Illustrazione © Ginger Berry Design
Sul finire degli anni ’10 del Novecento, una bambina dai folti capelli neri sta giocando nella sua stanzetta. E’ impegnata a disporre sopra un tavolo una gran quantità di oggetti che ha trovato in soffitta e durante le esplorazioni all’aria aperta. Qualcuno li ha buttati o dimenticati. La bambina li ha raccolti con cura: le servono per un nuovo passatempo che si è inventata. I tesori vengono affiancati in bella mostra sul tavolo e la bambina li osserva con il suo sguardo attento e deciso. Ogni dettaglio è perfetto. Ora la piccola può correre a prendere le sue bambole, per mostrare loro la splendida collezione e spiegare che cos’è e a cosa serve ciascun pezzo.
Questo passatempo è il “gioco dell’esposizione” e la bambina che lo ha ideato, Maria Adriana Prolo, da grande diventerà un’importante collezionista e fonderà il Museo Nazionale del Cinema di Torino. Qui, ogni anno, migliaia di visitatori si mettono in coda per ammirare le meraviglie riunite nel corso della vita da questa “archeologa in missione nel mondo della celluloide”, una definizione dello scrittore Gian Luca Favetto che calza a pennello a questa donna vulcanica.
Tutto partì da Romagnano Sesia, in provincia di Novara. In questo paesino Maria Adriana Prolo nacque il 20 maggio 1908. La madre Maria era figlia di Silvio Don, personalità conosciuta nella zona per aver fondato nel 1870 la Distilleria Fratelli Don & C., una delle più antiche in Piemonte. La ditta, oggi non più esistente, era famosa per la produzione dell’Acqua del Sesia, un’acquavite di vinaccia di successo, ed era apprezzata per l’alta qualità di liquori e vini. Il padre della bambina, Giovanni, si occupava di amministrare l’azienda del suocero.
Maria Adriana era l’ultima di tre sorelle. Le maggiori, Itala e Tarsilla, frequentarono come la madre il collegio Mellerio-Rosmini di Domodossola, mentre la piccola si formò in casa. L’educazione che le ragazze ricevettero fu anticonvenzionale. In un’epoca in cui la società destinava le donne ad un ruolo prettamente casalingo, i coniugi Prolo preferirono sviluppare le passioni e le aspirazioni professionali delle figlie. Per l’intellettuale Maria Don era fondamentale supportare le ragazze nelle loro inclinazioni artistiche e culturali. Tarsilla diventò pittrice e Itala studiò pianoforte. Maria Adriana suonava il violino e scriveva poesie, ma amava anche l’attività fisica.
Era la più cocciuta delle sorelle: “Io sono terribile e enormemente testarda”, disse ricordando quando alle scuole elementari non parlò per un intero anno con una compagna che fu sgarbata con lei il primo giorno di lezione. Questa caparbietà condusse Giovanni a vedere nella figlia minore l’erede ideale a cui affidare la gestione dei beni di famiglia. Ma “Adri” aveva una spiccata tendenza all’autonomia e non volle seguire le orme paterne. Si trasferì a Torino, dove si laureò in materie letterarie presso la facoltà di Magistero (Scienze della Formazione) con una tesi riguardante un economista piemontese del XVIII secolo, Ignazio Donaudi conte delle Mallere.
L’interesse per la storia del territorio e l’attenzione alle fonti documentarie intese come strumenti imprescindibili per conferire attendibilità a uno studio, fecero sì che la giovane iniziasse a lavorare come ricercatrice alla Biblioteca Reale di Torino. Nel contempo, per perfezionare la sua formazione, frequentò corsi di archivistica, biblioteconomia e paleografia all’Archivio di Stato.
La sua copiosa attività di storica è pressoché sconosciuta, sovrastata dalla fama di creatrice del Museo del Cinema. Tanti furono i saggi e gli articoli riguardanti fatti e personaggi legati alla storia piemontese del Seicento e Settecento pubblicati da Maria Adriana. Nel 1930 figurò come coautrice del volume sulla dinastia sabauda Dal nido savoiardo al trono d’Italia. Vita, ritratti e politica dei Savoia dall’anno 1000 al 1870, scritto con il direttore della Biblioteca Reale, il generale Nicola Brancaccio principe di Ruffano, che stimava molto la serietà e la dedizione della collaboratrice. In quanto donna forte e consapevole dell’importanza del suo sesso, si interessò alle figure femminili che con la loro opera impreziosirono la cultura locale: del 1937 sono il Saggio sulla cultura femminile piemontese dalle origini al 1860 e la curatela della raccolta di poesie di Agata Sofia Sassernò. Si occupò inoltre di storia risorgimentale e con i suoi scritti in materia ottenne il Premio di Perfezionamento Principi di Piemonte, grazie al quale poté recarsi a Londra per visionare i documenti conservati nel Public Record Office.
