Il nome della Pininfarina è legato, nella mente non solo dei piemontesi, all’idea di eccellenza mondiale del design automobilistico. Icone come la Ferrari 212 e la Enzo e la Maserati Quattroporte sono uscite dalle matite dei disegnatori della Pininfarina; ma l’elenco — troppo lungo anche per il lettore più appassionato — ci porta a varcare i confini nazionali con la Peugeot 203 e l’Oceano Atlantico, con alcuni modelli della Nash Motors e della Cadillac, per poi tornare in Italia con la Cisitalia 202 del 1947. Quest’ultima sarà la prima automobile al mondo a entrare come oggetto d’arte in un museo, il MoMA, l’8 dicembre 1972, consacrando in questo modo la Pininfarina ai vertici del design mondiale.
Sì, perché non sono solamente automobili a portare il marchio della casa torinese; nel tempo Ansaldo, Benéteau, Lavazza, Motorola, Piaggio, Snaidero e altri ancora hanno affidato alla Pininfarina il lato stilistico di alcuni dei loro prodotti di punta. Nelle righe che seguono, si cercherà di tracciare un profilo storico della Pininfarina, le cui vicende si sono intrecciate, fino agli anni più recenti, con quelle della famiglia Farina (successivamente divenuta Pininfarina).
Nato a Torino nel 1893 da una famiglia di viticoltori, che la crisi economica aveva costretto ad abbandonare la natia Cortanze, Giovanni Battista (Pinin) Farina inizia la propria esperienza lavorativa giovanissimo, ad appena 13 anni, come aiutante del fratello maggiore Giovanni (1884 — 1957), titolare a Torino di una carrozzeria, nella quale produceva in modo artigianale elementi di carrozzeria per le case automobilistiche del Torinese. Pinin rivela fin da subito capacità non comuni, fino a lasciare gli Stabilimenti Farina, che aveva diretto per due anni, nel 1930, anno in cui fonda l’azienda che ancora oggi porta il suo nome.
Il suo “apprendistato” si può dividere in quattro fasi cruciali: le prime due si svolgono negli anni trascorsi nella carrozzeria del fratello e sono la collaborazione con la neonata FIAT e, nel biennio 1917 — 18, la produzione di parti di carlinghe di aerei militari. In entrambi i casi, Pinin si rende conto che molte delle caratteristiche principali di un veicolo (sia esso terrestre o aereo) in termini di velocità e manovrabilità dipendono dalla forma e dunque dalla carrozzeria. La terza esperienza (o sarebbe più corretto forse dire “passione”) fu quella — breve — di pilota di corse, che gli permise di apprezzare le qualità (e le carenze) aerodinamiche delle carrozzerie delle auto. Infine, un viaggio compiuto negli USA lo porta a visitare le fabbriche della FORD e a comprendere non solo i segreti dell’organizzazione industriale, ma anche la necessità che un’automobile coniughi principi di economicità a un aspetto estetico attraente per il consumatore. Sarà infatti lo stesso Pinin, molto anni dopo, a rimpiangere il fallimento della carrozzeria fiorentina dei fratelli Lotti
che avevano mani da liutaio e costruivano scocche che erano casse di violino, (Caballo E., “Pininfarina. Nato con l’automobile”, p. 69)
ma i cui costi fecero rapidamente travolgere la loro attività dalle inesorabili leggi del mercato.
Quando, nel 1930, Pinin si stacca dal fratello e si mette in proprio, Vincenzo Lancia, amico di Pinin Farina, inizia a commissionare alla piccola azienda la progettazione e la realizzazione delle carrozzerie di molti dei suoi modelli. Alla Lancia si aggiungono presto FIAT e Hispano-Suiza. L’anno di fondazione dell’azienda coincide con le prime fasi della Grande Depressione, ma questo si rivelerà — paradossalmente — un vantaggio: le grandi case automobilistiche, alle prese con un forte calo delle vendite e costrette a dolorose ristrutturazioni, sono felici di poter esternalizzare la progettazione e la costruzione delle carrozzerie. Nonostante ciò, però, e nonostante la produzione si avvalesse soprattutto di manodopera (fattore produttivo più flessibile del capitale), i bilanci dei primi anni mostrano sostanziali perdite, che nei primi dieci anni di attività ammontarono complessivamente a 625.000 lire (pari a circa 600.000 euro), una cifra in realtà di per sé piccola, ma sostanziosa se confrontata con il capitale sociale dell’azienda, appena 600.000 lire.
