Come poteva, in epoca medievale, una comunità di liberi individui difendersi dalle invasioni, o un signore locale proteggere i propri possedimenti dai nemici, in mancanza di un forte potere centrale e in un territorio privo di difese naturali come quello della Bassa Novarese? Semplice: si costruiva una fortezza! È quanto avvenne nel centro oggi conosciuto come Castellazzo Novarese e in molti altri luoghi della pianura che circonda la città gaudenziana. Tuttavia, il processo di incastellamento, come dicono gli studiosi, fu tutt’altro che semplice e, come vedremo, complicati furono anche gli intrecci di potere intorno a Castellazzo e alla sua fortezza.
Ma facciamo un passo alla volta. Innanzitutto, molti di voi conosceranno Castellazzo Bormida, ma pochi avranno sentito nominare Castellazzo Novarese. Il piccolo centro si trova a quindici chilometri dal capoluogo e a breve distanza dalle prime colline. Oggi conta poco più di trecento abitanti ed è soprattutto noto nella zona per ospitare un’azienda casearia produttrice di un gorgonzola squisito. Ma anche al più distratto visitatore non sarà sfuggita l’imponente costruzione che sorge dirimpetto al palazzo municipale lungo la strada comunale Castellazzo-Mandello. Si tratta della Rocca dei Caccia, dal nome della famiglia che se ne impossessò nel Quattrocento: i Caccia di Novara, appunto.
Attualmente l’edificio si presenta come un complesso di costruzioni edificate e sviluppatesi tra il 1000 e il 1500. Queste comprendono il castello vero e proprio, difeso dalla rocca (ovverosia, la massiccia e più visibile parte esterna del complesso, all’epoca destinata a dimora del padrone o a residenza di una guarnigione), quindi l’oratorio di San Bernardo e accanto a esso un fabbricato secondario destinato a uso agricolo. Oggi la superficie occupata dal complesso è molto ridotta rispetto al passato. C’è chi ipotizza che le mura del castrum un tempo si estendessero su un territorio grande quattro volte rispetto all’attuale. Certamente la fortezza a un certo punto assunse un ruolo così importante per il paese da modificarne il toponimo: da Camodeia, nome con cui era anticamente conosciuto il villaggio, all’odierno Castellazzo.
L’ingresso principale della fortezza si trova attualmente sul fronte sud dell’edificio dove si erge anche la rocca vera e propria, della cui esistenza si ha notizia a partire dal 1548. Sullo stesso lato si aprono quattro finestre rettangolari, semplici ma su piani diversi. In mezzo è ancora oggi visibile uno stemma che, secondo Carlo Nigra, recherebbe il simbolo della famiglia Natta di Alfiano e non quello dei Caccia. L’architetto infatti ipotizza che i Natta furono i costruttori di questo braccio di fabbrica e un tempo feudatari del luogo. Appena sopra lo stemma, si possono osservare quattro bombardiere (altre tre sono visibili sul lato est), cioè grosse aperture circolari utilizzate per posizionare le artiglierie con cui far fuoco sui malcapitati assalitori. Il livello superiore dei lati sud ed est è inoltre ornato da una cerchia di beccatelli novaresi o caditoie, vale a dire strutture aggettanti dalla parete esterna realizzate a scopo difensivo.
Sul lato est, dove un tempo si apriva l’ingresso principale difeso da una torre, sono ancora visibili le feritoie entro le quali scorrevano le travi mobili utili a sostenere i ponti levatoi per il passo carraio e pedonale. Una seconda torre difensiva, di altezza inferiore rispetto alla prima, era localizzata nell’angolo nord-ovest della fortezza e serviva a respingere gli eventuali attacchi provenienti dalla campagna. Accanto ad essa, un ulteriore ingresso munito di ponte levatoio dava accesso al cortile. Lungo tutto il lato occidentale corre ancora oggi un massiccio muraglione trecentesco che si protende verso nord.
La corte interna, a forma rettangolare, era un tempo munita di ballatoi lignei di distribuzione. Dentro, sul lato est rispetto alla Rocca è ubicato l’oratorio di San Bernardo, una chiesa privata oggi chiusa. Dal 2007, tre abitazioni della vecchia corte sono occupate da una comunità di famiglie legata al circuito di Mondo di Comunità e Famiglia e chiamata, appunto, “La Corte”. Ad oggi, l’area occupata dall’Associazione è l’unica dell’intera struttura a essere stata ristrutturata e sottratta al degrado in cui purtroppo versa da anni l’antica fortezza.