Questo percorso lavorativo la traghettò verso la settima arte. Galeotto fu un saggio sulla letteratura piemontese dalla fine dell’Ottocento fino al 1914. Per completarlo la Prolo si immerse nella consultazione delle riviste del cinema muto conservate alla Biblioteca Nazionale.
Sfogliandole, scoprì che molti giornalisti, scrittori e poeti lavorarono nell’industria cinematografica come sceneggiatori e registi. La studiosa si rese conto che Torino era stata il centro propulsore di questo nuovo mondo nato dall’unione tra la fotografia e secoli di studi sull’ottica e sul movimento. Fu un’epifania che le rammentò il film Occhi che videro del 1914, visto quando aveva otto anni, e del quale le rimase sempre impresso il titolo,
premonizione di quanto aspiravo realizzare, “vedere” crescere un Museo del Cinema a Torino.
Nel 1938 comparve l’articolo Torino cinematografica prima e durante la guerra. Appunti, il primo di una lunga serie coronata dalla pubblicazione nel 1951 del volume pionieristico Storia del cinema muto italiano. 1896 — 1915. Questo testo, dedicato all’amata madre, doveva essere seguito da una seconda parte che non vide mai la luce.
Nel 1940, avviato uno studio con il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, la Prolo entrò in contatto con varie personalità che costruirono il cinema degli albori: Baldassarre Negroni, Giovanni Pastrone, Arrigo Frusta… raccolse da loro documenti, fotografie, macchinari e l’8 giugno 1941 annotò sulla sua agendina queste fatidiche parole: “Pensato il museo”. Nacque così, in questa giovane donna dai lunghissimi capelli corvini spesso raccolti in un austero chignon e dalla bellezza simile a quella della diva del muto Carmen Boni, la necessità di salvare dall’oblio un patrimonio di grande rilevanza storica e culturale per Torino e l’Italia.
In quegli anni lo stesso obiettivo, rivolto al cinema francese, era alla base dell’attività di Henri Langlois, il fondatore della Cinémathèque Francaise di Parigi. Langlois e la Prolo si conobbero nel 1949 e, accumunati dagli stessi intenti, diventarono grandi amici supportandosi a vicenda. Disse Langlois:
Senza le collezioni e la passione di Maria Adriana, non sarebbe rimasto nessun ricordo del cinema muto italiano. Tutto disperso e dimenticato.
Avuta l’idea di un museo del cinema, Maria Adriana prese l’abitudine di recarsi al Balun, il mercatino torinese delle pulci, per rovistare tra le cianfrusaglie dei robivecchi nella speranza di rinvenire qualche prezioso reperto. Il suo primo acquisto fu la pellicola del film L’emigrante del 1915.
In queste ricerche la Prolo doveva vedersela con un concorrente, il misterioso “uomo del sacco”. Questi arrivava al Balun prima di lei e acquistava tutti gli apparecchi che trovava con il fine di modificarli in macchine da presa da rivendere a cineasti dilettanti. Presto gli antiquari del Balun iniziarono a preferire “la signorina del cinematografo” a questo compratore, riservando a lei i pezzi migliori.
Si sa che il collezionismo prevede la presenza di consistenti fondi economici. Maria Adriana Prolo non intendeva usare i soldi di suo padre né tantomeno farseli prestare.
Per guadagnare, si mise a lavorare dapprima come annunciatrice radiofonica all’EIAR e poi come insegnante fino al 1953. Il suo caratterino non passò inosservato agli studenti: ogni tanto appariva su qualche muro la scritta minacciosa Abbasso la Prolo! Lei stessa era consapevole della sua durezza e si autodefiniva “vecchia proffia”. Per molti restò sempre “la professoressa”. Instancabile nella ricerca di finanziamenti, riuscì ad ottenerne da aziende come FIAT, CRT, Lancia, Burgo, Agnesi, arrivando a raccogliere 9.100 lire entro il novembre del 1942. Già dall’anno precedente il Comune di Torino le affidò alcuni locali nella Mole Antonelliana dove radunare la sua collezione.
Il 7 luglio 1953 si costituì l’Associazione Museo del Cinema e, finalmente, il 27 settembre 1958 fu inaugurato il museo trasferito dalla Mole Antonelliana al pianterreno di Palazzo Chiablese.
