Madre Amedea Vercellone

Misticismo e devozione nella Torino barocca

Laureata in Scienze dei beni culturali, è una guida turistica non convenzionale, nota come La Civetta di Torino specializzata nella valorizzazione storico-artistica della città da un punto di vista insolito tombe, cimiteri, cripte e non solo.

  

Il 24 ottobre 1627 un corteo usciva dalla cattedrale di Torino. In testa, i confratelli dello Spirito Santo, seguiti dai frati Cappuccini e da alcuni musici. Venivano poi le protagoniste di quella cerimonia: quindici fanciulle, ognuna accompagnata dalla sua madrina. Dietro di esse camminavano le consorelle dello Spirito Santo, il duca Carlo Emanuele I di Savoia, l’erede Vittorio Amedeo con la moglie Maria Cristina di Francia e il resto della famiglia ducale.

Duomo di Torino.
Duomo di Torino.

La corte e una folla di fedeli chiudevano il codazzo che, dopo aver oltrepassato le mura di fortificazione ed essersi lasciato alle spalle la città, si avviava verso il fiume percorrendo quella che all’epoca tutti chiamavano via della calce e che tra qualche anno si sarebbe trasformata in via Po. Il corteo era diretto verso il Borgo Po, l’agglomerato extraurbano sviluppatosi tra il fiume e le pendici della collina. Lì era stata da poco fondata la chiesa della Beata Vergine del Suffragio (da non confondersi con la chiesa di Nostra Signora del Suffragio nel Borgo San Donato, fondata più di duecento anni dopo dal Beato Francesco Faà di Bruno). Annesso alla chiesa vi era il monastero di clausura delle Clarisse Cappuccine, che quel giorno si apprestava ad accogliere le prime quindici postulanti. Tra quelle giovani, che avevano deciso di dedicare la propria vita alla preghiera, vi era anche una biellese, Caterina Vercellone, la quinta del gruppo ad uscire dal Duomo.

Una vita di penitenza

Pianta e sezione della cappella della Sindone.
Pianta e sezione della cappella della Sindone.

Per Caterina e le sue compagne quella giornata era iniziata molto presto. Dopo essere stata condotta all’interno dell’erigenda cappella della Sindone e aver seguito la messa, Caterina fu accompagnata in una sala del Palazzo Ducale. Venne abbigliata riccamente, dopodiché si recò in fila con le altre nella cattedrale per la solenne vestizione. Recitati i versetti d’ordinanza, la ragazza si spogliò dei fastosi abiti secolari per indossare l’umile saio francescano. La testa le fu cinta da una corona di spine e un velo bianco andò a coprirle il volto. Intorno al collo le venne appesa una fune e sulle spalle le fu posta una croce. Entrata nella chiesa come donna del mondo terreno, Caterina ne usciva come penitente, proiettata verso una vita dedita alla contemplazione del divino.

Davanti alla porta del neonato monastero, il Padre Provinciale dei Cappuccini attendeva le novizie. Presa la cima della corda legata al collo della prima giovane, la passò nelle mani della badessa, che introdusse così, una ad una, le fanciulle nella loro nuova dimora. Fin da piccola Caterina lo aveva sognato e finalmente quel momento era arrivato. Al posto di Caterina ormai c’era suor Maria del Beato Amedeo (il nome fa riferimento al Beato Amedeo di Savoia) o, come sarebbe stata conosciuta presto da tutti, madre Amedea.

Una famiglia colta e devota

Caterina nacque il 12 novembre 1610 al Piazzo, la parte più antica di Biella. Vide la luce in un edificio ancora oggi esistente in via Avogadro 7. Questo palazzo è lo stesso che nel secolo successivo ospitò più volte il soggiorno dell’illustre scienziato a cui la via deve il nome: Amedeo Avogadro, conte di Quaregna e Cerreto, che proprio di Caterina era pronipote.

Borgo del Piazzo di Biella oggi.
Borgo del Piazzo di Biella oggi.

I Vercellone erano originari di Sordevolo e si trasferirono a Biella nella metà del XVI secolo. La famiglia, benestante, vantava tra i suoi componenti giuristi, professori, sacerdoti e militari. Il padre di Caterina, Giovanni Pietro, era un letterato con un ruolo di rilievo nel governo della città. Lui e la moglie, Lavinia Battiani, formavano una coppia colta e devota, molto stimata dai concittadini. Caterina era la terzultima dei loro quattordici figli. Amata e vezzeggiata, la bambina aveva tutto ciò che desiderava. La madre si occupava della sua educazione e di quella dei fratelli, dando particolare rilievo alla formazione spirituale.

