gli episodi curiosi da ricordare per lo storico c’è il contatto di una discendente indiretta collaterale di Rastelli che ha usato mezzi moderni, inviandogli un messaggio privato tramite l’account Twitter del nipote.
Ora Alessandro Mella si sta occupando di altre vicende e di personaggi semisepolti dalla Grande Storia la quale, tuttavia, si compone però di tante storie piccole.
Un qualcosa che mi ricorda il pensiero di Italo Calvino e in cui un poco mi riconosco. Anche noi, noi così minuscoli di fronte all’immensità dei secoli, contribuiamo a fare la Storia con le nostre quotidiane azioni e talvolta inconsapevolmente possiamo mutarne il corso e il procedere.