Nei primi anni Settanta del XIX secolo Ugo Ferrandi, originario di Novara, si imbarcò come mozzo su una nave diretta nel Mar Rosso. Già in un paio di occasioni il giovane aveva abbandonato la scuola per fuggire a Genova e imbarcarsi verso paesi lontani e ora, poco più che ventenne, era finalmente libero di seguire la sua sete di avventura. Le informazioni riguardo al suo primo imbarco sono poche e contraddittorie, ma sappiamo che ben presto il giovane Ferrandi si fece notare per le sue capacità e venne promosso a mansioni di maggior responsabilità.
Né la cosa dovrebbe sorprenderci perché se è vero che quello di lasciare la propria casa e imbarcarsi in cerca di avventure è sempre stato un sogno di molti giovani, è altrettanto vero che Ugo Ferrandi non era un semplice avventuriero: di famiglia molto facoltosa (i genitori erano proprietari terrieri nel novarese), Ugo aveva frequentato prima l’istituto tecnico di Novara e poi l’istituto nautico di Genova diventando ben presto capitano di lungo corso.
Ferrandi servì su navi mercantili nel Pacifico, nell’Atlantico meridionale e in America, ma di questi viaggi rimangono poche testimonianze. E nonostante i suoi inizi avventurosi, Ferrandi si dimostrerà tutt’altro che un avventuriero, dimostrando invece le doti di affidabilità che, insieme con il suo spirito di iniziativa, faranno di lui uno degli artefici dell’espansione coloniale italiana in Africa.
Nel 1886 Ferrandi si unì al vercellese Augusto Franzoj e da Aden viaggiò verso Obok e Tagiura, in una spedizione esplorativa destinata a interrompersi per via delle interferenze delle autorità inglesi e francesi. Se infatti gli esploratori della seconda metà del XIX secolo erano certamente animati dal fervore della scoperta scientifica, è anche innegabile che le esplorazioni fossero parte della crescente espansione coloniale europea in Africa, giunta in quegli anni alla sua fase più intensa. I viaggiatori italiani erano perciò visti come potenziali concorrenti dai rappresentanti delle altre potenze coloniali.
Tramite Franzoj, Ferrandi ebbe anche modo di incontrare il poeta francese Rimbaud — che si trovava in Africa ed era intimo amico (e talvolta rivale) dell’esploratore italiano.
Il Franzoj, noto giornalista e polemista, era un amante di letteratura francese e latina (leggeva sempre Orazio, nel suo non facile testo) e, col Rimbaud, erano lunghe discussioni letterarie — dai romantici ai decadenti. Io invece affliggeva il Rimbaud con domande d’indole geografica… o islamica.
(Ugo Ferrandi, 1886)
Successivamente Ferrandi venne aggregato, in qualità di corrispondente del giornale Roma, alla spedizione del generale Alessandro Asinari di San Marzano in Eritrea. Veterano delle guerre d’indipendenza, Asinari era stato incaricato di tenere testa alle forze dell’impero etiope dopo la sconfitta italiana nella battaglia di Dogali. Nel corso della missione Ferrandi non si limitò a osservare gli avvenimenti, ma mise la sua esperienza di viaggiatore ed esploratore al servizio delle autorità militari.
Lasciata ormai l’attività nautica e ben presto abbandonata anche la carriera giornalistica, Ferrandi passò nel 1888 a lavorare come agente commerciale sulla costa della Somalia, con base ad Harrar. Intrattenendo rapporti commerciali con vari fornitori nella penisola araba, ma anche con le popolazioni somale, abissine e galla, Ferrandi gettò le basi per quello che sarebbe stato il suo incarico successivo.
Nel 1890 la milanese Società di Esplorazione Commerciale in Africa ingaggiò Ferrandi per esplorare i corsi dei fiumi Giuba e Omo e verificarne il potenziale come vie di comunicazione commerciale con l’entroterra. La missione ebbe un successo parziale, ma nel 1892 Ferrandi tornò per una seconda volta sul corso del Giuba, ancora una volta per conto della Società di Esplorazione Commerciale e della Società Geografica Italiana. Nel corso di queste esplorazioni Ferrandi compilò un vasto corpo di osservazioni sulle popolazioni incontrate, i loro usi religiosi, la vita sociale e le tradizioni folkloriche, che andranno anche a formare la principale fonte di informazioni sulle attività dell’esploratore stesso.
