Aigues-Mortes. La prima aggressione alla salina della Fangouse (da “L’Illustrazione Italiana”, 1893).
Pogrom: “Voce russa. Sommosse popolari ai danni delle comunità ebraiche verificatesi in Russia nel 1881 e nel 1921, che sfociarono in saccheggi e massacri perpetrati con la connivenza più o meno esplicita delle autorità”. Per estensione: “Atti persecutori ai danni delle minoranze etniche o religiose, condotti con l’appoggio più o meno dichiarato dell’autorità”.
Se si accetta questa definizione tratta dal Dizionario della Lingua italiana, il Sabatini Coletti, si può affermare che il 17 agosto 1893 ebbe luogo, a Aigues-Mortes, il più grande pogrom di tutta la storia contemporanea francese. Non solo: il massacro degli italiani a Aigues-Mortes costituì anche uno dei più grandi scandali giudiziari, poiché il giudice assolse tutti i colpevoli, nonostante le prove accumulate contro di loro.
Alla fine dell’Ottocento, questo pogrom in terra di Francia mise al bando delle nazioni civili la Terza Repubblica. Il New York Times denunciò: “the barbarous French nativism and chauvinism”. Le reazioni, anche violente, che scoppiarono in Italia contro la Francia, in un’epoca in cui il Bel Paese era alleato alla Germania del kaiser Guglielmo II, alimentarono per mesi la convinzione che la guerra tra i due Stati fosse vicina. Il conflitto armato fu evitato grazie all’opera congiunta dei due governi, quello francese e italiano, che si adoperarono a sminuire il massacro, “interrandolo”. Questo spiega perché il massacro di Aigues-Mortes fu per molto tempo taciuto dalla memoria collettiva francese e italiana.
Il pogrom di Aigues-Mortes è uno degli eventi più significativi per capire la storia dolorosa e tragica dell’emigrazione italiana all’estero, indagata in ottimi testi divulgativi, come quello dello scrittore Enzo Barnabà, Morte agli italiani!, paragonabile ai volumi dedicati dallo storico Toni Ricciardi a Marcinelle e a Mattmark. Il massacro degli italiani contiene, però, degli aspetti inquietanti, diversi dalle altre narrazioni sui migranti italiani. Innanzitutto, come abbiamo anticipato, è un fatto rimosso dalla storia francese e italiana.
Il massacro del 1893 è stato ricordato a Parigi in una mostra di successo: Ciao Italia! Un siècle d’immigration et de culture italiennes en France (1860 — 1960), tenutasi al Musée National de l’Histoire de l’Immigration. Oggi chi scrive desidera fare il punto su questo vero e proprio pogrom, constatando che il numero di italiani morti quel giorno non si è ancora stabilito con certezza benché il bilancio ufficiale francese e il rapporto presentato alla Camera dei Deputati in Italia contemplasse allora otto morti.
Un mio ampio pezzo, comparso su La Stampa il 17 agosto 2018, “Uccidete i migranti italiani” 17 agosto 1893, la strage di Aigues-Mortes. Linciati dalla folla gli operai cuneesi delle saline, ha innescato un nuovo dibattito tra studiosi sul numero degli operai morti a Aigues-Mortes. Per Barnabà “i morti sono dieci e solo dieci”, come riportiamo nel dettaglio più avanti in questo lavoro. Ovviamente la ricerca continua, la ricerca continua sempre. Per il momento analizziamo il pogrom del 1893. Alla fine dello scritto, infine, trarremo alcune conclusioni.
Fu ad Aigues-Mortes — splendido centro per le memorie medievali di San Luigi, il re che fece della città fortificata alle porte della Camargue il porto di partenza per le Crociate — che i lavoratori italiani trovarono il loro inferno in terra di Francia. Fu un massacro che il tempo ha trasformato in una storia simbolica, visto che questo capitolo tragico dell’emigrazione italiana all’estero fu innescato da una falsa notizia, un concerto di menzogne che oggi chiameremmo fake news.
Accadde che gli italiani furono ammazzati dalla folla inferocita, dopo decenni in cui si era costruito uno stereotipo negativo dell’emigrato del Bel Paese, presentato come briseurs de salaires, un ladro di lavoro. Gli operai francesi non avevano dubbi: l’immigrazione straniera era una delle cause della crisi economica che viveva la Terza Repubblica, nata dalle ceneri di Sedan e della Comune.