Caterina, la mistica

Caterina imparò presto a leggere e lo studio di un libro della biblioteca paterna, le Vite dei Padri del Deserto, la indusse a profonde riflessioni nonostante la giovane età. Scrisse nelle sue memorie:

Aspiravo a far grandi cose, perché mi pareva di esser obbligata d’imitar l’opere di molti santi, e che l’esser chiamata alla Religione, altro non era che di esser Santa.

E già a sette anni iniziarono a manifestarsi quelle visioni che in seguito le avrebbero procurato nel ducato sabaudo, e oltre i suoi confini, la fama di mistica:

Nel cielo vidi una bella Signora che mi invitava d’andare da essa, e io, con la semplicità dell’età, l’andai a riferire a mia madre, la qual me lo fece ridire più volte con suo particolar gusto, e se mal non mi ricordo, parmi che allora incominciai a dir che voleva esser monaca.

Giovanni Pietro e Lavinia avevano notato la predisposizione di Caterina per l’introspezione, ma pensavano fosse il risultato della sua timidezza. Prevedevano per questa figlia un futuro simile a quello delle ragazze della loro estrazione sociale: un matrimonio, possibilmente sereno, con un buon partito e nidiate di pargoli da accudire. Ma il destino, si sa, ama scombinare le carte.

La venerata Madonna Nera di Oropa

Nell’estate del 1620 gli abitanti di Biella, e la famiglia Vercellone in prima fila, si preparavano ad assistere ad un evento assai importante. Il 30 agosto, presso il santuario di Oropa, si sarebbe tenuta la prima incoronazione della statua della Madonna Nera. Si narrava che il simulacro fosse stato scolpito da San Luca e che arrivò in queste zone nel IV secolo, portato da sant’Eusebio che lo rinvenne a Gerusalemme (in realtà la statua è un manufatto valdostano realizzato a cavallo tra XIII e XIV secolo dal cosiddetto Maestro della Madonna di Oropa). Alla Madonna Nera la popolazione si votava durante le difficoltà, perciò la statua era veneratissima.

Statua della Madonna Nera e Basilica Antica, dove la statua è conservata.

Nell’agosto 1620 Caterina aveva nove anni e in quell’occasione rimase colpita dalle predicazioni dei frati cappuccini. Capì che l’ordine francescano faceva per lei. Maturata la sua vocazione, qualche tempo dopo manifestò ai genitori la volontà di prendere i voti come clarissa cappuccina. Lasciati da parte stupore e perplessità per quella scelta di vita improntata alla rinuncia e al sacrificio, e vista la determinazione della figlia, Giovanni Pietro e Lavinia si attivarono per consentirle di percorrere la strada che quel 24 ottobre 1627 le fece varcare la soglia del monastero di Borgo Po.

Autorevolezza e santità

Il noviziato fu duro:

il suo fisico pareva troppo delicato per le austerità della vita cappuccina e il suo stomaco, abituato a ben altri cibi, rifiutava quelli grossolani che offriva la comunità (Signetto).

Suor Maria Amedea era preda di gravi momenti di sconforto e incertezza riguardo alla sua scelta. Il carattere chiuso e riservato non le permetteva di confidarsi con nessuno e così rischiò di essere rimandata a casa. Ma fu proprio in quel frangente che

incominciò a ricevere singolari favori dal Cielo. Ed in primo luogo la beatissima Vergine Maria si degnò di servirle di Maestra, avvisandola, quando mancava, e stimolandola ad operare virtuosamente (Gallizia).

Un susseguirsi di ascesi, visioni e rapimenti estatici rafforzarono la religiosa, costruendole attorno un’aura di santità e autorevolezza. Divenne un punto di riferimento per le consorelle e nel 1641, a soli trentuno anni, fu nominata badessa.

Una nuova sede di preghiera

La Madama Reale, duchessa Maria Cristina.
La Madama Reale, duchessa Maria Cristina.

In quell’epoca Torino era messa a ferro e fuoco dalla guerra civile tra principisti e madamisti. Il monastero fu distrutto e per le monache iniziò un periodo di spostamenti in varie sedi cittadine, finché nel 1643 la duchessa Maria Cristina acquistò un edificio nell’isola di Santa Elisabetta, tra le attuali vie Arsenale e Alfieri. Madre Amedea supervisionò la ristrutturazione di quella che per le cappuccine di Torino restò la casa definitiva fino alla soppressione napoleonica. Le clarisse, consacrate alla clausura e alla solitudine, si trovarono a dover interagire con falegnami, muratori e fabbri. Fu grazie alla badessa,

al suo governo illuminato, alla sua energia materna ma inflessibile, al suo esempio trascinatore, se la comunità mantenne non solo una parvenza di osservanza e di preghiera, ma un fervore, un raccoglimento, una vita regolare veramente esemplare e ammirevole (Signetto).

La fama di Madre Amedea

Copertina di “Nulla temo nell’obbedienza”, biografia di Caterina Vercellone.
Copertina di “Nulla temo nell’obbedienza”, biografia di Caterina Vercellone.

