“Sì, la Fiat, i preti! Quelli stanno di qua e di là, come faccio anch’io — gli scappò di dire –. Poi a seconda di come andrà a finire, si cuciranno addosso le medaglie. La verità è che, se Hitler tira fuori l’arma segreta, siete fritti e voglio vederti allora, caro il mio partigiano!”
“Ma no, la gente ne ha abbastanza dei fascisti, dei tedeschi, della guerra. E rischia la pelle per aiutarci. Sai quanti poveri cristi, lassù in montagna, ci proteggevano e ci davano da mangiare? Gente che aveva perso i figli in Russia, in Africa, in Grecia, in Albania, ma soprattutto in Russia. Lì hanno aperto gli occhi.”
“La gente vi aiuta perché non può farne a meno, perché ha paura di voi, degli altri, di tutto, e spera solo che finisca, non importa come…”.
(La ricevuta, p. 118)
Giuseppe Marchetti, noto critico letterario un tempo allievo di Ungaretti, giornalista de La voce chiamato da Indro Montanelli e romanziere finalista del Premio Viareggio, ha definito La ricevuta
un libro straordinario, un vero e proprio romanzo inattuale, segnato dal suo tempo e parimenti proiettato a cogliere, con naturale grazia e spontaneità, tutto il mondo della prima e seconda metà del Novecento sul quale si fondano le esperienze narrative di una condizione umana vissuta e patita fra tragedie e speranze, astuzie e miserie, pene e azzardi.
(Gazzetta di Parma, 29 luglio 2015, p. 31).
Ho avuto pochi giorni fa il piacere di incontrare Sergio Soave, autore de La ricevuta (Aragno editore, 2015, pp. 257). Il professor Soave, dopo una carriera universitaria di docente e ricercatore in Storia Contemporanea dedicata in particolare alla storia del territorio cuneese e dei movimenti politici lì rappresentati nel corso del XX secolo, è oggi presidente del Polo del ’900 e dell’Istituto Storico della Resistenza del Cuneese; è stato sindaco di Savigliano per più mandati, esperienza che gli ha garantito una privilegiata e profonda conoscenza degli abitanti e del territorio dove il romanzo si svolge per la maggior parte; la sua esperienza politica di partito inizia nel ’79, nella posizione di segretario della Federazione del Partito Comunista Italiano di Cuneo; nell’83 sarà invece eletto alla Camera dei Deputati, sempre con il PCI. Più recenti le nomine a segretario regionale dei Democratici di Sinistra e, poi, a primo presidente dell’Assemblea regionale piemontese del Partito Democratico. Fino al 2014 è stato poi componente del Comitato delle Regioni dell’Unione Europea.
A un certo punto nel Quattordici [ndr 2014] ho aperto l’agenda, di solito molto fitta di impegni, e niente, pagine bianche, poi altre pagine bianche. Si prova una specie di vertigine, è spaesante dopo una vita fatta di molti appuntamenti e doveri. Poi mi son detto: ma questo vuol dire che sono libero! E lì mi è venuto in mente di provare a scrivere un libro, ché di storie, dopo aver fatto il sindaco per diversi anni in un paese, ne ho tante. La scrittura significa poter disporre del proprio tempo, e disporre del proprio tempo fa l’uomo libero.
Il professor Soave si è quindi dedicato all’esercizio della sua libertà e all’uso dell’imperfetto («il tempo congeniale per la storia e per la poesia», mi dice) nella stesura del suo primo romanzo, La ricevuta.
Bisogna avere un personaggio forte, che fa da cavo d’acciaio lungo tutta la storia e si tira dietro gli altri personaggi: lì il libro viene da sé.
Il personaggio forte in questa storia è certamente Tommaso Prina, un contadino di Savigliano di umili origini che attraverso il lavoro continuo e uno spiccato senso del risparmio e degli affari riesce nel tempo a diventare il padrone del maggior mulino della zona. Tommaso è un piemontese tipico, ma anche più in generale un lavoratore tipico: il fascismo gli passa a fianco, mentre a lui non interessano tanto le ideologie; lui vuole lavorare, vuole fare il suo, vuole la giustizia di chi prima semina e poi vuole raccogliere, mentre il resto passa in secondo piano. Insomma, il mondo esterno dev’essere funzionale al lavoro: il lavoro ripaga, non le idee.