Il 1893 era un anno di votazioni in Francia, Paese culturalmente e politicamente più evoluto del Regno d’Italia, che economicamente era indietro anni luce rispetto alla Terza Repubblica. In Italia votava il 6% della popolazione, divisa come non mai tra Nord e Sud. Il 1893 è ricordato, infatti, per le vaste manifestazioni di protesta del movimento dei Fasci siciliani contro la mafia e i grandi proprietari terrieri. Il 15 dicembre di quello stesso anno Giovanni Giolitti veniva costretto alle dimissioni. Il 23 dicembre, il nuovo presidente del consiglio Francesco Crispi proclama lo stato d’assedio in Sicilia e organizza l’intervento militare per reprimere le sommosse popolari. La Francia, invece, era prospera economicamente. Non c’era ancora il suffragio universale, ma erano elettori tutti i cittadini maschi di almeno 21 anni di età e potevano essere eletti deputati tutti i cittadini maschi di almeno 25 anni di età.
L’emigrazione di manodopera italiana, che a livello di massa aveva avuto inizio negli anni del Secondo impero di Napoleone III, era andata acquistando sempre maggior peso nel corso della Terza Repubblica. Nel 1876 erano presenti in Francia 165.000 italiani, che costituivano il 17% dell’intera immigrazione straniera; dieci anni dopo, erano cresciuti di 100.000 unità, superando le 264.000 persone e il 24% del totale degli stranieri. All’epoca dei fatti di cui ci occupiamo, sui 38 milioni d’abitanti che contava il Paese, gli italiani non naturalizzati superavano le 300.000 unità.
Quanti di loro erano emigrati temporaneamente come molti di coloro che ritroveremo nelle saline di Aigues-Mortes? La maggior parte, con ogni probabilità. Tali erano, infatti, in prevalenza i sei milioni di italiani che emigrarono nell’ultimo quarto del XIX secolo e superiore era, inoltre, nello stesso arco di tempo, l’incidenza dell’emigrazione temporanea nelle due regioni che fornivano i maggiori contingenti alla nostra emigrazione in Francia: Piemonte (mezzo milione di stagionali su 750.000 emigrati) e Toscana (200.000 su 320.000). Questi dati darebbero tra l’altro risposta al vecchio quesito relativo alla prevalenza dei fattori attrattivi su quelli espulsivi nell’emigrazione italiana di fine Ottocento: la rilevanza dell’emigrazione stagionale starebbe a dimostrare che il contadino emigrava non tanto perché “attratto” dall’estero, quanto perché “espulso” dal processo di ristrutturazione economica che andava affermandosi nelle campagne.
Il massacro di Aigues-Mortes capitò proprio in quell’anno di elezioni, il 1893, durante una feroce campagna elettorale. In agosto lo scrittore nazionalista Maurice Barrès, su Le Figaro, aveva parlato di “invasione”. Lo fece per difendere il “carattere speciale” dell’identità francese, sostenendo che occorreva contrastare l’invasione valorizzando i concetti di famiglia, nazione e razza. Sono gli anni della Belle Époque, che nascondono sotto una festosa immagine di eleganza i panni sudici, fin de siècle, zeppi di miserie e turpi contraddizioni. I francesi pensano alla Revanche: dopo la disfatta di Sedan c’è l’odio per il Reich tedesco, alleato dell’Italia nella Triplice Alleanza. Sono gli anni dell’espansionismo coloniale con quel tanto di ideologia razzista che essa suppone.
Gli italiani sono identificati come un popolo abituato a cantare e mendicare; compare lo stereotipo dell’accoltellatore (un anarchico italiano uccide il presidente Sadi Carnot), riservato agli italiani almeno fino al 1940, data dell’aggressione fascista, non a caso definita coup de poignard. Nel 1893 Barrès dichiarava, schiumando di rabbia, che le “hordes barbares” minacciavano il lavoro e rappresentavano un pericolo sociale, morale e politico. Il disprezzo e la paura si diffusero rapidamente, contaminando anche il vocabolario: a Nizza, il termine piémontais era un insulto.
Le orde barbariche eravamo noi: gli italiani.
Nei secoli Aigues-Mortes era diventata la terra di produzione dell’oro bianco: il sale. Il lavoro nelle saline era durissimo e vi erano impiegati soprattutto operai emigrati dall’Italia, in particolare dal Piemonte.
