“Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”, dice il Perozzi, interpretato da Philippe Noiret, in Amici Miei di Mario Monicelli.
Quando penso a Marco Datrino, antiquario tra i più conosciuti al mondo e collezionista d’opere d’arte, ricordo questa battuta e sorrido. La storia di Marco meriterebbe un film: sono così numerose le sue scoperte di capolavori assoluti dell’arte, e le conseguenti peripezie per assicurarseli, da meritare un grande sceneggiatore e regista.
Non sto scherzando. Lo scorso anno, discutendo a Roma con un esperto d’arte (di cui posso fare il nome: Claudio Strinati) e a Mosca con alcuni artisti russi (di cui non posso dare il nominativo), la fama di Datrino era tale che non si poteva fare a meno di citarlo nei nostri racconti, enfatizzando le sue imprese, che, davvero, hanno ormai un’aura di leggenda.
A Roma, si parla ancora del suo colpaccio: aver acquistato nel 1984 un capolavoro di Taddeo Zuccari, La Pietà degli angeli, reso celebre anche da un volume di Kristina Hermann Fiore.
A Mosca, Marco Datrino è conosciuto come un esperto e collezionista di arte russa e sovietica, studiosi ne raccontano i meriti e il suo fiuto nell’aver acquistato, tra gli altri, le opere dei pittori Viktor Semënovič Zinov e Ivan Aleksandrovič Naduev. Ma il suo capolavoro è stato un altro e riguarda il luogo in cui da anni risiede, Torre Canavese (a 35 chilometri a nord di Torino), paese che attualmente conta 605 abitanti. Nel 1993 diventò il centro più importante del mondo dell’arte, ospitando la prima mostra dei tesori del Cremlino al di fuori della Russia. Merito dell’antiquario che aveva trasformato il castello di Torre Canavese, in cui vive, in un museo.
Il soggetto e i dialoghi delle avventure di Marco Datrino ci sono stati recentemente offerti dallo stesso antiquario, che ha pubblicato tre anni fa un volume di memorie familiari, che radunano le sue e quelle di suo padre Carlo, per tutti detto Chetu. Carlo diventò antiquario subito dopo la Seconda guerra mondiale; morì nel 1986, lasciando un indelebile ricordo come scopritore di diversi quadri di Pier Francesco Guala.
Marco è nato a Trino Vercellese nel 1941. È un autodidatta che si è nutrito dei testi di Roberto Longhi. Da Trino Vercellese, la famiglia Datrino scelse Torre Canavese come residenza. Oggi, se il piccolo paese piemontese è adorno di opere d’arte, lo si deve a lui. Negli anni, gli abitanti hanno apprezzato il lavoro di Marco Datrino, la sua lunga storia d’amore e d’atavismo per l’arte e il gusto per la cultura e la sua diffusione che sono tipicamente italiani. Se oggi possiamo ammirare alcuni capolavori assoluti provenienti da vari Paesi, dalla Russia a Israele, dalla Siria alla Cina, dobbiamo anche essere riconoscenti alla generosità, all’amore di donne e uomini che, in tempi diversi, hanno realizzato e oggi conservano questo unico tesoro d’arte che è la collezione Pittori per la pace di Torre Canavese. Si tratta di più di cinquecento opere d’arte conservate nel Comune.
Il Comune sta riportando all’attenzione generale questo suo tesoro proponendo alcune esposizioni. Ne è un esempio la recente duplice mostra Oltre lo sguardo. Sguardi che parlano/Terre che accolgono organizzata tra Torino (Palazzo Lascaris, Galleria Carla Spagnuolo) e Torre Canavese (Pinacoteca Comunale Raissa Gorbaciova), curata da Paola Zola, che ha scelto alcune opere di valore assoluto. Tra queste spiccano un autoritratto e Femme Fatale di due artiste lettoni. Il primo è di Lielā Dace, il secondo di Franceska Kirke. Entrambe hanno studiato a Riga all’Accademia d’Arte e poi hanno svolto un praticantato nell’Accademia d’Arte dell’Unione Sovietica. Più della metà delle opere esposte hanno una matrice russa, o meglio sovietica, considerando che gli artisti, ora ucraini, russi o bielorussi, sono nati negli anni dell’Impero sovietico.
