Illustrazione © Ginger Berry Design

La restauratrice Erminia Caudana

L’arte di ricomporre frammenti di storia dell’Antico Egitto

Laureata in Scienze dei beni culturali, è una guida turistica non convenzionale, nota come La Civetta di Torino specializzata nella valorizzazione storico-artistica della città da un punto di vista insolito tombe, cimiteri, cripte e non solo.

  

Tebe, 1822. Bernardino Drovetti, console al servizio del governo francese in Egitto, riviene un rotolo di papiro. Nulla di eccezionale, ne ha già riportati alla luce tanti durante i suoi scavi. Ancora non sa che quello che ha sotto gli occhi è l’importante Papiro dei Re, chiamato anche Canone Reale, come verrà denominato nel 1824 dallo studioso Jean-François Champollion. Su di esso sono elencati tutti i sovrani che regnarono sulla terra del Nilo dall’epoca predinastica fino a quella di Ramesse II, il famoso faraone della XIX dinastia. Si tratta di un documento di valore inestimabile, fondamentale per la ricostruzione della cronologia della storia egizia.

Frammenti del Papiro dei Re conservato al Museo Egizio di Torino.
Frammenti del Papiro dei Re conservato al Museo Egizio di Torino.

Drovetti non sa decifrare i caratteri ieratici del testo e getta con noncuranza il rotolo insieme ad altri in un baule. Nel 1823 il diplomatico vende la sua collezione di antichità egizie al re di Sardegna Carlo Felice di Savoia. Il Papiro dei Re giunge a Torino insieme agli altri reperti che daranno vita al primo museo egizio del mondo. Ma ormai, conservato in malo modo, il papiro si è frantumato in centinaia e centinaia di pezzi.

A fuoco la Biblioteca Nazionale di Torino

Illustrazione dell’incendio alla Biblioteca Nazionale di Torino del 1904.
Illustrazione dell’incendio alla Biblioteca Nazionale di Torino del 1904.

Torino, 1904. Nella notte tra il 25 e il 26 gennaio un uomo si trova a passare per via Po deserta. È l’una e mezza passata. Immerso nei suoi pensieri, viene distratto da un bagliore rossastro che spunta alle finestre del Palazzo del Rettorato dell’Università che ospita la Biblioteca Nazionale. Tutto sta andando a fuoco. Subito il passante corre a dare l’allarme. I primi soccorsi arrivano alle due. L’edificio è in preda alle fiamme, alimentate dalla struttura architettonica in legno e dall’enorme quantità di incartamenti presenti nelle sale. L’incendio viene domato dai pompieri intorno alle sei.

Le perdite sono gravissime: inceneriti quasi 30.000 volumi, oltre un terzo dei 4.500 codici manoscritti e numerose altre carte. Dalle macerie vengono estratti libri e pergamene resi irriconoscibili dal fuoco e già con i primi segni della putrefazione innescata dall’acqua usata durante l’opera di spegnimento. Molti testi hanno subito traumi fisici per i colpi inferti dagli attrezzi dei pompieri e per essere stati scaraventati dalle finestre sulla strada. L’Italia e il mondo intero piangono la perdita di un patrimonio di eccezionale valore, in cui figuravano i palinsesti di Cicerone, il Codice Teodosiano, il Libro d’Ore del Duca di Berry miniato da Jan van Eyck e una delle raccolte di codici in alfabeti orientali tra le più rilevanti in Europa.

Un destino da restauratrice

Torino, 6 aprile 1896. Nasce Erminia Caudana. La piccola neonata ignora che il suo destino le ha riservato un compito importante e delicato che la condurrà a tenere tra le mani i frammenti del Papiro dei Re scovato dal Drovetti e molti testi preziosi rovinati dal terribile incendio del 1904.

Erminia Caudana con Giulio Farina nel laboratorio di restauro al Museo Egizio
Erminia Caudana con Giulio Farina (a destra) nel laboratorio di restauro interno al Museo Egizio.