Gli interni della rocca e del castello conservano ben poco degli antichi fasti. Fanno eccezione alcune volte cinquecentesche e, al piano terreno, un affresco di scuola gaudenziana o lombarda rappresentante una crocifissione.
Come accennato, gli storici hanno individuato tre tappe fondamentali nel processo di incastellamento nel novarese, processo che naturalmente coinvolse anche la Rocca dei Caccia. La prima fase coincise grosso modo con le frequenti e devastanti invasioni del X secolo. Non sempre muri, ma palizzate, fossati e terrapieni difendevano come meglio potevano le comunità e i proprietari terrieri della zona. Più che di castello vero e proprio, a questo punto sarebbe più corretto parlare di castrum, o centro fortificato, che aveva una funzione importante per il territorio ed esprimeva il proprio potere attraverso la creazione di un forte vincolo tra vassalli, popolazione e territorio.
Tra il 1100 e il 1200, ossia in piena età comunale, la piana novarese cambiò ancora aspetto grazie alla realizzazione di numerosi canali e rogge e attraverso l’impiego di materiali diversi, più resistenti dei precedenti, nell’erezione delle fortezze. Il castrum in questi anni comprendeva un numero più ristretto di abitazioni, che però erano meglio difese. Iniziarono a spuntare le prime torri e una solida struttura centrale, il castello vero e proprio, emergeva come unico simbolo del potere signorile.
Nuove trasformazioni mutarono definitivamente la fisionomia e la funzione dei castelli novaresi tra il 1300 e il 1400. Il castello divenne un unico edificio fortificato su una superficie minore rispetto alle fasi precedenti. La tendenza era quella di estromettere i rustici dalla fortezza per costruire nuove abitazioni di proprietà padronale. È a questa fase che risale la distinzione tra castello, cioè la vecchia costruzione fortificata comprendente i locali riservati ai contadini, e la rocca, vale a dire i possenti nuovi edifici muniti di torri nei quali risiedevano il signore e la corte. Pressoché tutte le fortezze che ancora oggi disegnano il territorio novarese appartengono a quest’ultima fase evolutiva, e la Rocca di Castellazzo non fa eccezione.
Particolare e alquanto intricata è invece la storia intorno al feudo di Castellazzo. L’insediamento, attualmente noto come Castellazzo Novarese, era conosciuto intorno al 900 col toponimo di Camodeia dal nome dell’omonima e potente famiglia di milites, i de Camodeia, appartenenti all’aristocrazia minore del luogo, che curava il castello e alla quale spettavano i relativi diritti e doveri sul territorio e i suoi abitanti. I de Camodeia erano certamente influenti, ma non quanto l’autorevole famiglia dei Biandrate, vassalli diretti dell’imperatore e signori di una vasta area territoriale che dal novarese si estendeva fino alla Valsesia, all’Ossola e oltre. Nel 1140 il conte Guido di Biandrate ottenne la conferma da Corrado III di Svevia dei diritti signorili su una trentina di villaggi e castelli novaresi. Tra questi, Camodeia e Proh, località quest’ultima distante quattro chilometri dalla prima, sede pievana e luogo in cui i Biandrate avevano fatto erigere un’antica fortezza difensiva. Poco dopo, nel 1150, la vetusta chiesa di San Zeno di Proh cadde in disgrazia e nuovo centro pievano divenne la vicina chiesa di Santa Maria di Camodeia, non lontana dalla fortezza e oggi non più esistente. Al suo posto soltanto nel 1904 fu eretta l’attuale chiesa parrocchiale, dedicata a Santa Maria Nascente.
Con la morte di Guido di Biandrate e l’ascesa dei comuni di Novara e Vercelli, il potere dei Biandrate, oppresso dagli ingombranti vicini, inevitabilmente diminuì. Nuove famiglie cittadine spinsero la loro influenza fino al contado e soprattutto Novara esercitò un notevole richiamo dalle campagne, tanto che anche i Camodeia, insieme ad altri, si trasferirono in città. Qui ottennero nuovi incarichi alla guida del Comune e videro aumentare la propria autorità.
Agli inizi del 1200 il comune di Novara ordinò la costruzione del borgo di Mandello, a pochi passi da Camodeia e Proh, allo scopo di svuotare e indebolire i due insediamenti più antichi. L’egemonia dei Biandrate era ormai svanita, mentre il castrum di Proh sarebbe presto caduto in rovina come il paese stesso, distrutto nel 1358 durante la guerra tra il marchese del Monferrato e i Visconti, questi ultimi nuovi signori del novarese.
