Il mondo oscuro di Carolina Invernizio

La regina del romanzo d’appendice

Felice Pozzo
Felice Pozzo

Appassionato di storia delle esplorazioni e di letteratura avventurosa, italiana e non, è considerato uno dei maggiori studiosi della vita e delle opere di Emilio Salgari. Ha dedicato all’argomento numerose pubblicazioni e ha curato l’edizione di alcune ristampe salgariane.

  

Il dimenticatoio è come un implacabile black hole. Ingoia tutto. Chi si ricorda oggi, ad esempio, della scrittrice Evelina Cattermole, meglio nota come Contessa Lara? Eppure la sua vita tormentata ha destato a suo tempo scandali e pettegolezzi a non finire.

Evelina Cattermole nel 1880.
Evelina Cattermole nel 1880.

Nel 1871 aveva sposato un tenente dei bersaglieri, che aveva finito col dimostrarsi poco incline alla famiglia e poco fedele. Allora lei si era innamorata di un impiegato di banca. Il marito li aveva scoperti in una garçonnière e prima di divorziare aveva sfidato il rivale a duello e lo aveva ucciso. Dopo altre storie sentimentali sfortunate, Evelina aveva incontrato l’ultima iattura in un giovane pittore senza arte né parte. Quando si era accorta che quell’amore era riposto molto male, aveva cercato ripetutamente di troncarlo, finché l’uomo, nel novembre 1896, l’aveva uccisa con la pistola di piccolo calibro che lei stessa teneva nella borsetta per difendersi da lui. Aveva 47 anni.

Il confine fra cronaca e narrazione

Carolina Invernizio
Carolina Invernizio
“Lara l’avventuriera”, Carolina Invernizio
Copertina di “Lara l’avventuriera”, edizione Salani del 1978.

A rinverdire questa storia ci pensò indirettamente un’altra scrittrice, Carolina Invernizio, che si ispirava ai fatti di cronaca più o meno recenti, nonché ai resoconti orali sempre un po’ deformati, autentici veleni verbali, ascoltati nei salotti tra sussurri e cioccolate. È stato così che la critica ha all’unanimità rintracciato nel romanzo Lara l’avventuriera (1910) l’ispirazione ad alcuni fatti accaduti a Evelina Cattermole. La Invernizio lo scrisse quando già era famosa per dozzine di altre opere intrise di amori, tradimenti, delitti, drammi e vendette, con forti influenze gotiche.

Frontespizio della prima edizione de “Il bacio d’una morta”, considerato il capolavoro di Carolina Invernizio.
Frontespizio della prima edizione de “Il bacio d’una morta”, considerato il capolavoro di Carolina Invernizio.

E forse non è un caso se la protagonista di uno dei suoi capolavori, Il bacio d’una morta (1886), si chiami Clara, un nome che ricorda da vicino Lara. Ambientato in una Firenze notturna e poi a Parigi, è il più celebre romanzo della Invernizio e la morta del titolo è una vittima di soprusi e tradimenti che si rivela più viva che mai e pronta alla rivincita non appena suo fratello si china sul presunto cadavere e lei, uscendo dalla catalessi, ricambia automaticamente quello che doveva essere un fraterno bacio di addio.

Letteratura e superstizione

In quel 1910 la Invernizio si era addirittura cimentata nella stesura di due romanzi contemporaneamente, uno al mattino e l’altro al pomeriggio, con l’aiuto di una sorella che doveva tenere il conto dei personaggi morti man mano per evitarle di rimetterli in circolazione erroneamente. Il tutto, come di consueto, per dodici ore del giorno a tavolino, così da garantire una produzione continua e abbondante. Ancora al 1910 risale il suo testamento, diventato famoso per via della precisa richiesta di non consentire il suo seppellimento se non quattro giorni dopo la morte, perché non si sa mai. Di casi di sepolture affrettate se ne parlava molto già ai tempi di Edgar Allan Poe (1809 — 1849) e lei stessa aveva coltivato e diffuso quei timori, non solo con Il bacio d’una morta ma anche con La sepolta viva (1896), La rediviva (1906) e La morta nel baule (1910).

Alcune copertine dei romanzi di Carolina Invernizio.

Una rispettabile bugiarda

Se Carolina Invernizio non può ancora dirsi vittima del dimenticatoio è perché si è fatto molto perché ciò non accadesse e perché molti editori, persino importanti come Einaudi e Mursia, hanno ritenuto utile ristamparne qualche titolo sino a tempi non troppo lontani. Fra l’altro, nel 1983 le è stato reso un monumentale omaggio a Cuneo (dove visse gli ultimi anni e morì di polmonite il 27 novembre 1916) tramite un affollato convegno, con relazioni di oltre trenta tra accademici e studiosi, e nel 2006 si è occupata di lei, con molto successo, la città di Mantova nel Festivaletteratura.