Boris Borisovič Lejfer con Scena invernale e Sergej Evgen’evič Bobylëv con Crepuscolo fermano il tempo a un’epoca di cambiamenti. Da queste opere possiamo capire quella che è stata la tendenza pittorica dopo la Seconda guerra mondiale nell’Urss. Le avanguardie russe sono completamente ignorate. È il regime, infatti, che detta la maniera di esprimersi, imponendo l’arte figurativa, la sola arte con la quale è possibile celebrare gli avvenimenti del Paese dopo la Rivoluzione. Tutto sembra proseguire su temi e modi già espressi dalle esperienze dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento. Temi sì, modi no: i pittori dell’Unione Sovietica, oggi ucraini, russi, bielorussi, turkmeni, hanno trovato un loro linguaggio pittorico, fatto di tocchi, di impasti di colore, di materia robusta, che certamente non esisteva prima.
Nel novembre del 1989 Datrino intraprese un viaggio a Mosca e s’imbatté nella scoperta del real socialismo. In pochi anni diventò un esperto di quel mondo e riuscì a organizzare, in Italia, come privato, alcune mostre con la collaborazione dello Stato sovietico e fu un successo assoluto: le sue mostre sui tesori russi, allestite nel 1993 nella sua casa-museo di Torre Canavese, accolsero 300 mila visitatori paganti.
Molto prima, l’antiquario comprò un migliaio di quadri del realismo socialista, creando di fatto il mercato mondiale del settore per poi rivendere alcune opere agli stessi russi. Un’avventura davvero geniale, contraddistinta appunto da: fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione. Non solo. Datrino ha poi trasformato Torre Canavese in un museo a cielo aperto, invitando artisti da tutto il mondo per dipingere quadri come segno di pace.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, nei primi anni Novanta, in un momento in cui il sogno di pace pareva potersi concretizzare nel mondo segnato atrocemente dalle tensioni della guerra fredda, fu proprio grazie all’esperienza maturata da Marco Datrino sulla pittura russa e sovietica, se l’amministrazione comunale volle realizzare a Torre Canavese questa straordinaria collezione d’arte.
Nel 1993 Datrino portò i primi quindici pittori russi nel paese, poi negli anni arrivarono altri settanta artisti di tutte le ex repubbliche sovietiche. Il Comune trovò poi il modo di arricchire la collezione con la presenza di altri artisti e unire così israeliani e palestinesi, ucraini e russi, in un mondo che, nonostante le nuove crisi internazionali, tuttora grazie al grande lavoro di alcune donne, presidenti di associazioni o amministratori comunali, spera ancora e tanto, nel dialogo tra le culture per la realizzazione di una pace tra i popoli.
Nel 1993, rivela Datrino:
I primi ad arrivare furono quindici pittori russi. Tutto si fece in accordo col Comune e gli artisti vennero ospitati dalle famiglie torresi per otto giorni. Feci un accordo col Ministero della Cultura russo: le spese erano a mio carico, i pittori dovevano dipingere su pannelli di materiale plastico con colori acrilici i soggetti selezionati. In più donavano al Comune due opere a loro scelta che si portavano da casa.
Queste avventure di Datrino sono state raccontate dalla stampa non solo nazionale. Nel 1993 la mostra Tesori dal Cremlino fu un evento davvero insolito: Torre Canavese diventò uno dei luoghi italiani più visitati dell’anno, grazie alla mostra, che portò letteralmente “il mondo” nel piccolo paese. Tra i pezzi esposti la corona di diamanti dello zar Pietro il Grande, che ha la parte superiore divisa in due parti, in oro, sormontata da un enorme rubino grezzo e da una croce di diamanti; la parte inferiore è abbellita da un bordo di zibellino.
A sinistra la corona dello zar, a destra quella della zarina.
