L’11 agosto 1966 si spegneva a Torino una meteora della narrativa fantastica, Gastone Simoni, dopo aver operato nel periodo tra le due guerre in un territorio della letteratura popolare esplorato con baldanza e inventiva da un gruppo di pionieri che, ancorati al passato ma irresistibilmente attratti dal futuro e dalle nuove mode provenienti soprattutto dall’America, nonché dal nuovo contesto scientifico e tecnologico nazionale, hanno creato in Italia quella che è definita “protofantascienza”. Vale a dire quella letteratura d’intrattenimento che ha preceduto la fantascienza vera e propria, nata ufficialmente nel nostro Paese nel 1952.
Gastone Simoni era nato il 1° gennaio 1899 a Omegna, che per aver dato i natali anche all’antropologo e viaggiatore Guido Boggiani e al pedagogista e scrittore Gianni Rodari, si direbbe il luogo di nascita ideale per il nostro autore votato all’avventura di carta.
Quando iniziò la sua attività, nel 1928, colui che aveva creato in Italia il genere avventuroso, Emilio Salgari, aveva da tempo dato origine al “salgarismo”, ovvero a quel fenomeno di costume nazionale che già rinviava a centinaia di opere altrui. Si trattava di romanzi quasi mai all’altezza del modello, che diventavano tuttavia fruibili perché alimentavano un immaginario perennemente affamato e perciò destinato a durare ancora per molto tempo. Questo “importante capitolo di sociologia della nostra letteratura di consumo”, per citare il compianto professor Antonio Palermo, benché ancora lontano dalla saturazione, era però tutt’altro che immune da istanze diverse e innovative. I nuovi gusti e le nuove tendenze richiedevano ad alta voce percorsi alternativi, peraltro già presenti e dotati di enormi potenzialità.
Gastone Simoni fu tra coloro che, sia pure con sguardo nostalgico rivolto a Salgari, scelsero quelle nuove strade che, con sempre maggior attenzione e frequenza, erano percorse da riviste popolari a larga diffusione. Fra esse primeggiava il Giornale Illustrato dei Viaggi, edito da Sonzogno sin dal 1878, che nel 1913 iniziò una nuova serie destinata negli anni Venti del secolo scorso a ospitare numerosi nuovi autori italiani impegnati nel genere fantastico, tra i quali Guglielmo Stocco (che ne era direttore) e Armando Silvestri, esperto di aeronautica. A loro, appunto, si aggiungerà il nostro Simoni.
Proprio nel 1928, e dunque agli esordi, egli fece sentire la propria voce polemizzando contro l’annunciata iniziativa dell’editore Bemporad di pubblicare nuovi lavori di Salgari desunti da trame rintracciate tra le sue carte, che altri avrebbero trasformato in romanzi compiuti. L’iniziativa, che peraltro si concretizzò con fortuna, era d’altronde caldeggiata dai figli di Salgari, e non si può che essere solidali con loro, perché avevano affrontato giovanissimi una tragedia immensa (il ricovero in manicomio della madre e il suicidio del padre) rimanendo privi di ogni sicurezza per il futuro. Ma, al di là di ogni considerazione che qui sarebbe ridondante, Simoni (peraltro già sul libro paga di Sonzogno in competizione con Bemporad) esternò anche in quel modo le proprie scelte che, per alcuni lustri, si dimostrarono altrettanto interessanti e fortunate.
Tanto più che, professionista serio, è con il tempo riuscito ad affrontare con discreti risultati quasi tutti i generi della letteratura popolare, dal poliziesco all’avventura moderna per non dire della divulgazione scientifica. E se non è stato risparmiato dal dimenticatoio (tranne che tra gli addetti ai lavori), basti pensare che la stessa sorte è toccata a tutti i suoi colleghi del tempo, e lo stesso dicasi per tutti gli imitatori di Salgari e gli altri seguaci del citato salgarismo in genere. Che sia giusto o no, non è ancora stato inventato il rimedio contro l’oblio.
Fu dunque nel 1928 che Simoni, come si è detto, esordì nella collana “Il Romanzo d’Avventure” edita da Sonzogno, con romanzi brevi quali La casa nel cielo, cui seguirono La città del sole e La barriera invisibile (1929), L’ultimo degli Atlantidi e L’idolo rosso (1932) ed altri, sino a ottenere la pubblicazione di romanzi fuori collana.
Fra essi L’isola del faro rosso (1932), accolto con particolare successo poiché vi compare un’invenzione diabolica: si tratta di un raggio misterioso, azionato da un faro, capace di provocare alterazioni della memoria e l’aumento del peso degli oggetti, così, ad esempio, da affondare le navi o far precipitare gli aerei, e persino capace di ottenere la separazione del corpo fisico umano da quello spirituale, così da ridurre i popoli alla schiavitù. Poiché gli effetti del raggio non hanno limiti di spazio, l’inventore pazzo di turno è in grado di conquistare il mondo provocando ovunque caos e follia. Se si aggiunge la presenza di pistole elettriche, di aeronavi e di treni che viaggiano a 600 chilometri all’ora, per non dire di un’apocalittica descrizione di San Francisco devastata dal letale raggio rosso, il quadro è completo.