Atti del Convegno di Cuneo - Carolina Invernizio
Atti del Convegno di Cuneo del 1983.

È stato proprio durante il convegno di Cuneo che si è scoperta la sua reale data di nascita, dopo aver finalmente chiesto un estratto del certificato a Voghera, dove appunto è nata la scrittrice. Si vide allora, con “divertentissima inquietudine”, come ha scritto Giovanna Ioli, che la Invernizio non era affatto nata nel 1858, come si era sempre ritenuto in base alle dichiarazioni dell’interessata, bensì il 28 marzo 1851 così che, durante il convegno, è stata riesumata un’intervista, forse del 1912 (ne parleremo) durante la quale lei aveva asserito di essere nata addirittura nel 1860. La si difese sostenendo che aveva solo desiderato esorcizzare la vecchiaia e soprattutto aveva preferito nascondere il fatto di avere quattro anni in più del marito Marcello Quinterno, ufficiale dell’esercito nato a Govone d’Alba nel 1855. Un tempo i pudori avevano connotati molto diversi da oggi. Ciò non toglie che anche la sua ispiratrice Contessa Lara sia risultata nata nel 1849 benché avesse più volte affermato di essere nata (combinazione!) nel 1858.

Un talento naturale

“El beso de una muerta”, Carolina Invernizio
Copertina dell’edizione spagnola di “El beso de una muerta”.

Ma la letteratura è piena zeppa di rispettabili bugiardi e tutto ciò non cambia minimamente la sostanza delle cose. E la sostanza è che la Invernizio resta la incontrastata regina del romanzo d’appendice in Italia con numerosi meriti, compreso quello d’aver contribuito a far diminuire l’alto tasso di analfabetismo imperante in quel periodo, con la pubblicazione in quarant’anni di attività di 141 volumi (comprendendo le antologie di novelle), per non dire di un’ottantina di racconti e una commedia. Già in vita aveva ottenuto traduzioni delle sue opere presso la Casa spagnola Maucci che ne aveva effettuato una massiccia diffusione anche in qualsiasi angolo del mondo dove si parlasse spagnolo, dalle Filippine alla pressoché intera America Latina.

Aveva ultimato soltanto le scuole elementari, come Emilio Salgari, ma il suo talento naturale per la scrittura l’aveva spinta, anche grazie allo zio materno, il drammaturgo e giornalista Enrico Tettoni, a diventare pubblicista, dando alle stampe corrispondenze di argomento teatrale da Firenze, dove viveva, su Il Monitore dei Teatri, a partire dal 1876, con lo pseudonimo “Carolina”. Si trattò di una collaborazione durata circa tre anni, a sottolineare una delle passioni della sua vita, il teatro, e anche a segnare un periodo di intensa vita sociale in un ambiente di larghe vedute e di libertà. Bella ed elegante, aveva un biglietto permanente al Teatro Principe Umberto, un posto fisso all’Arena Nazionale e frequentazioni in ambito artistico, in particolare pittorico e letterario.

Il trasferimento a Torino

Il suo soggiorno fiorentino durò sino al 1895, quando si unì in matrimonio al già citato Marcello Quinterno, con il quale aveva avuto una figlia, Marcellina, nel dicembre 1886, riconosciuta da entrambi i genitori. Poi avvenne il trasferimento della famiglia a Torino, dove lui era stato inviato a dirigere il panificio militare.

La famiglia Quinterno al completo.
La famiglia Quinterno al completo.

Ha scritto Elio Gioanola nel 1983:

Nella Torino dell’ultimo decennio del secolo scorso si trovarono ad operare contemporaneamente Emilio Salgari, Edmondo De Amicis e Carolina Invernizio: corsero fiumi d’inchiostro e di lacrime sulle rive del fiume regale. L’ex capitale e culla della patria unitaria si trovava ad elargire a tutto il regno torrenti di scrittura popolare, premuti dalla vena, se non altro certo sovrabbondante, dei tre più prolifici autori di libri per tutti.

E quei libri, non solo quelli di De Amicis, l’unico dei tre a non avere problemi con i benpensanti, gli educatori e la Chiesa, avevano, per quanto se ne dica, un pubblico trasversale e gli insospettabili li leggevano di nascosto.