Ripresosi da una non meglio specificata malattia che gli aveva completamente paralizzato il braccio destro, Ferrandi tornò sul corso del Giuba per una terza volta nel 1895, questa volta come membro della Compagnia Italiana per la Somalia Vincenzo Filonardi, un’azienda privata che amministrava per conto del governo italiano la regione di Benadir. In veste di “agente mandatario” della società Ferrandi svolse diversi incarichi, incluso quello di ispettore doganale, e collaborò con le autorità locali. Ma lo scopo principale per cui la Compagnia Vincenzo Filonardi lo aveva mandato nuovamente sul campo era diverso: Ferrandi avrebbe infatti dovuto, nelle intenzioni dei suoi superiori, trovare degli accordi per favorire un’espansione coloniale pacifica degli interessi italiani. Si riteneva infatti che una serie di trattati commerciali potessero contrastare la più aggressiva espansione militare britannica nelle stesse aree.
Ancora nel 1895 e sostanzialmente con la stessa missione, Ferrandi venne aggregato alla spedizione Bottego, il cui scopo era quello di fondare una stazione commerciale nell’area di Lugh, a 300 chilometri dalla costa, in un punto nodale per gli scambi commerciali nell’Africa orientale. Le osservazioni e le esperienze dell’esploratore vennero raccolte nel volume Lugh emporio commerciale sul Giuba, pubblicato dalla Società Geografica Italiana nel 1903, un contributo essenziale alla conoscenza storica e geografica dell’interno della Somalia.
Il 25 dicembre 1895, una settimana dopo il suo arrivo, Ferrandi venne nominato residente della legazione italiana a Lugh, con l’incarico di difendere militarmente il territorio e al contempo avviare una serie di scambi e accordi commerciali con le tribù e le comunità locali. Ferrandi ricoprì l’incarico per due anni e successivamente tornò in Italia, stabilendosi a Novara.
Tornò in Africa nel 1901, questa volta per accompagnare la spedizione geologica di Paolo Vignassa di Regny in Tripolitania, e successivamente per valutare la situazione dei territori italiani in previsione di un attacco da parte del “Mullah Pazzo”, Muhammad ibn Abdallah ibn Hasan, che aveva proclamato la guerra santa contro i cristiani.
Per alcuni Ferrandi fu al comando della stazione di Bardera, alternando all’amministrazione ordinaria la conduzione di numerose azioni militari. Venne anche nominato reggente della Società Anonima Commerciale italiana del Benadir.
Nel 1907 un incontro fortuito mentre Ferrandi si preparava a tornare in Italia, lo convinse a unirsi alla spedizione di Gustavo Chiesi, che si trovava nella regione di Brava per cartografare possibili approdi commerciali. Ferrandi decise di accompagnare Chiesi in quelle aree che lui stesso aveva originariamente esplorato oltre vent’anni prima.
Nel 1908 Ferrandi guidò la spedizione punitiva contro la tribù degli Agiuran in seguito a una razzia di questi nel territorio degli Elal. Per rappresaglia, in seguito alla cattura e fucilazione di una unità italiana, Ferrandi ordinò che alcuni dei villaggi degli Agiuran venissero dati alle fiamme, e in questo modo convinse il leader della tribù alla resa. L’episodio segna un punto oscuro nella carriera dell’esploratore, ma non si discosta purtroppo dalle pratiche considerate “normali” nel periodo coloniale.
Nel 1910 ritornò a Lugh e tre anni più tardi il Governo lo nominò commissario dell’Alto Giuba, e successivamente della Somalia settentrionale. La sede della stazione commerciale di Lugh verrà successivamente chiamata Lugh Ferrandi in suo onore.
Nel 1913 il Ministero delle Colonie assegnò a Ferrandi il titolo di commissario civile di Obbia e dei Migiurtini, con sede prima a Obbia e successivamente ad Alula. Qui l’esploratore si dedicò a consolidare la presenza italiana nella Somalia settentrionale e a promuovere la cooperazione militare tra il governo di Mogadiscio e i sultani locali. L’esploratore si troverà in qualche modo sacrificato in questa posizione, di indubbio prestigio ma strettamente burocratica. Nel ruolo di funzionario amministrativo, semplice esecutore delle direttive espansionistiche dettate dal ministero, la capacità di adattamento e lo spirito di iniziativa di Ferrandi non trovarono spazio.
Ugo Ferrandi tornerà per un’ultima volta in Somalia, nel 1923, incaricato dal governo italiano di svolgere le delicate trattative diplomatiche con i ras locali. Fedele al proprio istinto di esploratore, Ferrandi approfittò di questa occasione per effettuare alcuni rilievi aerei su quei territori. Rientrato in Italia nel 1924, Ugo Ferrandi morirà a Novara il 25 ottobre 1928. Nel suo testamento raccomandò ai cugini Gaetano e Giovanni Agnelli di distruggere tutti i “manoscritti, diari, memorie, carnets o altro”, oltre alle lettere che aveva fino ad allora conservato. La ragione di questa scelta rimane un mistero.