In seguito alla catastrofe che coinvolse la Biblioteca Nazionale Universitaria, venne subito allestito un laboratorio di restauro all’interno dell’Istituto di Materia Medica dell’Università, sito nel palazzo di corso Raffaello 30 e diretto dal professore Pietro Giacosa. Fu chiamato a dirigerlo Carlo Marré, restauratore di provata esperienza presso la Biblioteca Vaticana di Roma. Il laboratorio, primo in Italia ad essere interno a una biblioteca pubblica, fu inaugurato ufficialmente il 5 febbraio 1905 alla presenza della regina madre Margherita di Savoia. Erminia ben conosceva quel luogo, e da tutti era conosciuta, perché suo padre lavorava nel palazzo come custode dell’Istituto di Patologia Generale. È facile immaginare come la bambina sia rimasta affascinata da quella stanza misteriosa, colma di torchi e scaffali, in cui il Marré, alla stregua di mago Merlino nel suo antro, trasformava informi blocchi anneriti in bianchi fogli pieni di scritte e disegni. Erminia era silenziosa, ma curiosa e con tanta voglia di fare. Andava a genio a Carlo Marré, anche lui di indole riservata e taciturna:

Cominciai ad aiutarlo in alcuni lavoretti manuali, come quello di stendere i fogli restaurati. L’occupazione mi piacque e mi misi d’impegno ad imparare.
Lettera di Erminia Caudana all’Associazione dei bibliotecari italiani (Roma, 1931).
Lettera di Erminia Caudana all’Associazione dei bibliotecari italiani (Roma, 1931).

Una tirocinante di talento

Oltre ad osservare e aiutare quotidianamente il restauratore, Erminia ebbe modo di approfondire le sue conoscenze tecnico-scientifiche nei laboratori degli Istituti della Facoltà di Medicina che i docenti le permettevano di frequentare. Il tirocinio della ragazza ebbe inizio a tutti gli effetti nel 1910, quando Erminia aveva appena quattordici anni. Le venne affidato il restauro di un testo del botanico inglese Leonard Plukenet (1641–1706), di proprietà dell’Orto Botanico cittadino. Vi lavorò fino al 1912 sotto l’attenta supervisione del suo maestro, “che mi fu sempre paterna guida”.

Carlo Marré rimase al timone del laboratorio fino al momento della morte, avvenuta il 21 luglio 1918. Sarebbe stato naturale che il suo braccio destro, Erminia, prendesse subito il suo posto. Ma prima che questo potesse avvenire e per ottenere nuovi finanziamenti per i restauri, la giovane restauratrice dovette dimostrare la sua competenza. Nel 1921 si recò a Roma presso la Biblioteca Nazionale Centrale, dove diede sfoggio delle sue capacità restaurando i preziosi codici Sessoriani appartenuti alla biblioteca della basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Tornata nel 1922 a Torino, riprese il lavoro nel laboratorio protagonista dei suoi sogni infantili, che nel frattempo era stato trasferito nell’ex Palazzo del Debito Pubblico, in via Bogino 6. Tuttavia la Caudana non aveva nessun titolo accademico e non fu assunta dallo Stato. Era una lavoratrice autonoma e le sue prestazioni erano considerate private. Ma poco le importava. Da quel momento, perfezionando le tecniche del suo maestro e sfoderando un perfetto mix di abilità manuali, profonde conoscenze artistiche e scientifiche e un’acuta sensibilità, diventò lei l’artefice delle magie che avrebbero ridato vita a variopinte miniature e ad antiche pergamene. Scrisse Silvio Curto, il compianto egittologo scomparso nel 2015:

Silvio Curto
Silvio Curto
Nelle sue mani sapienti, i frammenti minuti del foglio frantumato si ricomponevano a costruire un testo; il volume crocchiante e frangibile a un tocco si distendeva morbido come uscito di fabbrica e la pagina oscurata da umido e muffa tornava chiara e nitida.