Gli spunti avveniristici dunque non difettavano e Simoni, abilmente, tentò di rendere plausibile la sua storia citando Franz Anton Mesmer, il promulgatore del magnetismo animale; il filosofo Roberto Ardigò, che fu scomunicato per le sue teorie positiviste e si tolse la vita ultranovantenne; l’astronomo e scrittore fantascientifico Camille Flammarion e persino Arthur Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes ma anche divulgatore dello spiritismo, per non dire di un articolo apparso nel 1930 in una pubblicazione dell’Istituto Radiofonico Italiano dove si accennava alla possibilità di applicare i raggi cosmici e ultracosmici alla interpretazione di fenomeni psichici e medianici.
Le estrosità degli scienziati pazzi, per quanto già presenti nella letteratura del passato, costituivano un frequente alibi e un comodo mezzo per descrivere con trame avventurose le più incredibili situazioni, in un periodo pieno di incognite, a volte inquietanti, enunciate dalla scienza, e Simoni aveva già sfruttato l’espediente nel lungo racconto Il segreto della vita, pubblicato nel 1930 sul citato Giornale Illustrato dei Viaggi, dove il pazzoide di turno intende provocare la morte delle persone e riportarle in vita utilizzando un raggio elettrico capace di agire sulle cellule dell’organismo.
Ma c’era un altro redditizio e diffuso canale per diffondere a basso prezzo avventure di ogni genere, nostrane o straniere: si tratta dei cosiddetti fascicoli o dispense settimanali di derivazione americana, vendute nelle edicole diluendo in serie più o meno lunghe le fantasiose gesta di personaggi quasi sempre inventati e appartenenti a ogni genere romanzesco: ladri famosi e poliziotti sagaci; eroi del Far West, sia bianchi che rossi; corsari; avventurieri e così via.
Simoni, ancora per Sonzogno, non poteva certo disertare un appuntamento del genere e infatti, tra il 1930 e il 1931, apparvero ben sessanta fascicoli di otto pagine dedicate alle avventure di un ragazzo, Giancarlo Tibaldi, raccolte sotto il titolo L’ultimo pirata — Straordinarie avventure di un piccolo italiano intorno al mondo. Supportato dalle intriganti illustrazioni di Domenico Natoli, questo romanzo a puntate, se comprendeva la presenza del solito scienziato scopritore di potenti e misteriosi raggi D, rievocava a suo modo rimembranze ottocentesche con l’apparizione dell’ultimo pirata evocato nel titolo: un nobile e generoso fuorilegge vestito di nero con una mascherina rossa sul viso al comando di un sommergibile denominato “Il Vendicatore” con base nell’isola della Tortuga.
Il tema della vendetta e della giustizia, in questo caso riguardante un sommergibilista tedesco responsabile della morte di moglie e figlio dell’ultimo pirata, richiama facilmente alla memoria personaggi quali il Capitano Nemo di Verne, il Corsaro Nero di Salgari e persino Zorro. Nell’ultimo fascicolo si legge della morte dei contendenti (vendicatore e assassino tedesco) e di un lascito al giovane Tibaldi e alla fidanzatina Doretta, coinvolti in tante peripezie, di una parte del favoloso tesoro del pirata Morgan. Hanno scritto Franco Cristofori e Alberto Menarini:
“Un buon romanzo con qualche pretesa di bello stile e, qua e là, brani di sapore vagamente anarcoide”, per via di frasi che definiscono l’avventura “la quintessenza della vita”, il cui sapore è guastato dalla civiltà, che costringe gli uomini ad affidarsi “alle organizzazioni, i governi, la legge, la giustizia, i carabinieri, le convenzioni, le convenienze e tutte le altre cose”.
A sinistra: uno dei 60 fascicoli de “L’ultimo pirata”, pubblicati tra il 1930 e il 1931. A destra: “Il Re del Mistero”, romanzo a fascicoli di Gastone Simoni, pubblicato nel 1934 dalla Casa Editrice Moderna di Milano.
Soddisfatto dall’esito di quest’opera distribuita in fascicoli presso le edicole, Simoni ripeté l’esperienza nel 1934, con la Casa Editrice Moderna di Milano, pubblicando Il re del mistero, con nuove imprese di mare e di cielo illustrate da Tancredi Scarpelli. Nello stesso anno, per la Casa Editrice Antenore, pubblicò a puntate il romanzo Il sommergibile misterioso a completare però fascicoli western apparsi nella collana “Le avventure illustrate”. Quasi un riempitivo.