Tommaso sposerà Maria, personaggio altrettanto forte e forse persino più presente empaticamente al lettore, emotivamente più umano. In questo romanzo, come ci conferma il suo autore, sono le donne gli attori che hanno in mano i fili degli eventi, sono loro che conoscono la verità e le verità che a Tommaso, troppo impegnato a pensare al lavoro e alla sua “ricevuta”, sfuggono e quasi non interessano. È Maria a presentare al lettore, sebbene in modo molto pudico, l’amore, e a vivere l’amore dentro la guerra e tragicamente vederla concludersi. Sono Maria e Rita, altro personaggio femminile “forte”, a conoscere la storia di Maria Sole, quella figlia di Tommaso che traghetterà il lettore dalla metà del Novecento a un finale quasi contemporaneo, dalla campagna alla città, dalla guerra al Sessantotto agli anni di piombo, e che lascia il lettore con un punto di domanda: questa storia continuerà?
Chiedo al professor Soave se ci saranno altre pagine bianche nelle sue agende: mi risponde quasi con timidezza, che “Mah, non si sa”. Scrivere è un atto che realizza la natura umana, il raccontare è una necessità; non lo si fa per essere profeti, per scrivere il libro della vita, per essere famosi. Si scrive per scrivere. In buona sostanza se verrà il momento e l’ispirazione sì, ci saranno altri libri e altre storie. Sono stati tanti i lettori, soprattutto nella provincia di Cuneo, che gli hanno chiesto di continuare la storia (che di fatto si chiude su un’apertura), oppure di raccontarne altre.
L’incontro con il professor Soave è stato non solo dedicato alla sua avventura di narratore, ma anche al confronto sull’idea della Storia, sull’utilità di studiarla, sulla necessità di difenderla nella nostra coscienza e memoria. Il prof. Soave non reimpasta con poesia il trito ideale secondo il quale bisogna “studiare il passato per comprendere il futuro”, oppure “conoscere gli errori commessi per non ricascare nei medesimi”, frasi eleganti e forse dimostratamente ipocrite. No, Soave non mi incanta con la retorica, mi spiazza piuttosto con la lucidità: la storia non serve a nulla.
La Storia va certamente conosciuta per agire al meglio nel presente e per lasciare dei semi sotto la neve (richiamando Ignazio Silone, Il seme sotto la neve, autore a cui il professore è affezionato: il suo ultimo libro si intitola infatti Prendere Cristo sul serio: l’assillo cristiano di Ignazio Silone, Assisi, Cittadella, 2016, pp. 169), sperando che un domani sboccino in qualcosa di utile e bello e pacifico, consapevoli però che l’imprevisto è il vero padrone e l’unica legge che domina lo scorrere degli eventi. A questo proposito mi consiglia la lettura di Paul Kennedy, The rise and fall of the great powers, a dimostrazione del fatto che l’autore, Kennedy, nonostante conoscesse e sapesse interpretare benissimo la storia, non fu in grado di predire gli eventi che seguirono la pubblicazione della sua opera. Non c’è il tempo futuro, nella Storia. E tant’è. Ma la storia ci dice chi siamo e da dove veniamo, e anche questo è La ricevuta. Lo spaesamento dell’Italia e degli italiani non dovette essere piccolo, di fronte al mutare repentino dei poteri che la guerra portò con sé: gli occupanti, gli alleati, i nuovi governi, la Repubblica, e ogni volta il mutare degli uffici, delle cariche, delle persone di riferimento. Tommaso Prina ha in tasca una ricevuta che un ufficiale fascista, il tenente Volpini, gli ha rilasciato in cambio di un prelievo di farina, e questa ricevuta lo assillerà per tutta la vita, restando un pensiero continuo e irrisolto (Tommaso attende infatti il risarcimento da parte dello Stato).
Soave mette così in scena tacitamente anche uno dei problemi cari agli archivisti (quelle figure dedite alla conservazione dei documenti che costruiscono la nostra storia e testimoniano la nostra identità): i cambiamenti di potere e la conseguente gestione dal punto di vista documentale. I poteri cambiano in modo sostanziale in seguito ad atti radicali e spesso violenti: questi passaggi storici spesso marcano delle cesure nette anche nella documentazione. Ciò che era fascista doveva essere denigrato, calpestato, distrutto, per lasciar spazio a nuovi ideali e nuove forme di potere: Tommaso no, lui conserva una testimonianza del passato e la consegna a un futuro, ma un futuro che ha perso la matrice della sua ricevuta, che ha voluto perdere la matrice, che l’ha gettata via. Tommaso invece, come coloro che hanno visto e vissuto il passaggio tra epoche diverse, tiene la sua ricevuta e la sua testimonianza anche in un mondo completamente mutato, la stringe fino al fondo del vicolo cieco che è la vita.
➡️ La Storia narrata in questo libro è vera, le persone che lo popolano e lo animano anche; le storie, i piccoli fili narrativi che dalla Storia si dipanano e che rendono corposo il romanzo sono frutto della fantasia dell’autore.
👍 Ringrazio il professor Soave per avermi incontrato e chiacchierato con me. Ne conserverò un buon ricordo, augurandomi di poter leggere altre belle storie.