Fu un sacerdote dall’improbabile nome di Pio Brunone Lanteri che nel 1816 fondò a Carignano un convento di monaci oblati dedicato alla Vergine. Lanteri era stato durante il periodo napoleonico membro della società segreta “Amicizia anonima”, votata alla diffusione della letteratura cattolica — attività che gli era costata il confino domestico a Baldissero. Tornato a Torino dopo la caduta di Napoleone, Lanteri era convinto che fosse necessario dar vita a nuove realtà cristiane che proseguissero nell’opera missionaria, ma adatte al clima che si respirava in Europa dopo la Restaurazione. Da qui la decisione di creare una congregazione di oblati — termine che indica coloro che donano se stessi e la propria esistenza a Dio e al suo servizio.
Sciolta per contrasti con l’allora vescovo di Torino, Colombano Chiaverotti, la Congregazione degli Oblati di Maria Vergine venne riorganizzata e ufficialmente riconosciuta nel 1826. Una decina di anni dopo i primi padri oblati partirono alla volta della Birmania — quella che oggi si chiama Myanmar. Per quanto possa sembrare sorprendente la presenza cristiana in Birmania — e in particolare nei regni di Ava e Pegù — era già all’epoca molto antica: le prime testimonianze di comunità cristiane risalgono al 1287 e la presenza missionaria al 1554. I padri barnabiti avevano gestito delle missioni in Birmania a partire dalla prima metà del XVIII secolo e fu ad affiancare i barnabiti che gli oblati della Vergine Maria inviarono in tutto ventisei missionari a partire dal 1837.
Fra questi, Paolo Abbona che sarebbe diventato nelle parole di uno storico birmano
il più grande e il più birmano degli oblati torinesi.
Paolo Abbona era nato a Monchiero (in piemontese, Muncé), in provincia di Cuneo, lungo il corso del Tanaro, il 27 aprile 1806. Della sua infanzia e giovinezza ritroviamo poche informazioni. Ordinato sacerdote nel 1830, divenne vice-curato a La Morra, dove ebbe modo di conoscere l’opera e la predicazione dei Padri Oblati. Nel 1832 entrò a far parte dell’Ordine.
Nel 1839 Abbona fece domanda come missionario e si recò a Roma con alcuni confratelli per ricevere la Tripla Benedizione da papa Gregorio XVI. In questa occasione Abbona commise un passo falso, presentando al Pontefice il desiderio, suo e dei suoi compagni, di essere martirizzati in Oriente come esempio della loro fede. Il Papa replicò che desiderare il martirio significava desiderare che la Chiesa fosse perseguitata, e suggerì al giovane sacerdote di rassegnarsi a ciò che Dio avrebbe disposto per lui.
Con queste parole nel cuore e la patente di missionari apostolici, Abbona e i suoi compagni partirono alla volta della Birmania così in fretta che non poterono completare il necessario corso d’inglese. Via mare, via terra a dorso di cammello tallonati dai predoni e poi ancora su un vascello a vapore, Abbona arrivò finalmente a Madras, in India, dove lo aspettava padre Giuseppe Enrici che era stato il primo missionario in Asia e quindi per gli oblati della Vergine Maria una sorta di apripista.
Madras (oggi Chennai) in India e Pegù (conosciuta anche col nome Bago) in Myanmar.
Mentre Enrici e gli altri oblati proseguivano verso Pegù, Paolo Abbona si fermò per sei mesi a Madras, ospite del vescovo Patrick Carew. Quest’ultimo riconobbe le capacità di Abbona e gli affidò diversi incarichi nella diocesi indiana dandogli intanto il tempo per imparare non solo l’inglese, ma anche per acquisire maggiore dimestichezza con gli usi locali.
Nel settembre del 1840 Abbona arrivò finalmente a Maulmain, in Birmania, dove si ricongiunse con Enrici e con i confratelli e dove, come prima cosa, si organizzò per imparare i dialetti e gli usi e costumi locali, arrivando a parlare fluentemente sette lingue. Fu così che quando nei primi mesi dell’anno successivo l’imperatore Tharrawaddy Min lo accolse a corte nella capitale Amarapura, padre Abbona fece una grande impressione sul sovrano non solo per la sua fede ma anche per le sue doti intellettuali.