Quanto abbia contato Torino nell’opera della Invernizio, prima e dopo il trasferimento da Firenze, è evidente dai suoi romanzi, e persino dall’intitolazione di molti di essi: Il fantasma del Valentino (1890), La bella torinese (1890), La guantaia di Torino (1891), La gobba di Porta Palazzo (1892), L’orfanella di Collegno (1893), La cieca di Vanchiglia (1894), La ballerina del Teatro Regio (1894), Il cadavere del Po (1895), La Venere torinese (1899), e Torino misteriosa (1903), primo di una trilogia ambientata nel capoluogo piemontese e comprendente I disperati e Le disoneste, entrambi apparsi nel 1904.

Copertina de
Edizione Viglongo di “Ij delit d’na bela fia”, 1976.

Assolutamente da non trascurare, poi, la sua attiva collaborazione alla Gazzetta di Torino, e al ‘l Birichin, con due romanzi a puntate in dialetto piemontese: Ij delit d’na bela fia (1889 — 1890) e Ël cit ëd Vanchija (1895). Il primo dei due è stato riscoperto nel 1975 da Andrea Viglongo, che lo ha pubblicato in volume l’anno successivo.

E chissà che non resti ancora altro da scoprire visto che, come si apprende da Anna Levi, potrebbero esistere alcuni racconti sconosciuti in Italia che la scrittrice avrebbe pubblicato per i giornali italiani delle Americhe.

“Io ho dei critici una allegra vendetta. Ché le mie appassionate lettrici e amiche sono appunto le loro mogli, le loro sorelle”.
Introduzione a “I romanzi del peccato”

Giallo all’italiana

Uno dei libri gialli di Carolina Invernizio, ”Nina la poliziotta dilettante”, Salani, 1909.
Uno dei libri gialli di Carolina Invernizio, ”Nina la poliziotta dilettante”, Salani, 1909.

Le descrizioni torinesi della Invernizio, ma anche fiorentine o di altre città, paiono avvenire sul modello della Parigi di Sue e di Dumas (autori che conosceva bene) e rispecchiano certe situazioni del degrado di due secoli or sono, dai rioni malfamati alle soffitte cariche di misteri, dalle bettole mal frequentate ai tuguri fatiscenti da cui escono donne misteriose e loschi figuri. Il tutto in contrapposizione con decorose palazzine, ville rutilanti, feste private e prime teatrali, a sottolineare le divergenze economiche e culturali e a suggerire messaggi sociali. E se la critica degli studiosi suggerisce invece una visione piuttosto reazionaria dell’autrice, resta indubitabile l’intento di evidenziare la lotta tra il bene e il male, con il lieto finale assicurato, e di effettuare l’esaltazione della famiglia e delle gioie domestiche.

Anche l’incontrastato protagonismo che riserva ai personaggi femminili, senza dubbio un calcolato richiamo al pubblico delle lettrici di ogni ceto, pare sfuggire da un autentico femminismo per attestarsi piuttosto nell’affermazione di ruoli ben definiti della donna, con la regina del focolare che è contrapposta alla femme fatale, distruggitrice di famiglie e fonte di perdizione. E se il suo genere è in bilico tra il nero e il rosa, e riconoscibile in primo luogo nell’appendicistica, nel 1909, con Nina la poliziotta dilettante, ha raggiunto le vette dell’autentico giallo, imponendosi come uno dei prototipi della detective story italiana: un primato non da poco.

Ha scritto Anna Nozzoli al riguardo:

Questa volta il meccanismo giallo è quasi perfetto; l’intreccio, per quanto possibile nell’Invernizio, lineare e concentrato sulla semantica criminologica; la suspense garantita dall’inizio alla fine con il coinvolgimento nel sospetto di quasi tutti i personaggi; gli ambienti giudiziari presenti con le figure classiche del commissario di polizia e del giudice istruttore. Le regole canoniche del poliziesco appaiono, insomma, rispettate fino in fondo, anticipando di molti anni la nascita di una letteratura poliziesca autoctona.

Le interviste

Sono due le interviste note che rilasciò durante la sua carriera, alle quali va aggiunto un tentativo fallito di intervista. La prima fu rilasciata all’onnipresente (nella Torino di quel periodo) Giovanni Bertinetti, che la pubblicò con una fotografia della scrittrice sulla rivista torinese Forum, da lui diretta, il 7 febbraio 1904, usando lo pseudonimo “Speker”. In essa la scrittrice, oltre a dare indicazioni sul proprio metodo di lavoro, si disse persuasa dell’efficacia di quanto pubblicava nell’educazione delle masse e aggiunse:

Perciò mi sorprende quando sento gridare la croce addosso al romanzo popolare e vedo l’indifferenza sprezzante dei critici. Ma io ho dei critici una allegra vendetta. Chè le mie appassionate lettrici ed amiche sono appunto le loro mogli, le loro sorelle.
L’intervista pubblicata su “Forum” del 1904 firmata “Speker”, pseudonimo di Giovanni Bertinetti.
L’intervista pubblicata su “Forum” del 1904 firmata “Speker”, pseudonimo di Giovanni Bertinetti.

