Il grande scrittore russo Lev Nikolaevič Tolstoj, prima di diventare l’autore più famoso al mondo, grazie ai romanzi Guerra e pace e Anna Karenina, fa un breve ma intenso viaggio in Piemonte, nel giugno 1857. A Torino conosce il personaggio del momento, Camillo Benso conte di Cavour, e resta così sorpreso dalla brillante vita torinese da scrivere sul suo taccuino: "dovunque si può vivere e bene".
Ma cosa ci faceva il conte russo a Torino, nel 1857, proprio due anni dopo la guerra di Crimea?
Il viaggio è per l’aristocratico Tolstoj un ausilio prezioso per capire i motivi dell’arretratezza russa rispetto all’Europa Occidentale, che unita (Gran Bretagna, Francia e Regno di Sardegna) ha difeso il decadente Impero ottomano dalle mire espansionistiche dello zar nel Mediterraneo, e trovare degli esempi da emulare sul tema della politica, cogliendo le idee e i programmi che agitano gli schieramenti politici europei, in vista di un loro utilizzo in Russia per riforme che non sembrano ulteriormente rimandabili, dopo il disastro della Crimea e le crescenti tensioni sociali.
Il viaggio, inoltre, lo ripaga degli orrori della guerra, che ha vissuto sulla sua pelle, ma che ne ha fatto — inaspettatamente — un grande scrittore. Al conflitto è, infatti, ispirato I racconti di Sebastopoli del 1855, che il conte Tolstoj scrive quando, ufficiale della quattordicesima brigata di artiglieria dello zar, è schierato a difendere il bastione di Sebastopoli proprio dai piemontesi. Lì aveva sperimentato il coraggio e la gentilezza dei suoi soldati contadini, male equipaggiati e peggio armati, l’incompetenza dei comandanti, l’assurdità di una disciplina imposta con stupida ferocia. Lì, in Crimea, sotto centinaia di granate, fiorirà la sua vocazione pacifista e l’embrione di Guerra e pace come celebrazione dell’anima russa più vera e profonda, quella popolare.
A Torino il “turista” Tolstoj sa dove andare. È il 16 giugno 1857. Si sveglia presto, fa un bagno, corre all’Università, che nei suoi taccuini chiama "Athenaeum". Lo colpisce l’allegria degli studenti, la loro "vita giovane, forte, libera»". Sotto i portici di via Po flaneggiano esuli e patrioti di mezza Italia e lui è piacevolmente colpito dalla frizzante aria intellettuale che avverte in giro. Poi passa al "Museo delle Armi", cioè l’Armeria Reale, che Carlo Alberto aveva aperto al pubblico venti anni prima. Infine il "Museo delle Statue", cioè l’Egizio inaugurato da Carlo Felice. Lo impressiona l’imponenza dello statuario.
A Torino, però, Tolstoj vuole vedere Cavour. Per questo partecipa a una sessione del Parlamento piemontese, l’unico allora attivo e legiferante in Italia. Il "caso italiano", anzi piemontese, presenta un notevole interesse per chi cerca modelli praticabili. Tolstoj assiste alla seduta del 16 giugno, in cui Angelo Brofferio chiede lumi al governo sulla missione bolognese affidata a Carlo Boncompagni. Cavour risponde abilmente, lasciando intendere che la missione non è affatto un segno di debolezza o acquiescenza, ma vuole dimostrare all’Europa che lo Stato sabaudo è in grado di conciliare il rispetto dovuto al capo del cattolicesimo con il mantenimento dell’indipendenza del potere civile.
Nell’agosto 1857, al ritorno in Russia, Tolstoj scrive alla prozia, Aleksandra Andreevna Tolstaja, sua corrispondente e amica, chiamata affettuosamente "Babuška":
A Pietroburgo e a Mosca tutti gridano, si sdegnano, aspettano qualcosa, e anche lontano dalla capitale domina la barbarie patriarcale, il disordine, il ladrocinio e l’illegalità. Volete credere che, arrivato in Russia, per molto tempo ho lottato con un senso di rivolta verso la patria e soltanto ora comincio ad abituarmi a tutte le cose tremende che rappresentano l’eterna normalità della nostra vita? Io so che voi non siete di questa opinione, ma che fare?.
"Babuška" gli risponde immediatamente:
Lo stato delle cose in generale è detestabile, ne convengo, e chi potrebbe negarlo? Ma attorno a noi — vicino a noi — è necessario si facciano riforme benefiche, se non vogliamo diventare complici di chi ruba, di chi uccide e di chi vive nell’oblio completo di Dio e dell’eternità.
Nell’ottobre 1859, Tolstoj apre a Jasnaja Poljana una scuola per i figli dei contadini e inventa un nuovo sistema di educazione e istruzione. Tolstoj segue alla lettera i consigli della saggia Aleksandra Andreevna, e forse anche grazie a lei diventa nella vecchiaia il grande profeta di Jasnaja Poljana, il riferimento del pacifismo internazionale.
Un aneddoto finale: proprio a Torino, quasi un secolo dopo la visita di Tolstoj, King Vidor e Mario Soldati girarono il famoso film Guerra e pace, con Audrey Hepburn, Mel Ferrer, Henry Fonda e Vittorio Gassman, utilizzando gli scenari del Castello del Valentino e della Palazzina di Caccia di Stupinigi.
All’uscita del film, nel 1956, nei titoli di apertura scorreva la scritta:
King Vidor dà atto con riconoscenza che alcune scene sono state dirette da Mario Soldati.
Lo scrittore torinese, come mi ha testimoniato la cugina Chiara Soldati, non solo compulsò attentamente il romanzo di Tolstoj, ma ebbe un ruolo attivo nella scelta di Pinerolo, Sestriere, Torino e Casale Monferrato per alcune memorabili scene del film. Alle porte di Casale Monferrato, infatti, nel 1955, una troupe girò le scene della battaglia della Beresina, in cui l’esercito russo sbaragliò le truppe napoleoniche in fuga nella ritirata da Mosca.
Lungo il Po furono ricostruiti alcuni ponti di legno. Furono girate quindi alcune scene dello scontro, corpo a corpo tra i due eserciti, con soldati che cadevano nell’acqua tra scoppi, clamori, urla, fumo, spari e cannonate.
Il film Guerra e pace fu proiettato, dopo New York, in prima assoluta in Europa proprio tra le colline del Monferrato, domenica 16 settembre 1956, nel cortile d’onore del castello di Gabiano alla presenza di 1500 spettatori. Questo evento eccezionale poté avvenire perché l’avvocato e onorevole Giuseppe Brusasca, nativo di Cantavenna, ricopriva allora la carica di sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega allo spettacolo. Brusasca ottenne così dal produttore del film, De Laurentis, d’avere quella preziosa anteprima di un film girato per buona parte in Piemonte, oltre che a Calto, in provincia di Rovigo.
I soldati del battaglione Susa, di stanza a Pinerolo, parteciparono come comparse, sul colle del Sestriere, alle scene della ritirata di Russia. A Casale Monferrato fu richiamato l’undicesimo battaglione, allora nella caserma Bixio, per girare le scene della battaglia della Beresina, su un Po invernale, dove si intravedono i tipici argini, imbiancati per l’occasione. La battaglia di Austerlitz fu girata a Pinerolo con la partecipazione dei cavalleggeri della locale guarnigione dell’esercito.