Prima del massacro di Aigues-Mortes ci furono diversi casi di razzismo nei confronti degli italiani. Nel 1882 i lavori per la costruzione della nuova linea ferroviaria nella zona del Gard, l’Occitania, richiedono l’impiego di un gran numero di sterratori. Gli imprenditori vengono accusati di dare la preferenza agli operai piemontesi. Da tempo, nelle osterie della zona in cui sorgono i cantieri, si parla di cacciare via i pimos, come con disprezzo vengono chiamati nel Midi i piemontesi. Il 15 febbraio 1882, un capocantiere seguito dai suoi uomini percorre la linea malmenando gli italiani e inducendo i francesi a cessare di lavorare e a seguirlo. L’accusa francese era sostanzialmente questa: i piemontesi lavorano “per una paga eccessivamente bassa”.
Ma a cosa attribuire tanto sadismo se non al meccanismo psicologico di chi sfoga sull’altro l’odio che prova nei confronti della miseria di cui è intessuta la propria storia passata e presente?
L’altro termine coniato dai francesi, prima dell’odioso rital per indicare con sprezzo il bisognoso lavoratore italiano, fu christos, non per la fede, ma per la facile abitudine alla bestemmia; non a caso, nella lingua piemontese, è utilizzato il verbo “cristonare” quale sinonimo di bestemmiare. Anche una volta naturalizzati, gli immigrati italiani potevano ironicamente essere qualificati come français de Coni (francesi di Cuneo). Ad Aigues-Mortes fu utilizzato il termine ours (orso) per designare l’italiano, un termine che oltre al razzismo esprimeva anche le paure che la bestia evoca nell’immaginario collettivo.
Il mattino del 16 agosto un giovane di Vernante, Giovanni Giordano, litigò con i francesi, minacciandoli con un forcone. Si formarono delle bande pronte allo scontro, ma non accadde nulla. A questo punto, però, tutto era pronto per il peggio. Si cominciò da un banale incidente (il litigio) e si degenerò nella strage degli italiani. Un massacro alimentato da una fake news, che in quell’ambiente di esasperato nazionalismo (che avrà il suo epilogo nell’Affaire Dreyfus tra il 1894 e il 1906), come una pianta velenosa, trovò il terreno adatto per crescere e prosperare. È lo storico Marc Bloch a spiegare il concetto nel suo libro La guerra e le false notizie:
Una falsa notizia è solo apparentemente fortuita, o meglio, tutto ciò che vi è di fortuito è l’incidente iniziale che fa scattare l’immaginazione; ma questo procedimento ha luogo solo perché le immaginazioni sono già preparate e in silenzioso fermento.
Bloch è il nostro maestro in questa indagine su Aigues-Mortes. Lui definì un programma di lavoro in cui le false notizie erano proposte come oggetto di studio per lo storico in quanto testimonianze indirette su quelle che non si era ancora presa l’abitudine di chiamare le “mentalità collettive”.
La falsa notizia fu messa in circolazione da alcuni operai francesi che raccontarono d’inaudite violenze degli italiani, di gente pugnalata e ferita mortalmente.
Bastarono poche parole ad incendiare l’odio xenofobo. Il mattino del 17 agosto la folla, che nella notte aveva assediato gli italiani rifugiati in alcune case, si riunì con randelli, pale, fucili e pistole. Il prefetto e il sindaco di Aigues-Mortes ottennero l’espulsione e il licenziamento degli italiani da parte della compagnia delle saline, la potente Compagnie des salins du Midi. Dodici gendarmi a cavallo con il capitano Cabley prelevarono dalle saline un’ottantina di operai italiani, con la promessa di scortarli alla stazione del paese e così avviarli in treno per l’Italia, via Marsiglia. Gli operai italiani furono circondati, non protetti contro il lancio di pietre. Caddero i primi morti. Solo trentotto, ormai disperati, arrivarono sotto le mura di Aigues-Mortes, dove la popolazione schiumava rabbia. Esplose una follia collettiva e iniziò il massacro. I feriti, anziché essere curati, furono abbandonati a morte certa.