Quella fu per molti anni la vera casa di Maria Adriana Prolo. Arrivava puntualissima alle 9, indossava il suo leggendario grembiule nero e si metteva al lavoro nell’ufficio direzionale pieno di libri e incartamenti impilati e ammassati sulla scrivania. Capitava sovente che facesse tardi. Allora saliva nell’ammezzato, dove aveva approntato la sua “prigione senza sbarre”: una stanza di pochi metri quadri con un divano-letto, un comodino, un attaccapanni e un fornelletto elettrico. La casa ufficiale si trovava in via Salbertrand, dove abitò con i genitori fino alla loro morte negli anni ’70, per poi traslocare in un appartamento in via Guido Reni. Così lo descrisse la pronipote Maria Luisa:
Un antro incantato, pieno di libri, di scatole e di oggetti che collezionava. Non aveva tv, ma una radio che teneva sempre accesa quando era in casa. La cucina non aveva armadi o pensili. I coperchi e le pentole erano appesi alle pareti. La usava poco, sempre a Carnevale per preparare le bugie ripiene di marmellata.
Maria Adriana era una buongustaia e non mancava di fare una scappata in pasticceria per comprare cabaret di pasticcini, le “godurie” come li definiva con quella mania che aveva di cambiare i nomi alle cose per creare un linguaggio tutto suo. La Prolo doveva apparire agli occhi dei nipoti, che la chiamavano “Ziadri”, come la zia zitella un po’ eccentrica, ma sempre ricca di risorse e sorprese. Per mantenersi in salute digiunava la sera e mangiava soltanto tre noci per conservare la lucentezza dei suoi capelli che spazzolava a lungo prima di coricarsi. Maria Luisa ricordò:
Aveva una grande attenzione all’estetica e al modo di presentarsi, non nel senso che amasse sfoggiare capi firmati o creazioni di moda, ma nel senso che dette sempre grande importanza all’equilibrio, ad un certo modo di essere e di presentarsi. Amava i cappelli e creava da sé i suoi bijoux.
Non si sposò la signorina Prolo. “Meglio i miei musei di un marito”, diceva, fedele alla sua natura di spirito libero. Oltre al museo torinese, si occupò di istituirne un secondo. Nel settembre 1975, a Romagnano Sesia, aprì al pubblico il Museo Storico Etnografico della Bassa Valsesia, fondato insieme a due amici compaesani, l’italianista Carlo Dionisotti e l’insegnante Fernanda Renolfi. Da quando si installò a Torino, la Prolo mantenne l’abitudine di ritornare ogni fine settimana nel suo paese natio per ricaricare le batterie. La creazione di un luogo in cui conservare le testimonianze delle tradizioni e del folklore locali fu il naturale frutto dell’amore e del forte legame con la sua terra d’origine. Fucina d’idee, Maria Adriana sognava di aprire un Museo Ideale della Fotografia e un Museo della Città di Torino, progetti che rimasero sempre nel cassetto.
Invece il Museo del Cinema non era un sogno, bensì un impegno. Un affaire de coeur perseguito con tenacia nonostante le difficoltà, le delusioni e i momenti di sconforto. La professoressa andò avanti inseguendo i suoi obiettivi, senza mai scendere a compromessi, fedele a se stessa e alle sue idee. Affermava che:
Le cose vanno incontro a chi le cerca con passione, sacrificio e disinteresse. Bisogna resistere a ogni costo.
Purtroppo l’8 gennaio 1985 il Museo del Cinema chiuse i battenti per inagibilità e mancanza di fondi. Per fortuna questa odissea è terminata da tempo. Il 20 luglio 2000 il Museo del Cinema riaprì, non più nella sede di Palazzo Chiablese, ma nella Mole Antonelliana, dove tutto iniziò nel 1941. Ma la signorina del cinematografo non era presente. Maria Adriana Prolo si spense anni prima, il 20 febbraio 1991. Ziadri fu granitica fino all’ultimo:
“Qualche giorno prima della fine eravamo nella sua stanza e lei sembrava dormire”, raccontò la pronipote, “Io dissi: — Donne così non ne nascono spesso— . E lei, aprendo gli occhi all’improvviso: — E non ne nasceranno mai più!”
All’interno del Museo del Cinema non si trovano molti rimandi alla figura di Maria Adriana Prolo e forse lei gradirebbe così. La discrezione le era congeniale. Non amava adulare per compiacere gli altri, né amava essere adulata. Apparire a tutti i costi non le interessava, perché sapeva che erano la sostanza e i fatti a contare. E questi le fecero ottenere in Francia nel 1988 la prestigiosa nomina a “Chevalier de l’ordre des Arts et des Lettres”. A Torino meriterebbe la titolazione di una via, come è già avvenuto a Romagnano Sesia. Oggi Maria Adriana Prolo sarebbe fiera di vedere come il suo museo sia diventato una delle mete più visitate in Piemonte. È la conferma che gli occhi di quella bambina, che all’inizio del secolo scorso si divertiva con il “gioco dell’esposizione”, videro giusto e con benedetta lungimiranza.
👍 Si ringraziano il Museo Storico Etnografico della Bassa Valsesia e la Bibliomediateca “Mario Gromo”.
FILMOGRAFIA