Nel 1940 lo scoppio della guerra costringe la carrozzeria a produrre soprattutto veicoli militari e ambulanze (ma si arrivò a costruire anche slitte per gli alpini), che, alla fine del 1942, portano al primo bilancio chiuso in utile. Il 4 febbraio 1943, gli stabilimenti vengono pesantemente bombardati, con ingenti perdite, ma l’episodio più doloroso per il patrimonio dell’azienda avviene a guerra conclusa: verso la fine di dicembre del 1946 va a fuoco lo stabilimento di corso Trapani a Torino; l’incendio distrugge l’intero archivio dell’azienda, con tutti i disegni e progetti prodotti fino ad allora.
La ripresa e la grande crescita della Pininfarina iniziano a partire dal 1949 e proseguiranno nel corso del grande boom economico italiano, di cui la motorizzazione della società è stato uno dei simboli principali. Nel frattempo affiancano Pinin ai vertici dell’azienda due giovani ingegneri dotati di molto talento, che egli sa educare e indirizzare verso obbiettivi di crescita: suo figlio Sergio e il cognato di questi, Renzo Carli. L’espansione del mercato automobilistico nazionale e internazionale permette alla Pininfarina di diversificare la produzione in due ambiti, che però non hanno mai smesso di dialogare tra di loro, costituendo così uno dei punti di forza strategica dell’azienda. Da un lato troviamo la produzione di carrozzerie in piccola serie per autovetture di élite, come le Ferrari; dall’altro si sviluppa la progettazione e la costruzione di carrozzerie per grandi serie per costruttori come FIAT, Alfa Romeo, Lancia, Nash, ecc. Il personale impiegato passa così da circa 250 unità nel 1947 a oltre 3.000 dieci anni dopo.
A Sergio Pininfarina (il cognome divenne tale nel 1961) e Renzo Carli si deve il cruciale salto tecnologico che produrrà enormi vantaggi competitivi per la Pininfarina: nel 1967 (un anno dopo la morte di Pinin) viene costituito il centro DEA, dotato di strumenti e di computer all’avanguardia, nel 1972 è il turno di una galleria del vento, la prima in Italia e una delle prime al mondo utilizzate per fini industriali. Nel decennio iniziato con questo importante investimento, si abbattono però sull’industria automobilistica (e sull’economia mondiale) le prime due crisi petrolifere. Se la Pininfarina passa relativamente indenne attraverso la prima (gli utili aumentano dai 286 milioni di lire del 1973 ai 1.647 milioni del 1978), la seconda ha pesanti effetti sia economici (il bilancio del 1980 chiude con un risicato utile di 253 milioni) sia occupazionali (gli addetti passano dai 2.488 di fine 1978 ai 2.020 del 1981, con una contrazione del 20% circa).
Gli anni Ottanta e Novanta si caratterizzano da un lato per l’ingresso in azienda della terza generazione, rappresentata dai figli di Sergio, Lorenza, Andrea e Paolo; dall’altro la produzione della Pininfarina si diversifica ulteriormente, grazie all’attrazione esercitata sui potenziali clienti dall’elevato livello tecnologico dell’azienda. Autobus, treni e barche a vela iniziano a uscire dalle matite degli ingeneri Pininfarina; a questi prodotti se ne aggiungeranno altri, ancora più lontani dal settore automobilistico, come cucine e macchine per il caffè.
La trasformazione da carrozzeria a impresa di design industriale a tutto tondo culmina nel 2002 con l’inaugurazione del centro di engineering di Cambiano (TO). Il 12 maggio 2006 Andrea diventa amministratore delegato dell’azienda, succedendo al padre Sergio, ottantenne, che purtroppo, due anni dopo, assisterà al tragico incidente stradale in cui resterà ucciso Andrea, al quale succede il fratello Paolo. Sono anni difficili per la Pininfarina, che fin dal 2000 subisce gli effetti negativi dell’altalenante congiuntura economica mondiale e italiana: in tre anni, dal 1999 al 2002 l’occupazione aziendale si contrae da 2.566 a 2.338 unità. La situazione finanziaria continua a peggiorare anche negli anni successivi, conducendo alla cessione della proprietà, che passa dalla famiglia Pininfarina al gruppo indiano Mahindra & Mahindra il 14 dicembre 2015. L’opera di ristrutturazione finanziaria intrapresa dal nuovo proprietario sembra al momento dare frutti positivi: i bilanci del 2016 e del 2017 si sono chiusi con un aumento dei volumi di produzione e con risultati netti positivi. A ricordare la piemontesità dell’azienda rimane non solo la sede, ma anche quel “Pinin” all’inizio del nome.
Interni degli uffici Pininfarina nella sede di Cambiano.
Al termine di questa breve e densa storia di un grande marchio italiano e torinese, merita un breve cenno l’impegno istituzionale di Sergio, presidente della Confindustria e deputato europeo per due legislature, dal 1979 al 1989. Così come l’azienda da lui guidata per molti anni, Sergio Pininfarina fu un imprenditore eclettico e innovatore anche nella vita pubblica al di fuori dell’azienda di famiglia.