Le chevalier Gian Francesco Galeani Napione

Il pioniere degli studi storici in Piemonte

Roberto Coaloa
Roberto Coaloa

Storico, biografo di Tolstoj, slavista, traduttore, critico letterario, autore di saggi dedicati al Risorgimento, alla Grande Guerra e ai viaggiatori, come Carlo Vidua, collabora a Il Sole-24Ore e La Stampa. È uno dei più autorevoli specialisti della storia dell’Austria-Ungheria. Si definisce “flâneur esistenzialista”: un instancabile ricercatore di cose rare e amateur di musica.

  

Una delle figure di riferimento per la nascita delle scienze storiche nel Piemonte sabaudo è quella del torinese Gian Francesco Galeani Napione conte di Cocconato. Come tutti gli aristocratici dell’epoca, il conte fece una carriera nell’amministrazione dello Stato sabaudo, studiando prima giurisprudenza, quasi per volontà atavica dei padri, per poi dedicarsi agli “ozi” letterari, che nel conte furono precoci, se è vero che a quindici anni scrisse una vita di Giovanni Rucellai, il grande mecenate della Firenze rinascimentale.

Un burocrate in amore per la letteratura

Nato a Torino il 1 novembre 1748, figlio primogenito del conte Valeriano (Carlo Giuseppe) Napione e di Maddalena de Maistre, Gian Francesco Galeani Napione si ritrovò orfano di padre nel 1768. A Torino, l'anno prima aveva stampato il poemetto, La morte di Cleopatra. Abbandonò per un periodo gli ozi letterari e, dopo gli studi giuridici, entrò nell'amministrazione finanziaria dello Stato. La sua generazione era, infatti, destinata agli studi giuridici alla Regia Università di Torino.

Paese cattolico, ma piccolo, il Piemonte del Settecento creava una nuova classe politica del Regno, sottraendo i suoi rampolli dal potere della Chiesa, pur rimanendo fedeli a Roma, e facendoli studiare in istituti dello Stato o con precettori legati alle istituzioni (o spesso, ancora meglio, con canonici colti legati alla massoneria). Il conte si ritrovò così ad affiancare alla sua passione per la storia e la letteratura degli studi di carattere giuridico-economico, più consoni al suo ruolo nello Stato sabaudo, scrivendo delle condizioni dei contadini, di questioni amministrative e statistiche, di problemi monetari, annonari, commerciali, fino alla discussione sulle cause della disoccupazione in Piemonte dopo i conflitti con l’esercito francese di Napoleone.

Cortile del Palazzo dell’Università degli Studi di Torino
Cortile del Palazzo dell’Università degli Studi di Torino (fotografia di Mario Gabinio, 1925 © Fondazione Torino Musei — Archivio fotografico).

Il progetto di un’Italia indipendente

La costante dedizione del giovane studioso alla monarchia sabauda fu ampiamente ripagata dal sovrano: nel 1782, Galeani Napione fu promosso all’intendenza di Susa e, tre anni dopo, a quella di Saluzzo. La fedeltà alla Corte dei Savoia ebbe altri vantaggi, poiché inserì il conte in un dibattito politico e sociale anche fuori dal contesto un po’ isolato del Regno. Su richiesta di Vittorio Amedeo III, ad esempio, scrisse delle memorie relative a questioni di politica estera e interna, come le Osservazioni intorno al progetto di pace tra S.M. e le potenze barbaresche (1780). Galeani Napione sperava in una confederazione di tutti gli Stati “marittimi” italiani al fine di proteggere gli scambi commerciali via mare e saldare il legame fra le popolazioni, già unite da usi, costumi e traffici. La confederazione doveva essere sotto la guida papale. Da qui l’idea neoguelfa di una confederazione di Stati italiani, sotto l’egida del Papa, che caratterizzerà la prima metà dell’Ottocento, fino a Gioberti. La visione dell’unità e dell’indipendenza ricompare nell’Idea di una confederazione delle potenze d’Italia (1791), scritta da Galeani Napione su richiesta del ministro degli esteri piemontese, il conte Joseph-François-Jerôme Perret di Hauteville (1731–1810), e in una memoria sul Congresso di Vienna (1815).

Il Congresso di Vienna in un dipinto di Jean-Baptiste Isabey.
Il Congresso di Vienna in un dipinto di Jean-Baptiste Isabey.

