Silvia Giordano, dottoranda del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino, parla di Nuto Revelli con un’empatia e un’ammirazione di quelle che si riservano ai grandi maestri e padri. Chiamata dalla Fondazione intitolata allo scrittore e partigiano per via delle sue competenze di dialettologa e per la sua conoscenza dei luoghi e delle varietà dialettali del Cuneese, lavora a un progetto a cui è molto affezionata: dare voce, far parlare l’Archivio sonoro di Nuto Revelli, una raccolta di registrazioni di voci del mondo contadino cuneese collezionata tra gli anni ’70 e ’80, per metterlo, citando le parole di Silvia stessa
in condizione di "comunicare" con l’esterno, con il mondo accademico, con le scuole, con chiunque sia disposto ad ascoltarlo.
Nuto (Benvenuto) Revelli nasce a Cuneo nel 1919, e nel ’39 sceglie di entrare a far parte della Regia Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena. Nel ’42 viene mandato al fronte russo, epopea che racconterà nel suo diario, in cui già si avvertono forti dubbi circa l’esperienza della guerra, quei medesimi dubbi che si faranno poi tanto forti da portarlo a lasciare la divisa fascista per mettersi al servizio della resistenza partigiana nella sua terra e combattere il nazifascismo. Tornato quindi in Italia dopo la ritirata dalla Russia, nel ’44 entra a far parte della banda partigiana Italia Libera e in seguito si unisce alle formazioni di Giustizia e Libertà; il 26 aprile 1945 combatte nella battaglia per la liberazione di Cuneo e immediatamente dopo la fine del conflitto sposa l’amatissima Anna Delfino.
È proprio per via del segno lasciato dall’esperienza della guerra che Nuto sente la necessità di raccontare. Farsi liberi attraverso il racconto è necessità pienamente umana, e Revelli la mette in campo unitamente alla sua sensibilità di storico (pubblicherà tra il ’46 e il ’71 numerose opere, resoconto di esperienze legate alla guerra, alla lotta partigiana, alla volontà di restituire una voce alle storie dei ragazzi caduti o dispersi nel secondo conflitto mondiale).
Ma una domanda continua a pulsare e a rimanere senza risposta nella sua opera e nel suo pensiero: perché il fascismo ha attecchito in Italia? La necessità di trovare non per forza una, ma delle risposte, lo muove a iniziare un percorso quasi di etnologo, di giornalista e di linguista: è negli anni ’70 che Nuto, munito di magnetofono, inizia la sua raccolta di testimonianze di voci contadine, mosso dalla consapevolezza che il mondo su cui la guerra era passata era prossimo a mutare, tanto da sparire. Domandare agli intervistati di parlare di sé, chiedere loro di raccontare del fascismo, della vita prima, durante e dopo la guerra, del lavoro nella campagna, di alcuni fatti d’arme, del rapporto tra partigiani e abitanti, della Liberazione e di molto altro per collezionare punti di vista, racconti ed esperienze che aiutassero a pacificarsi con l’incessante “perché?”.
Nuto entra nelle case delle famiglie e parla con le persone che incontra quasi sempre in dialetto, lingua lasciapassare per una immediata comunicazione e simbolo della condivisione di un codice familiare, dell’appartenenza fiera alla medesima porzione d’Italia.
Da questa “storia orale” di cui le registrazioni tengono traccia emergono moltissimi aspetti della civiltà contadina cuneese, una mole di registrazioni e testimonianze vastissima che Nuto utilizzò come materiale per la stesura de Il mondo dei vinti, pubblicato nel 1977 (85 sono le interviste che vengono qui inserite, tradotte in italiano) e per L’anello forte. La donna: storie di vita contadina, del 1985 (in cui le interviste confluite sono 107).
Il patrimonio audio completo è stato negli anni digitalizzato dalla Fondazione Nuto Revelli, e conta complessivamente 530 interviste in dialetto, di cui 192 confluite in “traduzione” italiana nelle due opere appena indicate, mentre le restanti 338 rimangono tuttora totalmente inedite.
Il lavoro delicatissimo e quasi intimo condotto da Silvia consiste nell’ascolto e comprensione delle interviste, talvolta non senza qualche difficoltà (l’area vasta del Cuneese raccoglie in sé varietà diverse di piemontese e di occitano); i contenuti che vengono man mano portati all’attenzione dai parlanti, intervistati dalla voce di Nuto, vengono quindi segmentati, le porzioni di conversazione che trattano di un tema specifico vengono isolate e indicizzate tramite dei “tag”, ossia delle parole-chiave pensate e individuate appositamente.
Grazie all’associazione tra le parole-chiave e i diversi segmenti delle interviste sarà possibile, a lavoro ultimato, interrogare il materiale e accedere all’ascolto dei soli passi che interessano, potendo così più facilmente assecondare e perseguire gli obiettivi di una particolare ricerca.
Oggi è possibile accedere al sito del progetto “Uomini e donne della Resistenza” e ascoltare alcune delle interviste, alle quali sono associati i brani de L’anello forte e de Il mondo dei vinti da esse tratti. Silvia ha attirato la mia attenzione su un estratto dall’intervista a Anna Parola, donna nata nel 1903 a San Michele di Cervasca, di cui di seguito leggiamo la corrispondente porzione a lei dedicata ne L’anello forte (1985, pp. 129–130):
La mia vita è stata abbastanza bella. Il più che ho sofferto è durante l’ultima guerra, ah, quella lì l’ho trovata dura, avevo la stalla piena di lacrime, perché Giuseppe era prigioniero in Africa e non avevamo sue notizie, e Giorgio era qui sbandato, un po’ era a casa e un po’ scappava attraverso le montagne. Quando Giorgio era a casa io dormivo sempre sul fienile a fare la sentinella, ci fosse solo passato una bicicletta lontano io la vedevo. Così la guerra l’ho fatta anch’io. Eh, quanto ho pianto. Io pensavo di non più vederli i miei figli, quello dell’Africa pensavo che fosse morto, e temevo che anche Giorgio facesse una brutta fine. Qui la gente era brava: lo nascondevano Giorgio. Ah, in quei cinque anni di guerra ne ho spremute delle lacrime. Mi dicevo: «Non li vedo più i miei figli, Giorgio me lo ammazzano di sicuro». Avevamo sempre i tedeschi in casa, loro salivano su dalla nostra collina per controllare dall’alto che i giovani non scappassero. […] Avevamo fatto un buco nel letame, come sentivamo qualcosa di sospetto quel povero ragazzo correva a nascondersi là dentro, perché temevamo che dessero fuoco alla casa, così il nascondiglio l’avevamo fatto nel cortile. Una notte sono arrivati i tedeschi. Hanno voluto salire di sopra, io avevo il lume a petrolio e la mia mano tremava, faceva così… Mio marito era rimasto prigioniero dei tedeschi nella guerra del ’15, sapeva qualche parola di tedesco. È andato in cantina, ha preso cinque o sei bottiglie di vino, per tenerli un po’ tranquilli. Gli altri padri li hanno portati tutti in Vignolo, li hanno messi contro un muro, come ostaggi.
Di seguito è possibile ascoltare l’audio a partire dal quale questa “trascrizione” e molte altre sono state fatte, apprezzando così non solo la testimonianza in sé, ma potendo anche osservare le scelte letterarie e linguistiche adottate da Nuto Revelli al fine di rendere efficacemente l’esperienza del dialogo, propria di una narrazione orale.
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