Il laboratorio del Museo Egizio

Nel 1929 la restauratrice fu chiamata da Giulio Farina a prestare la sua opera nel restauro dei papiri delle collezioni del Museo Egizio, di cui era diventato direttore dopo la morte di Ernesto Schiaparelli. Il museo diventò per molti anni la casa del laboratorio di restauro della Biblioteca Nazionale. Infatti fu proprio al primo piano del palazzo di via Accademia delle Scienze che fu trasferito nel 1935. In un’unica stanza piena di tavoli e armadi, che fungeva già da laboratorio papirologico, Erminia Caudana proseguì il suo meticoloso e paziente lavoro sui manoscritti della Biblioteca Nazionale e sui reperti egizi.

Caudana mentre lavora al restauro di una tela dipinta.
Caudana mentre lavora al restauro di una tela dipinta.

Oltre al già citato Papiro Regio, al quale dedicò ben sei anni, ne restaurò molti altri, come quelli rinvenuti all’interno della tomba del faraone Tutankhamon scoperta dall’archeologo Howard Carter nel 1922. E non solo. Giulio Farina le affidò anche il compito di restaurare la tela dipinta più antica al mondo. Risalente a 7.000 anni fa, fu da lui rinvenuta nel 1930 nella necropoli preistorica di Gebelein (oggi Naga el-Gherira).

Il restauro dei papiri più antichi

Giulio Farina volle con sé al Museo Egizio del Cairo l’"intelligentissima e abilissima restauratrice”, come la definiva lui stesso. Fu così che nel 1938 Erminia sbarcò in Egitto per valutare i procedimenti di recupero di dodici rotoli di papiro recuperati durante uno scavo presso Gebelein. Si trattava dei papiri intatti più antichi mai scoperti al mondo, risalenti alla V dinastia (2680 a.C. circa), ciascuno lungo 1 metro e mezzo e alto 40 centimetri. Di certo non fu un gioco da ragazzi aprire quei rotoli dopo ben quarantasei secoli. Inoltre, ricorda il Farina,

Il lavoro si compieva senza l’occorrente per agevolarlo. Neppure un tavolino, ma rozze assi; perché di tavolini in quel museo non ne esistono!
Giulio Farina durante una campagna di scavo a Gebelein del 1930.
Giulio Farina durante una campagna di scavo a Gebelein del 1930.

Una tecnica insolita

Data la situazione rocambolesca, si decise di spedire i rotoli al laboratorio torinese dove, con le adeguate attrezzature, furono restaurati e poi restituiti al governo egiziano. Si sa che la Caudana non usò per svolgere quei papiri il solito sistema diffuso all’epoca che prevedeva di inumidirli esternamente con vapore acqueo o con una soluzione di acqua e acido acetico rischiando di rovinarne la scrittura. Li avvolse invece per 24 ore in ovatta imbevuta con un liquido che doveva ammorbidire e allo stesso tempo rafforzare il tessuto fibroso. In questo modo riuscì ad aprirli. Li posizionò tra due veli di seta cosicché, se un frammento si fosse staccato, sarebbe comunque rimasto al suo posto. Infine ogni rotolo disteso venne posto tra due vetri.

Nella sua carriera Erminia ripristinò ben cinquecento metri di papiri e seicento manoscritti. Riusciva a restaurare un codice cartaceo al mese e uno, o due, codici membranacei all’anno. I dodici rotoli di papiro di Gebelein furono il lavoro che le diede maggior soddisfazione, mentre il manoscritto per cui faticò di più fu l’Historia Naturalis di Plinio con le miniature della scuola di Mantegna. Quando le si chiedeva di esprimere una preferenza, la restauratrice ribadiva che tutti i “malati” da lei curati avevano ricevuto le stesse attenzioni e la stessa passione e che ognuno aveva un posto riservato nel suo cuore. Un cronista de La Stampa che la intervistò nel 1941, notò come passasse

la mano sul blocco informe di carta annerita con la stessa delicata tenerezza con cui una madre amorosa accarezza l’ultimo nato.