Tra letteratura e poesia

Galeani Napione, come altri aristocratici intellettuali della sua epoca, non si sottrasse al canto delle Muse. Lo troviamo, infatti, nei primi anni Ottanta del Settecento, nella colonia arcadica dei Pastori della Dora, con Tommaso Valperga di Caluso, Prospero Balbo e Diodata Saluzzo. Lì, nell’accademia torinese, compose in settenari ed endecasillabi la tragedia Griselda, tratta dalla novella del Boccaccio; tradusse dal latino l’Eneide e compose la parafrasi in versi delle Profezie di Isaia e dei Treni di Geremia.

Prospero Balbo
Prospero Balbo

Nel 1786 Galeani Napione sposò Luigia Crotti di Costigliole, nipote del potente conte di Hauteville. La moglie morì due anni dopo di parto, dando alla luce la figlia Luigia (la quale sposerà nel 1836 Cesare Balbo, alle sue seconde nozze). Nel 1787 Vittorio Amedeo III lo nominò sovrintendente alla perequazione e al censimento del Monferrato e nel 1790 membro della giunta per l’amministrazione dei Comuni.

Osservazioni sulla lingua italiana

Nel 1791, Galeani Napione pubblicò un’opera, che lo rese celebre, sulla questione della lingua italiana nel periodo francese-napoleonico, Dell’uso, e dei pregj della lingua italiana.

L’urgenza di una lingua nazionale comune si fece particolarmente evidente nel processo di francesizzazione del Piemonte nel Settecento fino alla fine dell’occupazione napoleonica, quando il Piemonte non fu semplicemente parte dell’esperimento napoleonico del Regno d’Italia ma fu direttamente incorporato alla Francia. Il francese diventò la lingua delle leggi, dei tribunali, dell’amministrazione, ma anche della conversazione e degli scritti scientifici e letterari.

Forte spirito nazionalista

In armonia con gli accademici Sampaolini, Filopatridi e Concordi (questo il cenacolo che riuniva, tra gli altri: Cesare e Ferdinando Balbo, Roberto d’Azeglio, Luigi Ornato, Luigi Provana del Sabbione, Luigi Grimaldi, Casimiro Massimino, Paolo San Sebastiano, Alessandro d’Angennes, Cesare di Romagnano, Carlo Guasco, Giuliano del Melle e Carlo Vidua), già molti anni prima Galeani Napione aveva auspicato la formazione di una coscienza nazionale nel Saggio sopra l’arte storica (1773), in cui deplora che gli italiani debbano leggere la propria storia in una lingua straniera, cagione, per Napione della perdita dell’identità nazionale.

Frontespizio di “Saggio sopra l’arte storica
Frontespizio di “Saggio sopra l’arte storica", 1773.

Il clima nel quale Vidua e i Concordi, intorno agli anni 1804 — 1809, vivono la loro esperienza letteraria è decisamente permeato di spirito antifrancese, dove il discorso italianizzante già perseguito nel tardo Settecento dai Sampaolini e dai Filopatridi acquista un indirizzo più marcatamente nazionalistico e antilluministico, del quale il maggiore interprete è proprio Galeani Napione. Vidua, entrato nella Società dei Concordi nel 1806, con il nome di Allungato, sarà l’animatore di questo antico spirito ereditato dal maestro, che era tra i principali “protettori” dei giovani aristocratici, insieme a Prospero Balbo, Michele Saverio Provana, Filippo Grimaldi, Tommaso Valperga di Caluso e Giuseppe Angelo Saluzzo di Monesiglio con i tre figli: Cesare, Alessandro e Diodata.

La lingua come base dell’identità nazionale

La società dei Concordi nacque nel 1804 proprio sotto l’influsso del programma avanzato nel 1791 dal conte che, in Dell’uso, e dei pregj della lingua italiana, sosteneva il bilinguismo in Piemonte con la diffusione della lingua toscana colta, depurata dai toscanismi e francesismi, con lo scopo di rafforzare nei piemontesi la coscienza storica di un’identità nazionale. In Vidua l’esaltazione dell’Italia come civiltà letteraria sola tra le moderne a poter reggere il confronto con le letterature antiche arrivava spesso a toni enfatici. I Concordi seguivano poi il progetto dell’istituzione di un’accademia che avrebbe dovuto accogliere gli intellettuali per difendere, oltre alla purezza linguistica, la tradizione letteraria italiana. In questo senso Vidua e Balbo cercarono di creare una “colonia” della loro accademia a Firenze, grazie a Gino Capponi. Nel 1806 il 26 settembre, “Dal colle Conzanico”, Carlo Vidua scrisse a Luigi Provana:

Il C.te Napione nel suo libro “Dei Pregi della lingua Italiana” dice, che mai alcun Piemontese non s’è fatto nome scrivendo in Francese. L’hai tu letto quel libro? Eppure va letto da un Italiano, ed ancor più da chi abita quest’estrema parte d’Italia. Peccato che sia così prolisso! Ma già se gli scritti di questo signore non avessero questo difetto, sarebbero troppo belli.

Una figura eclettica

Nel 1792 Galeani Napione aveva sposato, in seconde nozze, Barbara Lodi di Capriglio, che gli diede un figlio, Valeriano (morto nel 1798), e quattro figlie: Carolina, Marianna, Giacinta e Maria Teresa. Finalmente, nel 1796, il conte diventò Consigliere di Stato applicato agli Archivi (di Corte), funzione che Galeani Napione sentì più propizia alla sua indole di letterato, come confessò agli amici, in particolare al canonico Ignazio De Giovanni. Nel 1797 aggiunse ai suoi incarichi quello, importante, di generale delle Finanze, da cui si dimise pochi mesi dopo, per evitare di sottoscrivere un editto che riteneva dannoso al Piemonte, come di nuovo confidò a De Giovanni il 25 febbraio 1797 ("Presso le persone che mi amano e mi conoscono, soltanto spero che troverò indulgenza, poiché saranno più che persuasi della ripugnanza mia ad addossarmi un si grave peso"), in una corrispondenza tuttora inedita e che andrebbe pubblicata non solo per l’interesse storico ma anche per la lingua: moderna, perfetta, musicale.

Immagine storica del Palazzo dell’Accademia delle Scienze di Torino, 1853.
Immagine storica del Palazzo dell’Accademia delle Scienze di Torino, 1853.

Dopo le dimissioni, il conte riprese il lavoro negli archivi regi, mantenendo il titolo di Consigliere di Stato. Durante l’occupazione francese del Piemonte, fino alla Restaurazione, il conte si dedicò a studi storici e redasse vari testi che furono radunati nelle Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino, di cui Galeani Napione fu socio e bibliotecario e poi presidente per la classe di scienza morali, storiche, filologiche. La francesizzazione politica e linguistica, più forte che altrove e istituzionalizzata, essendo il Piemonte unito alla Francia dal 1802, contribuiva a esasperare le posizioni dei gruppi intellettuali più sensibili alla questione dell’identità culturale italiana del decaduto Stato sardo. Galeani Napione fu anche eletto accademico della risorta Accademia della Crusca.

La sala delle pale nella Villa medicea di Castello, attuale sede dell’Accademia della Crusca, Firenze.
La sala delle pale nella Villa medicea di Castello, attuale sede dell’Accademia della Crusca, Firenze.

Restaurata la monarchia sabauda, tornò a lavorare negli archivi di corte, di cui fu promosso sovrintendente e presidente. Nel 1816 fu nominato membro del Magistrato per la riforma dell’Università e in tale veste fece istituire la cattedra di economia politica, che segnò una svolta negli studi e nella vita sociale del Piemonte sabaudo, attraendo intellettuali d’altre parti della Penisola.

Nei periodi di solitudine della vecchiaia, il cavaliere cadde negli errori e negli eccessi, non capace di essere lontano dalla corte sabauda, lontano dai suoi ragazzi che poteva “maltrattare”, guidare. Incapace come la maggioranza della gente di un dialogo del proprio io con se stesso, il conte torinese fu un uomo cupido, la cui ambizione, tuttavia, non divenne mai superbia cupa e paralizzante. Galeani Napione, uomo orgoglioso e dall’animo difficile, prepotente e burrascoso, morì a Torino il 12 giugno 1830.

Una scuola di giovani storici

Nell’epoca di Galeani Napione la figura dello storico di professione doveva ancora nascere: “fare” lo storico non era ancora un lavoro e, nel Settecento, solo un ozio erudito poteva soddisfare la sete di passato con la conseguente riscoperta di vestigia antiche. Le chevalier Galeani Napione seppe costruire attorno alla sua figura, anche durante il periodo francese (sotto Napoleone il torinese divenne prefetto di Vercelli e fu insignito della Legion d’onore), una scuola di giovani storici.