I morti ufficiali per le autorità francesi, nel 1893, furono otto e si conobbero l’identità di sette persone. A questi numeri, recentemente, Enzo Barnabà ha aggiunto altre due vittime. I morti certi sono così saliti a dieci. Morirono i cuneesi Giovanni Bonetti, 31 anni, di Frassino, e Giuseppe Merlo, 29 anni, di Centallo; i torinesi Vittorio Caffaro, 29 anni, di Pinerolo; e Bartolomeo Calori, 26 anni, di Torino; l’alessandrino Carlo Tasso, 58 anni, di Cerrina; l’astigiano Secondo Torchio, 24 anni, di Tigliole, il ligure Lorenzo Rolando, 31 anni, di Altare (Savona), Paolo Zanetti, 29 anni, di Alzano Lombardo (Bergamo) e il toscano Amaddio Caponi, 35 anni, di San Miniato (Pisa). Il 18 agosto 1893 i cadaveri giacenti all’ospizio furono fotografati dalle autorità francesi al fine dell’eventuale riconoscimento. A mezzanotte le salme furono inumate. Le sette bare, trasportate su due carretti, furono seguite da due sole persone. I colpevoli della strage, invece, saranno tutti assolti al processo che durò quattro giorni, dal 27 al 30 dicembre 1893.
Al momento del massacro di Aigues-Mortes si parlò di centinaia di vittime. Lo storico Enzo Barnabà con sicurezza afferma che furono una decina, più quattordici dispersi, quasi sicuramente ammazzati. Barnabà, inoltre, ha indicato questi punti della ricerca al sottoscritto, a proposito dei dispersi:
Le ricerche di Barnabà sono state condotte su materiali francesi: gli atti giudiziari in particolare. Occorrerebbe un lavoro d’équipe per trovare altri dati sulle vittime del massacro di Aigues-Mortes. La mia proposta di ricerca è semplice. Ho notato che a distanza di alcuni mesi dal massacro, la stampa italiana continuava a parlare dei dispersi. Soprattutto i giornali locali erano attenti a segnalare i nomi degli operai che non tornarono più a casa. Chi scrive ha ricercato dati sulla stampa locale del Monferrato, dove, nel 1893, esistevano molti giornali locali, bisettimanali e mensili. C’erano fogli socialisti, altri del cosiddetto “partito costituzionale”, oltre alla numerosa stampa cattolica. Da una prima indagine sono emersi dei dispersi del territorio di Ottiglio. Lo si desume dagli appelli di mogli, parenti e amici che non videro più arrivare a casa i saliniers.
Se all’inizio di questo pezzo, ho affermato che il massacro di Aigues-Mortes fu un vero e proprio pogrom è perché ci sono dei fatti inequivocabili: la città francese diventa il centro di un odio atroce, da dove partirà la caccia allo straniero. Nel 1893, per fare un parallelo con i fatti dei nostri giorni, Mohammed si chiamava Giovanni. Fu pogrom anche perché il massacro poté contare sulla totale incomprensione del dramma da parte delle autorità civili e militari. Solo verso mezzanotte del 16 agosto 1893 giunse da Nîmes il capitano Cabley con 21 gendarmi a cavallo. Colpevolmente non arrivano i soldati, che erano stati richiesti… Terzo elemento che rende il massacro di Aigues-Mortes un grande pogrom è l’esito del processo: i colpevoli furono tutti assolti!
Il governo francese e quello italiano avevano validi motivi per nascondere e soffocare i fatti di Aigues-Mortes, contenendo anche il numero delle vittime. Il massacro dei saliniers, infatti, segnò una profonda crisi diplomatica tra Italia e Francia. A Genova, a Napoli e a Roma ci furono incidenti gravi contro negozi francesi.