Semplice e spigliata

Di figli in carne e ossa non ne ebbe la signorina Caudana. Non si sposò mai, perché riteneva che la famiglia l’avrebbe distolta dal lavoro che lei intendeva come una vera e propria missione a cui non poteva permettersi di sottrarre tempo. La sua attività era l’anello di congiunzione tra i documenti del passato e gli studiosi che, decifrandoli, avrebbero dato loro voce nel presente. Senza il suo intervento quei fogli sarebbero rimasti irrimediabilmente muti.

Erminia Caudana viene descritta da chi la conobbe come una donna semplice e modesta, ma assai spigliata quando illustrava i risultati del suo lavoro e sicura dell’inalterabilità nel tempo dei suoi interventi. Persona disponibile e gentile, poteva capitarle di accettare lavori anche da parte di privati, per i quali spesso non si faceva nemmeno pagare. Scrisse Curto:

I suoi committenti la trovavano sempre tanto cordiale nell’accettare il più pesante dei lavori, fedele e intelligente nell’eseguire ogni più specificata raccomandazione, quanto subito scontrosa a qualsiasi proposta di compenso.
Teca dedicata a Erminia Caudana al Museo Egizio di Torino.
Teca dedicata a Erminia Caudana al Museo Egizio di Torino.

Aveva quindi un carattere deciso ed era molto gelosa dei suoi metodi. Non fu felice quando nel 1927 le venne affiancata Editta Bonora Torri, la figlia dell’allora direttore della Biblioteca Nazionale, scomparsa prematuramente nel 1934. Non esitava a mettere alla porta coloro che con insistenza le chiedevano spiegazioni dettagliate, come accadde ad Alfonso Gallo, l’insigne paleografo fondatore nel 1938 dell’Istituto di Patologia del Libro di Firenze. I suoi segreti Erminia li rivelò soltanto al nipote, Amerigo Bruna, figlio della sorella Natalina. Amerigo affiancò la zia dal 1950 e lavorò come restauratore fino alla pensione, nel 1994.

Il laboratorio di restauro allestito all’interno della nuova sede della Biblioteca Nazionale in piazza Carlo Alberto fu inaugurato nel 1975, ma Erminia non fece in tempo a vederlo. Morì il 5 gennaio 1974, improvvisamente, mentre si stava versando un caffè. La “miracolosa restauratrice di papiri” (Curto) è ricordata oggi nel rinnovato Museo Egizio dove, nel piano interrato in cui si rievoca la storia di questa prestigiosa istituzione, una teca che espone ritagli di giornale e alcuni papiri risanati è a lei dedicata.

Una donna candida che non conosceva le tempeste del mondo e che il mondo non conosceva. Modi educati e un po’ vecchio stile, da damigella di principio secolo. Come se il tempo si fosse fermato al momento del suo primo incontro con il passato, entro il quale è scomparsa in silenzio.
("La Stampa", 11 gennaio 1974)

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Bibliografia

  • AA. VV., Il patrimonio ritrovato: a cent’anni dall’incendio della Biblioteca nazionale universitaria di Torino, Torino, Trident, 2004.
  • Curto S., Erminia Caudana, in Aegyptus. Rivista italiana di egittologia e papirologia, 55, 1/4, 1975.
  • Farina G., Come si restaura un papiro, in Sapere, IX, 105, 1939.
  • Giaccaria A., Erminia Caudana, restauratrice di manoscritti, il suo maestro Carlo Marré e l’allievo Amerigo Bruna, in Studi Piemontesi, XLV, 1, 2016.
  • Il laboratorio di restauri della Biblioteca Nazionale di Torino, in Torino. Rivista mensile municipale, XXI, 3, 1941.
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