Ritratto di Galeani Napione
Ritratto di Galeani Napione tratto dal volume “Dell’uso e dei pregi della Lingua Italiana", Milano, Giovanni Silvestri, I, 1819.

Di Galeani Napione abbiamo qualche ritratto. Sui frontespizi delle sue opere compare con le tante onorificenze sul corpo ben pasciuto. Una delle incisioni più riuscite è quella tratta da un disegno di Bramati, dove il conte appare sorridente, fregiato della “Gran Croce Mauriziana”: l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (detto anche Ordine mauriziano), l’ordine cavalleresco di Casa Savoia, istituito nel 1572, nato dalla fusione dell’Ordine Cavalleresco e Religioso di san Maurizio e dell’Ordine per l’Assistenza ai Lebbrosi di san Lazzaro.

Galeani Napione era anche “Soprantendente de’ Regii Archivii di Corte” e ce lo immaginiamo così: intento a insegnare ai giovani discepoli, lo sguardo ipnotico, la sonorità suggestiva della sua voce. Lì, con i giovani piemontesi la sua esplosiva carica interiore diventò allegria, finché ebbe intorno gente che lo ascoltava e possibilmente applaudiva. Il Cavaliere ha bisogno di essere alla ribalta, ascoltato e venerato. Quando il Piemonte fu annesso direttamente alla Francia, nel periodo napoleonico, Galeani Napione, come abbiamo visto, radunò attorno a sé il meglio della gioventù piemontese. Ai Concordi insegnò la lingua italiana e la storia, studiata da Galeani Napione prima della Rivoluzione. Si può affermare che il Settecento piemontese fu contraddistinto da un intenso fervore di studi storici e che anzi molte ricerche furono approvate e incoraggiate dalla monarchia con l’aperto desiderio che giovassero alla cultura.

Diventare uno storico

In questo clima il conte Galeani Napione si domandò se sia possibile narrare la storia e se ogni narrazione non possa essere se non incompiuta e quindi limitata, parziale e non mai veridica. Nella Sampaolina il conte, riguardando alla questione dell’interpretazione dei fatti e dell’animo degli uomini e richiamandosi a considerazioni dello storico scozzese Adam Fergusson, dichiarava:

La diversità dei costumi, la qual deriva dal diverso modo, in cui si svolgono le azioni umane, e dalla diversa interpretazione, che ricevono nelle età diverse, rende oltremodo difficile il recar giudizio delle qualità personali di un uomo vissuto in tempi remoti.

Il conte va alla ricerca di una metodologia della ricerca storica, perché senza quella non può esserci la storia e senza la comprensione genetica dei fatti del passato non è possibile comprendere bene nemmeno il presente.

Grazie a Galeani Napione, alle sue indagini spirituali sui fini e sui metodi della storia, nacquero personaggi di primo piano dello Stato sabaudo, come Vidua e Balbo, entrambi appassionati storici.

La necessità della Storia

Nel Saggio sopra l’arte storica Galeani Napione traccia il profilo del futuro professionista studioso del passato. Il conte scrive il termine Storia con la esse maiuscola e ne offre, fin dall’inizio del libro, un efficace significato: “La Storia”, è per Galeani Napione, “la notizia del Governo, delle Scienze, e de’ costumi degli antichi e moderni Popoli”. La Storia, seguendo l’insegnamento di Bacone, è “la base della filosofia”. Chiarisce e definisce poi “la scienza dell’Arte storica”. Scrivere la storia dell’Italia antica o dell’Italia moderna, senza prima intendere che cosa fosse storia, quale la sua materia, quali i suoi progetti e le sue forme, il fine, l’utilità, sarebbe stato inutile. Secondo Galeani Napione:

Se non v’ha opera umana alcuna, che non abbisogni di arte per essere condotta alla sua perfezione, per ristretti che sieno i suoi confini, ed umile il suo scopo, ognun ben vede, che è forza aver mestieri d’indirizzamento la Storia, la cui materia, è, come vedremo a suo luogo opportuno, sì vasta, e si eccelso il suo fine; e che gli uomini sieno persuasi di una tal verità, ne è una prova il numero grande di trattati, che si hanno in tal proposito.