Riportiamo, per comprendere il clima di quei giorni, un articolo comparso sulla Gazzetta di Casale (giornale della Diocesi), dal titolo Il massacro degli italiani in Francia, il 26 agosto 1893:
Non è ancor giunta sui giornali, né colle agenzie telegrafiche alcuna seria considerazione che valga ad attenuare la gravità dei fatti di Aigues-Mortes. Ci troviamo quindi alla presenza di un brutale massacro dei nostri connazionali, di una caccia selvaggia all’uomo, la quale fa passare in seconda linea le stragi perpetrate dalle bande africane, o dalle tribù delle pelli rosse. Il “maire” di Aigues-Mortes dà dei punti a Ras Alula e Gengis Kan diventa un agnellino di fronte ai direttori (laici senza dubbio nel senso moderno) degli ospedali di Marsiglia. Giacché non bisogna dimenticare che gli episodi caratteristici di questo macello vengono appunto costituiti dal proclama del sindaco di Aigues-Mortes il quale chiama «soddisfazione» data agli operai francesi, l’ostracismo dai cantieri degli operai italiani ottenuto con simili mezzi! E il rifiuto opposto dagli ospedali di Marsiglia di accogliere i feriti italiani, sottrattisi per prodigio agli ultimi colpi di quelle belve umane. Qualunque possa essere l’origine della rissa degenerata in sanguinoso eccidio, una gravissima censura permane sempre a carico di quei pubblici funzionari, che, “si vera sunt relata”, si resero indegni dell’onore dell’uffizio, al quale la fiducia governativa li aveva innalzati. Quanto ai poveri operai italiani, costretti dalle dure condizioni economiche, in cui si trovano in patria, a procacciarsi pane e lavoro in Francia, noi non possiamo che esternare loro tutta la nostra commiserazione e simpatia, ed anzi che con schiamazzi inconsulti per le piazze e peggio con tumulti e scene brutali come a Genova, a Roma ed in qualche altra città contro persone od istituzioni, innocenti appieno ed irresponsabili delle atrocità commesse dagli operai francesi, vorremmo con fermezza e serie proteste chiedere le ben dovute riparazioni e che col mezzo della carità fraterna si andasse in soccorso dei superstiti delle famiglie dei morti.
La mia proposta di ricerca è quella di approfondire la storia delle vittime italiane di Aigues-Mortes, le storie familiari. È un lavoro di ricerca obbligatorio — ricostruire la vicenda e le persone legate al massacro del 1893 — in questi tempi di rinnovati flussi migratori. Ricordare le tante storie dei nostri emigranti è utile per denunciare i segni di paura e di insicurezza che talvolta rasentano il razzismo e la xenofobia, spesso cavalcati da correnti ideologiche e falsati da un’informazione che deforma la realtà. Ripercorrendo le vicende degli emigranti italiani in Francia, ad esempio, ricordiamo chi siamo stati, e che siamo stati — in tempi recenti — un popolo di emigranti vittime di odio razzista.
Per trovare i “dimenticati” del 1893 occorre con pazienza ricercare notizie e nomi sulla stampa locale dei giornali delle province di Cuneo, Asti e Alessandria, nelle copie uscite subito dopo quell’estate di sangue. I saliniers arrivavano soprattutto dalla provincia di Cuneo, dove all’impoverimento economico si associava il dato della prossimità territoriale: buona parte degli uomini validi emigrava dalla primavera all’autunno, lasciando al resto della famiglia la cura della conduzione della terra. La stessa cosa accadeva nel Monferrato, dove il mercato del vino era crollato per il problema della fillossera.
Centoventicinque anni dopo, la città di Aigues-Mortes ricorda l’atroce massacro dei saliniers italiani. Un piccolo passo per rievocare l’episodio del 1893, fino ad ora cancellato dalla memoria, così come dalle numerose guide dedicate alla città del Re Santo. Il 17 agosto 2018, sulla facciata del Municipio, è stata aggiunta una piccola targa, alla presenza del sindaco di Aigues-Mortes, Pierre Mauméjean, del Consiglio municipale e del Console generale d’Italia.
Nella targa è stata riprodotta una foto d’epoca, che ritrae il panificio di Adélaide Fontaine nel quale molti italiani trovarono rifugio durante il massacro. La scritta recita:
In memoria dei 10 operai italiani vittime della xenofobia durante gli eventi del 17 agosto 1893. In omaggio ai giusti: Jacques Eugène Mauger (abate), Adélaide Fontaine, nata Vical (panettiera), Madame Goulay. E ai cittadini di Aigues Mortes che diedero prova di coraggio e d’umanità.
I morti, e chi cercò di difenderli dalla belve. Inutilmente.
Proposta per un prossimo anniversario: perché non dedicare un monumento o una grande lapide (ci pare misera una piccola targa) — con tutti i nomi degli italiani uccisi — a perenne memoria del pogrom di Aigues-Mortes?
La pagina atroce del 17 agosto 1893 è stata un immenso esperimento di psicologia sociale. Consolarsi dei suoi orrori rallegrandosi del suo interesse sperimentale significherebbe mostrare un dilettantismo da amateur di storia di dubbio gusto. Il massacro di italiani c’è stato e poiché ha avuto luogo occorre utilizzare i suoi insegnamenti per il bene della nostra scienza e civiltà. Affrettiamoci a trarre profitto da un’occasione che dobbiamo sperare unica.