Oltre a costituire la colonna portante della sua famiglia religiosa, Madre Amedea riceveva in continuazione lettere e visite dal mondo esterno, sia da parte del popolo che di persone illustri. Chi veniva a chiedere un consiglio, chi conforto spirituale. Alcuni speravano in una grazia.

La sua fama era uscita dalle mura del monastero e tutti parlavano della cappuccina capace di entrare in contatto con le forze celesti. Si era diffusa la voce di premonizioni avveratesi e di miracolose guarigioni. Nel 1654 gli stessi superiori di Madre Amedea la invitarono a scrivere un memoriale che raccogliesse tutte le sue esperienze soprannaturali. Per anni ritenuto perduto, questo manoscritto è stato ritrovato nel 1999 presso una libreria antiquaria e ripubblicato nel 2007.

Il voto della Madama Reale

La duchessa Maria Cristina confidava in Madre Amedea. Un giorno accadde che sua figlia, Maria Ludovica, si ammalò. La duchessa si recò subito da Madre Amedea per chiederle di intercedere per la salvezza della principessa, promettendo in caso di guarigione la fondazione di un altro monastero di cappuccine nei suoi territori. Maria Ludovica si riprese e la Madama Reale onorò il suo voto nel 1659 acquistando il palazzo Fauzone di Mondovì per farne la nuova casa delle monache.

Palazzo Fauzone, Mondovì.
Palazzo Fauzone, Mondovì.

La presenza di Madre Amedea fu richiesta dal vescovo monregalese e così la suora dovette abbandonare a malincuore il suo convento per avviare la nuova comunità. Mondovì sarebbe stata l’ultima dimora per la clarissa. Lì morì nella notte del 13 aprile 1670, in seguito alle gravi sofferenze fisiche patite a partire dai cinquant’anni: febbri, ulcera, calcolosi, artrite, cecità. Le consorelle testimoniarono anche la comparsa delle stimmate. Dopo la morte, numerose guarigioni, conversioni e apparizioni furono attribuite a Madre Amedea. Le riportò tutte Piergiacinto Gallizia, l’autore della prima biografia della cappuccina. Ecco un esempio:

Il signor Pietro Giovanni Moresco Speziale del Mondovì disperato da medici per gravissima infermità, e violento dolore di capo, con una benda usata già dalla Madre Vercellona presa in imprestito dalla sua moglie, e applicata all’infermo, restò in un subito liberato dal male di testa, e in breve guarì del tutto. Coll’applicazione di un pezzetto di lana, e con un altro di tela guarirono pure da fiera doglia ne’ piedi la signora Francesca Maria Gazza, e Giovanna Cumina.

Un mistero che continua ancora oggi

Negli ultimi tempi era difficile riconoscere la figura imponente di suor Amedea così descritta:

Era la Madre Vercellona di statura alta, ma proporzionata, complessa, carnosa, e di bella presenza, tal che entrando in una camera pareva che la riempiesse di maestà. Il suo solo aspetto bastava per guadagnarsi amore e riverenza (Gallizia).

Il corpo era talmente deformato a causa della malattia che dopo la sua morte si ventilò addirittura l’ipotesi di fabbricare una bara quadrata. La nuova badessa rifiutò questa soluzione e decise di rivolgersi direttamente a colei che l’aveva preceduta:

Suor Maria del Beato Amedeo, voi che sempre foste ubbidiente in vita […] levateci da questa pena e stendetevi (Gallizia).

Le cronache narrano che il corpo si distese, rimanendo elastico, caldo e profumato. Madre Amedea fu sepolta nel chiostro del convento di Mondovì e ogni volta che la sua salma veniva riesumata per essere spostata, risultava incorrotta, senza alcun segno di decomposizione, a parte lo scurimento della pelle.

Chiesa in corso Casale dove riposa Madre Amedea.
Chiesa in corso Casale dove riposa Madre Amedea.

Nel 1963 Madre Amedea fu disseppellita l’ultima volta, per essere riportata a Torino. Nel 1874 era stata consacrata la nuova chiesa della Beata Vergine del Suffragio e dopo oltre duecento anni di lontananza, le clarisse cappuccine avevano fatto ritorno in Borgo Po. L’adiacente convento, in via Cardinal Maurizio 5, ha ospitato fino a poco tempo fa le monache, che si sono trasferite a Moncalieri, presso il monastero del Sacro Cuore. Transitando in corso Casale, davanti al civico 42, le porte della chiesetta oggi sono chiuse. Ma è proprio lì, nella penombra della sacrestia, che riposa il corpo incorrotto di Madre Amedea Vercellone, la mistica della Torino barocca misconosciuta nella Torino del Nuovo Millennio.

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Bibliografia

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