La storia è necessaria, ma chi la scrive, per renderla “perfetta”, sottolinea Galeani Napione, deve possedere un suo stile, proprio dello studioso del passato. Lo storico dev’essere anche un bravo interprete dei fatti, che ha prima scelto per narrare le vicende di un Paese o di una civiltà. Conclude il conte:

Due requisiti pertanto sono necessari allo Storico, uno, che riguarda lui medesimo, l’altro la lingua di cui si serve. Dee egli esser dotato di una chiara, bella, e vasta fantasia, e conoscere a fondo la lingua, di cui si serve. Dee scrivere in una lingua formata, abbondante, espressiva.
Lo storico William Robertson.
Lo storico William Robertson.

Il modello è quello del grande storico scozzese William Robertson, apprezzato da Ignazio De Giovanni. Napione erediterà da De Giovanni gli studi sull’origine monferrina e aristocratica di Cristoforo Colombo. In questo campo di studi l’opera di Robertson, la History of America, è fondamentale perché conferma la piena appartenenza di Robertson ad un orizzonte della ricerca e della narrazione storica modernamente e compiutamente intesi. Un orizzonte nel quale filologia e critica delle fonti stanno a fondamento della storia e costituiscono il vincolo interiore di questa disciplina nel momento in cui viene costituendosi quale sapere autonomamente configurato.

Un personaggio perlopiù inedito

È una figura da analizzare e interpretare con cura quella dello studioso torinese. Galeani Napione è da far conoscere al grande pubblico, grazie al suo fascino di chevalier e intellettuale del Settecento, ricordando che le sue opere manoscritte, quasi tutte inedite, sono reperibili all’Accademia delle Scienze di Torino, all’Archivio di Stato di Torino e nelle biblioteche torinesi, come la Civica e la Nazionale. Da riscoprire anche i contatti con i giovani “Concordi”. Carlo Vidua partecipò agli studi colombiani ed eruditi del conte.

Frontespizio di “Discorso intorno al canto IV dell’Inferno di Dante”, Firenze, 1819.
Frontespizio di “Discorso intorno al canto IV dell’Inferno di Dante”, Firenze, 1819.

Non solo: nel 1822, Galeani Napione fece dono al grande viaggiatore dell’elegante Discorso intorno al canto IV dell’Inferno di Dante, stampato a Firenze, nel 1819, da “all’insegna dell’Ancora”. Grazie a Galeani Napione, Carlo Vidua radunò anche la corrispondenza del canonico Ignazio De Giovanni (inedita, conservata all’Archivio Storico di Casale Monferrato), considerato il “Bonfadio Monferrino”.

Il 29 dicembre 1806, Vidua scrisse al conte a proposito di De Giovanni:

So che V.S. le fu amico, ed amico intrinseco; lo stesso Canonico negli ultimi suoi, e miei primi anni mi parlava di lei; mi ricordo altresì, ch’ei mi parlava del celebre sig. Gherardo de Rossi, col quale teneva carteggio; quindi ella mi farebbe grazia grandissima, se volesse aiutarmi in questa intrapresa, e colle sue lettere, ed ottenendone eziandio qualcuna dal sig. Gherardo de Rossi, che so esserle amico, e che io non ho l’onore di conoscere che per fama, e per aver lette alcune sue opere, e rilette più volte le elegantissime sue favole.

Galeani Napione non fu un provinciale: conosceva il tedesco e lesse direttamente alcuni poeti e filosofi tedeschi nel testo originale. Insieme a De Giovanni e a Carlo Denina approfondì la filosofia di Kant, conosciuta grazie alla Prusse littéraire di Denina. Affascinante sarebbe ricostruire i rapporti di amicizia di Galeani Napione con i suoi contemporanei, prima fra tutti il conte Clemente Damiano di Priocca, al quale dedicò la sua traduzione delle Tusculiane di Cicerone.

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Bibliografia

  • Calcaterra C., Il nostro imminente Risorgimento, Torino, Società editrice internazionale, 1935.
  • Coaloa R., Carlo Vidua un romantico atipico, Casale Monferrato, Assessorato per la cultura, 2003.
  • Coaloa R., La storiografia del Settecento e dell’Ottocento sulla questione colombiana, in Atti del II Congresso Internazionale Colombiano, “Cristoforo Colombo dal Monferrato alla Liguria e alla Penisola Iberica”. Nuove ricerche e documenti inediti, Torino 16 e 17 giugno 2006, Torino, CE.S.CO.M., 2009.
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