L’imperatore gli chiese immediatamente di tradurre un trattato di geografia, e successivamente gli affidò l’incarico di traduttore ufficiale della corrispondenza reale, concedendogli il privilegio di essere il primo a leggere le lettere in arrivo e in partenza dalla corte. Ma Paolo Abbona possedeva anche altri talenti, che non sfuggirono al sovrano. In particolare la sua conoscenza della medicina e dell’astronomia fecero del sacerdote una figura centrale della corte birmana, anche se rimane il piccolo mistero di dove e come Paolo Abbona avesse imparato delle nozioni di medicina visto che nei documenti ufficiali non risultano studi in questo senso.
Nel 1842 scoppiò nella capitale un’epidemia di vaiolo che in breve causò oltre 6.000 vittime, la maggioranza bambini. Abbona, con gli altri padri oblati, si dedicò subito alla cura dei malati assistendoli e distribuendo loro i medicinali che aveva richiesto e ricevuto dall’Italia. Lo stesso fece poco dopo, allo scoppio di un’epidemia di colera, che in due mesi uccise 10.000 persone.
Abbona si dedicò alla cura dei malati senza preoccuparsi della possibilità di contagio, forse ricordando le parole di Gregorio XVI. È interessante notare che, se da una parte Paolo Abbona importò in Birmania i medicinali necessari, di solito appoggiandosi a gruppi di benefattori torinesi (tra i quali figuravano anche il conte Vittorio Sallier de la Tour, la marchesa Giulia Falletti di Barolo e il marchese Gustavo Benso di Cavour), dall’altra non esitò a consigliare l’adozione in Italia di medicinali che, ancora sconosciuti in Europa, si erano dimostrati efficaci sul campo.
Ma Paolo Abbona era anche un astronomo, un po’ per passione, un po’ per necessità…
Le dirò che faccio di tutto… faccio il professore di astronomia, benché non sia astronomo. Per dispensarmene avevo risposto al Re che mi mancavano i globi e i libri e il buon re tosto fece spendere 600 franchi per due eccellenti globi inglesi, mi provvide di libri e io dovetti tosto mettermi a contemplare le stelle, ne scrissi un trattatello in cui spiegai in breve il sistema di Copernico, diedi un’estesa relazione di tutti i pianeti, parlai di tutte le costellazioni indicando il sito di ciascuna, riuscii coll’aiuto dei libri e coll’applicazione a poter determinare le eclissi per qualunque anno. E si sta ora in aspettazione di un’eclissi di luna, che secondo gli astronomi birmani deve accadere la sera del 24 corrente, e secondo me nella mattina del 25. Vedremo chi avrà ragione.
(Lettera di padre Paolo Abbona all’amico don Bonfante, 1844)
A sinistra: campana conosciuta col nome “Maha Tissada Gandha Bell” donata dal re Tharrawaddy Min nel 1841 ed esposta nella pagoda di Shwedagon in Myanmar. A destra: La tomba di Tharrawaddy Min.
A Tharrawaddy era intanto succeduto il figlio, molto meno amichevole del padre nei confronti dei missionari, ma comunque affezionato nei confronti di Abbona, che rimase perciò a corte come scienziato, insegnante, medico ed intellettuale. Fu così che il 10 dicembre 1852, in occasione di un’eclissi totale di sole, Padre Abbona dovette presentare al nuovo sovrano una relazione astronomica completa, in lingua birmana.
Nel 1852 era intanto scoppiata quella che viene indicata nei libri di storia come Seconda guerra anglo-birmana, di fatto una disputa artificiosamente imbastita dai vertici della Compagnia delle Indie che, fornendo informazioni incomplete e tendenziose alla corona britannica, ottennero un intervento militare inglese a sostegno di un brutale tentativo di accaparrarsi una nuova fetta di territorio. Quella che era iniziata come una questione relativa a un pagamento di 1.000 sterline si trasformò in una richiesta da parte della Compagnia, spalleggiata dalla flotta inglese, per 100.000 sterline.
La ribellione del principe Meng-don-Meng, fratello del sovrano, complicò ulteriormente le cose e ben presto la capitale divenne un campo di battaglia.
La situazione si fece drammatica anche per i missionari cristiani…
Nella rivoluzione però anche noi abbiamo patito non poco. Presa la capitale, fu consegnata al saccheggio per sette giorni durante i quali io patii non poco. Entrarono in chiesa più e più volte gli aguzzini, cinquanta o sessanta per volta, tutti armati, ci spogliarono di tutto restando con una sola camicia ed una sottana… Ed io fui per ben cinque volte regalato di buone bastonate che tenni in conto di leggera disciplina. Fu solo in tale occasione che potei farla da superiore, poiché appena entravano gli assassini mi presentavo ad essi dicendo essere io il Superiore, e così prendevano me e lasciavano gli altri in libertà, i quali pure patirono non poco. Nessuno però fu bastonato se non Domenico Tarolli che si prese due colpi perché non arrivava per tempo. Onde prenderli io, me li restituivano però con usura. Un giorno mi tennero per ore colla testa sotto le spade sguainate e credevo veramente che mi uccidessero perché erano briganti ubriachi.