L’abitato di Camodeia-Castellazzo fu fortunosamente risparmiato dai combattimenti e continuò a sopravvivere, seppur con pochi abitanti, mentre il castello visse momenti di crisi. Proprio in un documento del 1355 si menziona, per la prima volta, il termine dispregiativo di castellacio per riferirsi alla fortezza del luogo, decadente ancor prima della guerra tra Monferrato e i Visconti, e allo stesso centro abitato, che da Camodeia divenne poco alla volta Castellazzo.
Agli inizi del Quattrocento, l’avvento di una ricca famiglia novarese, quella dei Caccia, cambiò le cose presso l’antica Camodeia e nei vicini centri di Mandello e Proh. In particolare Giovanni Caccia acquistò numerose proprietà e abitazioni a Castellacio, dove nel 1442 risulta che affittò la fortezza locale a due rustici che l’abitavano da tempo.
Con la morte del Duca di Milano, Francesco Sforza, si concluse la subordinazione di Castellazzo, Proh e Mandello da Novara, città legata al ducato milanese. Dalla vedova del Duca, Alpinolo da Casate acquistò i feudi di Mandello e Castellazzo insieme ai diritti annessi, mentre a Giorgio Caccia spettò il feudo di Proh. Il Casate, però, non poté mai esercitare diritti né vantare proprietà entro i castelli delle due località: le fortezze di Castellazzo e Mandello rimasero infatti appannaggio dei Caccia.
Tra il 1470 e il 1490 i Caccia innalzarono la poderosa rocca nell’angolo sud-ovest della fortezza di Castellazzo e negli anni successivi proseguirono con la ristrutturazione del castello. Nello stesso periodo venne anche ricostruito il castrum di Proh, risultando così al centro dei possessi fondiari dei Caccia e punto di riferimento per i massari.
Nel 1597, con la morte dell’ultimo dei da Casate, i feudi di Castellazzo e Mandello passarono all’illustre famiglia milanese dei Talenti Fiorenza. Solo nel 1712 Gaudenzio Caccia, proprietario anche di cascine a Castellazzo e Mandello, acquistò la signoria feudale sui quei luoghi. Nel 1771 il Re di Sardegna concesse alla famiglia novarese il titolo comitale che sarebbe durato fino all’abolizione del feudalesimo. I Caccia mantennero solo la proprietà del castello di Castellazzo, o di ciò che ne rimaneva, ancora per molti anni.
Il feudo e il castello di Proh, invece, nel corso del 1600 passarono alla famiglia Cattaneo da Cavaglietto. Rimasero nelle loro mani fino all’età napoleonica, quando il castello fu ceduto alla famiglia Fantoni, che ne fece una vasta cascina. Quindi fu la volta dei conti Arese Lucini e infine dei Marelli di Milano, i quali negli anni ’60 del secolo scorso restaurarono il castello fino a conferirgli l’aspetto odierno.
Contrariamente al castello di Proh, ancora in ottimo stato benché poco utilizzato, la Rocca di Castellazzo è da tanti anni in uno stato di lento abbandono. Si tratta di uno di quei beni della nostra regione che andrebbero recuperati materialmente dall’incuria attuale. Una volta tanto, tuttavia, non è il pubblico a dover essere biasimato, bensì il privato. La Rocca è infatti proprietà di una famiglia che, a quanto pare, non ha la voglia o la possibilità di mettere mano al portafoglio né è ancora riuscita a trovare un acquirente che abbia la capacità e la volontà di farlo — da tempo, infatti, un grosso cartello “Vendesi” campeggia sulla facciata sud della costruzione.
Dunque, in attesa di un volenteroso e danaroso compratore, cosa si può fare? Qualcuno ha provato a smuovere le acque. Nel 2011, l’allora studente del Politecnico di Milano, Marco Pesenti, discusse una tesi specialistica intitolata Recupero del complesso Rocca dei Caccia di Castellazzo Novarese. Lavoro che, ad oggi, pare purtroppo rimasto lettera morta. Successivamente, nell’estate 2015 la studiosa novarese Maria Rosa Marsilio visitò gli interni e i sotterranei della Rocca per realizzare le riprese della serie tv I Castelli del Novarese, allora trasmessa dall’emittente locale VideoNovara. Prima di lei, perfino Vittorio Sgarbi, tra una sfuriata televisiva e l’altra, aveva a più riprese citato la Rocca di Castellazzo tra i gioielli dimenticati del nostro paese.
Da parte nostra, non possiamo far altro che accodarci per provare a richiamare l’attenzione su questo angolo di Piemonte inaspettatamente ricco di storia che meriterebbe di essere riscoperto e rivalutato.