Nel 1908 un certo Juan José De Soiza Reilly viaggiò da Buenos Aires a Govone, dove Carolina Invernizio, proveniente da Torino, visse dal 1904 al 1915, prima di trasferirsi a Cuneo, dove morì. Era un giornalista di Caras y Caretas, un prestigioso settimanale argentino. L’articolo fu concepito come una visita alla famiglia Quinterno, ma le attenzioni furono tutte rivolte alla scrittrice, che in Argentina godeva “de una popularidad bien difundida: en Buenos Aires todo la conoscen”. Il giornalista — come ha precisato Anna Levi, che ha ritrovato l’intervista riproponendola nel 2013 — aveva una pressante curiosità: come faceva una signora così per bene a mettere insieme le sue truculente appendici? E a conoscere tutti quei particolari?

E arriviamo al tentativo fallito di intervista, sul quale pesa inoltre qualche dubbio. Se ne ha notizia da un articolo di Emilio Zanzi apparso su La Gazzetta del Popolo del 12 agosto 1932. La Invernizio era morta da sedici anni. Secondo Zanzi, lui e Guido Gozzano, inviati dal direttore de La Stampa in via Goito a Torino dove viveva la scrittrice, furono ricevuti nel salotto buono, preavvisata da Dante Signorini, ma non la trovarono molto disponibile. Ha scritto Luciano Tamburini:

Possiamo immaginare la signora di mezza età […] sogguardare dalle poltrone in damasco rosso, sotto i romantici quadri di Falchetti, i due sfrontati giovanotti e dirsi: "Ora gli narrerò una storia"!

E infatti la breve autobiografia riportata da Zanzi è zeppa di inesattezze, a cominciare dall’anno di nascita (1860). Quando Gozzano le chiese una fotografia per corredare l’articolo che sarebbe stato scritto, lei avrebbe risposto:

Lei Gozzano è un poeta che ha molto successo tra le signore perché scrive bene, è molto elegante ed è molto giovane: forse sarebbe meglio che ella pubblicasse la sua fotografia, non la mia. Io sono una signora per bene: sono la moglie di un colonnello del Commissariato: non sono un’attrice, non sono una ballerina.
Le fotografie che mi faccio fare con molto disagio le dono qualche volta ai miei nipoti e ai miei numerosi parenti lontani.

Zanzi ha datato questo incontro tra il 1909 e il 1912, ma dal 1904 i Quinterno non abitavano più in via Goito a Torino bensì a Govone. Fatto sta che l’intervista non fu pubblicata se non, come si è detto, nel 1932, quando ormai la scrittrice non c’era più.

Targa commemorativa per Carolina Invernizio a Cuneo.
Targa commemorativa per Carolina Invernizio a Cuneo.

Il suo nome non morirà

A fine novembre del 1916 si erano svolti i suoi funerali a Cuneo, nella cattedrale, alla presenza di numerose autorità e di una folla commossa. I necrologi avevano riempito la stampa nazionale e non solo. Nello stesso anno Marino Moretti le aveva dedicato una poesia. Col tempo, Cuneo, Milano, Torino e Voghera le hanno dedicato una via. E’ stata inclusa tra le cento donne che hanno fatto l’Italia ed è sepolta al Cimitero Monumentale di Torino, dove si può ammirare la statua che ha scolpito per lei Edoardo Rubino: lei appare seduta, composta, con un libro in mano. Ai piedi della statua si legge la scritta che volle per lei il suo editore più importante, il fiorentino Salani: “Il tuo nome non morirà”.

La tomba di Carolina Invernizio al cimitero Monumentale.
La tomba di Carolina Invernizio al cimitero Monumentale.

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Bibliografia

  • Aspesi N., Carolina va alla guerra, in La Repubblica, 19 febbraio 1983.
  • Bianchini A., Carolina Invernizio, regina in soffitta, in Tuttolibri de La Stampa, 19 febbraio 1983.
  • Borri G., L’evasione al femminile, in La Gazzetta del Popolo, 23 febbraio 1983.
  • Davico Bonino G., Ioli G. (a cura di), Carolina Invernizio. Il Romanzo d’appendice, Torino, Gruppo Editoriale Forma, 1983.
  • Invernizio C., Storie gialle, rosa e nere, Reim R. (a cura di), Genova, De Ferrari, 2007.
  • Ioli G., Le “allegre” vendette di Carolina Invernizio, in Il nostro tempo, 20 luglio 1986.
  • Levi A., Si pecca ad ogni pagina. Le due vite di Carolina Invernizio, Pontedera, Bibliografia e Informazione, 2013.
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