(Padre Paolo Abbona, lettera del 17 aprile 1853)
Morto il Re, il principe Meng-don-Meng salì al trono e fece liberare i missionari, che accolse a corte. Ancora una volta, le qualità di Padre Abbona lo rendevano gradito alle autorità:
Il motivo per cui il re tosto mi fece chiamare si era di mandare come ambasciatore agli inglesi onde fare sospendere le ostilità. E difatti partii tosto io con don Tarolli. Trovammo gli inglesi che si avanzavano, parlammo coi medesimi, facimmo sospendere le armi e ritornammo a farne la relazione al re. Don Tarolli tosto ripartì per Prome onde perorare la causa ed assistere don Bozalla nelle molte occupazioni. Io me ne restai col re il quale tosto a sue spese mi fece fabbricare chiesa e casa e provvide a quanto poté avere. Frattanto partirono i missionari birmani per Prome onde conchiudere un trattato di pace, ed io me ne restai coll’ottimo re e alla sua cura dei non pochi cristiani già radunati in Mià-miù-miò.
(Lettera di padre Paolo Abbona al rettor maggiore Avvaro, 17 aprile 1853)
E non solo alle autorità birmane era gradito: monsignor Balma, responsabile delle missioni in Birmania, che desiderava rientrare in Europa, propose a Paolo Abbona il ruolo di pro-vicario apostolico. Abbona tuttavia rifiutò l’incarico e propose al proprio posto don Domenico Tarolli. Forse era la guerra a preoccupare Abbona e a fargli scegliere di tenersi lontano dalla diplomazia. O forse aveva altre cose di cui occuparsi…
Qui nel regno birmano siamo sempre tranquilli. Sono riuscito ad aprire la comunicazione colla China e col Thibet, e l’imperatore barmano [sic] ne è contentissimo. Già per tre volte vennero i cursori e in aprile torneranno per la quarta volta.
(Padre Paolo Abbona, lettera del 10 settembre 1855)
Il ruolo di Paolo Abbona come esploratore viene spesso messo in secondo piano dalle sue opere missionarie e dal suo peso sullo scacchiere internazionale. Padre Abbona studiò il corso dei fiumi dell’impero birmano e riuscì ad aprire quella che oggi si chiama Strada di Bammò, una nuova via di comunicazione fra Birmania, Cina e Tibet. Collaborò strettamente con Cristoforo Negri, direttore della divisione consolare al ministero degli Esteri, che nel 1867 divenne Società Italiana Geografica.
Tornato in Italia nel 1856 riferì sulle proprie attività a Roma dove incontrò papa Pio IX. Venne poi ricevuto da Vittorio Emanuele II e da Cavour a Torino. Questo incontro portò la corona sabauda a siglare un trattato con i sovrani birmani e Abbona, ora cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, venne rispedito a Amarapura, non più solo come missionario, ma anche come plenipotenziario.
Poiché godeva della fiducia dei sovrani birmani Padre Abbona fu capace di scongiurare due nuove guerre fra il piccolo impero asiatico e l’impero britannico, prima nel 1857 e poi nel 1863. Nel 1866 scoppiò in Birmania una nuova rivoluzione. Ben deciso a prendersi cura del proprio gregge, Abbona non aveva alcuna intenzione di abbandonare la capitale, nonostante il crescente clima di violenza e, quando le autorità inglesi intervennero per far sfollare gli occidentali, Abbona venne imbarcato con l’inganno per poterlo portare in salvo.
Paolo Abbona, che si era recato in Birmania in cerca del martirio, non venne mai martirizzato e rimase in quello che oggi si chiama Myanmar per trent’anni. Lasciò definitivamente la Birmania nel marzo del 1873. Accusato dal nuovo vicario per il nord della Birmania settentrionale, monsignor Charles-Arséne Bourdon, di aver abbandonato la propria missione senza autorizzazione, padre Abbona si recò in Vaticano per perorare la propria causa e successivamente si ritirò a Torino, dove venne colto da una grave “tosse asmatica”. Si spense a Boves, durante una trasferta di predicazione, il 13 febbraio 1874.