Difficile non rendersi conto che, dopo oltre un lustro, le pagine di Simoni stavano non solo perdendo mordente ma rasentavano la ripetitività, senza, in fondo, riuscire a rinnovare drasticamente il genere avventuroso, dopo i primi colpi d’ala, e senza riuscire a trascurare definitivamente le rimembranze indelebili dei suoi maestri ottocenteschi e del primo Novecento.
La circostanza è resa ancora più evidente dall’ultimo suo sforzo nel genere avventuroso. Si tratta di un godibile “ciclo messicano” comprendente sei agili romanzi pubblicati dalle SACSE di Milano a partire dal 1936 con illustrazioni dell’onnipresente Domenico Natoli. In essi (L’idolo di giada, L’isola perduta, Alla conquista di un regno, La maledizione dei Maya, La rivolta degli idoli, L’ultimo corsaro) sostituì le obsolete descrizioni di savane, giungle e belve feroci di salgariana memoria, con scene di inseguimenti in automobile o motoscafo, oppure con scene di combattimenti effettuati avvalendosi delle armi allora più moderne e sofisticate. Il protagonista del ciclo è il giovane avventuriero Lupo Grimaldi, discendente dell’antica casata genovese che regna su Monaco dal XIII secolo. Conosciuta la bellissima Thanis, discendente degli antichi re Maya, l’aiuta a riconquistare l’impero dei suoi avi, tra le insidie degli avidi industriali petroliferi e le atrocità dell’esercito messicano. Risulta quasi spontaneo pensare a Yanez di Salgari che aiuta Surama a riconquistare il trono dell’Assam, se non altro per un titolo assai simile, Alla conquista di un impero (1907).
A sinistra: copertina de “La maledizione dei Maya”, Edizioni SACSE, 1936. A destra: copertina de “L’idolo di Giada”, Edizioni SACSE, 1936.
La presenza nel ciclo di altri personaggi quali Teddy Morgan, discendente del famoso corsaro, e di Don Pablo Gomez, discendente dei conquistadores giunti in Messico al seguito di Pizzarro, suggerisce in ogni caso l’intenzione di Simoni di ricreare l’avventura classica — a forza di discendenti — a fianco dell’avventura moderna. Modernità caratterizzata dall’avvento del capitalismo e dalla supremazia dell’imperialismo destinati ad affermarsi sui popoli di colore, la cui unica sorte possibile è di soccombere. Infelice destino di cui erano già stati più che consapevoli gli eroi di Salgari, testimoni della fine di un mondo travolto sempre più dall’esasperazione politica e tecnologica e già allora ultimi e sempre più disillusi, persino donchisciotteschi oppositori all’inarrestabile incedere della storia.
Nel 1941, presso le Edizioni Mundus di Milano, volle aggiungere, fuori tempo massimo, un settimo volume al ciclo, La grande avventura, che passò pressoché inosservato. Le Edizioni Mundus facevano parte di quel rutilante mondo editoriale rivolto ai gusti popolari che, nel giro di pochi lustri, diede origine a un centinaio di collane poliziesche solo nella zona di Milano e se si pensa che quasi altrettante sarebbero nate nel resto dell’Italia, risulta evidente il seguito che stava ottenendo in quel periodo il romanzo giallo, già da tempo diffuso oltre oceano e in passato incoraggiato in Italia dalle disposizioni del Ministero della Cultura Popolare (il MinCulPop) secondo le quali ogni collezione di libri doveva esibire un certo numero di firme nostrane. Fu dunque in quell’ambito che Simoni, esaurite le possibilità sia nel genere della protofantascienza sia in quello dell’avventura moderna, si tuffò con rinnovate energie, dopo un tentativo di divulgazione scientifica avvenuto nel 1936 con la pubblicazione di Sono abitate le stelle? Piccola enciclopedia astronomica edita dall’Istituto Editoriale Moderno di Milano in un centinaio di pagine.
Come si è detto le possibilità non mancavano, nel capoluogo lombardo, e i suoi gialli comparvero in numerose collane, fra cui “I Gialli economici” di Mondadori, “I romanzi gialli K” della Edital , e “Collana del Cerchio Nero” della Sadel. Editoria popolare a prezzi accessibili, di un rutilante mondo di carta che ha segnato un’epoca, anche con sgargianti e amabili copertine, e che ancora conosce gli sforzi di collezionisti affannati nei mercatini dell’usato.
Tra i titoli di Simoni, pubblicati tra la fine degli anni Trenta e l’immediato secondo dopoguerra, figurano L’assassino immaginario, La maschera dai tre occhi, Chi ha ucciso Mister Carmody?, La strana morte di Edwin Markham, La casa della paura, L’uomo della camera 19 e poi una avvincente serie di gialli con originale ambientazione marinaresca: Battaglia a bordo, Navi sommerse, Bandiera gialla. Avendo al suo attivo una cinquantina di romanzi e un numero imprecisato di racconti e novelle (che nessuno ha ancora pensato di raccogliere in volume), si presume abbia potuto chiudere con soddisfazione la sua carriera, non sappiamo dire con quali fortune economiche.