La corona dello zar è decorata da diamanti a rosetta, da un’aquila bicipite il cui splendore è pari a quello dell’oro. I diamanti sono disposti sulla parte superiore del berretto a livelli asimmetrici il che li rende ancora più splendenti. La corona è decorata anche da smeraldi e rubini. A differenza dei diamanti queste pietre non vengono tagliate perché hanno una forma naturalmente arrotondata. Appena levigate, con una calda luce interna, esse accentuano il freddo splendore dei diamanti. Datrino, dopo i Tesori, realizzò nel 1994 un’altra mostra: Gemme e diamanti del Cremlino. Fu in quella nuova esposizione che l’avvocato Agnelli restò a bocca aperta davanti all’evangelario della Zarina Caterina la Grande, tempestato da più di duemilacinquecento tra diamanti e rubini. Fermatosi ad ammirarlo a lungo, espresse un solo commento: “Incredibile!”. Il 23 maggio 2003 fu inaugurata la pinacoteca comunale, intitolata a Raissa Gorbaciova, dall’ex presidente Michail Gorbačëv.
Per questo motivo è ora di riorganizzare a Torre Canavese un grande evento, che coinvolga anche Torino e altri paesi del Piemonte, sulla Rivoluzione russa. I quadri posseduti dal Comune di Torre Canavese e le collezioni di Datrino raccontano una grande storia dell’arte.
La Rivoluzione in un primo tempo aprì le porte all’astrattismo. Datrino, forse, conosce addirittura il momento in cui questa avanguardia nacque! In realtà, il momento storico preciso in cui l’astrattismo è nato resta impossibile da definire. Un aneddoto vuole che Vasilij Kandinskij rientrando in casa dove aveva sbadatamente posato un quadro a rovescio su un cavalletto, restasse folgorato dall’intuizione che la bellezza di un’opera non dipende dal suo soggetto, e che anzi del soggetto può fare a meno.
Nel centenario dello scoppio della Rivoluzione, il 25 ottobre 1917 (secondo il calendario giuliano in uso nell’Impero dello Zar, il 7 novembre per il nostro calendario), gli storici dibattono su quella che fu una vera tragedia per il popolo russo. Inutile è celebrare una rivoluzione eroica. Meglio, a cento anni dall’evento, riflettere sulle ripercussioni che la Rivoluzione russa ha avuto nella storia moderna, nella letteratura e nell’arte.
Come ha ricordato recentemente Tzvetan Todorov, nel suo libro testamento, L’arte nella tempesta, a seguito della Rivoluzione, evento drammatico, la dottrina comunista, sull’esempio delle grandi religioni del passato, si è diffusa e ha influenzato lo svolgersi della vita politica in numerosi Stati, sia perché è stata rivendicata dai detentori del potere, sia perché è stata indicata come il principale nemico da combattere. Todorov narra uno degli aspetti del regime totalitario nato dall’Ottobre, ovvero i rapporti ideologici che si stabilirono tra i “creatori” nei diversi ambiti artistici (letteratura, pittura, musica, teatro, cinema) e i dirigenti del nuovo Stato sovietico. Todorov abbraccia un arco temporale ampio: gli anni che precedono il 1917 fino al 1941. Così, il volume racconta anche la storia della Rivoluzione dai suoi primi vagiti, le premesse promettenti (gli intellettuali russi la sentirono come un’apocalisse, una palingenesi con la nascita di una nuova società) al caos organizzato proprio di una macchina totalitaria (si vedano i casi di disillusione, in toni differenti, dei poeti Aleksandr Blok e Majakovskij).
Il rapporto dei “creatori” con l’Ottobre si stabilì in due tempi: il primo è anteriore al 1917 e si tratta dell’atteggiamento che assumono gli artisti rispetto all’idea di rivoluzione prima del suo inizio. Il loro ruolo in questo caso è attivo: elaborano un’immagine che, a sua volta, influenzerà la rivoluzione nascente. Il secondo tempo riguarda il rapporto che s’instaura tra gli artisti e i rappresentanti del potere una volta che la rivoluzione è avvenuta. La Rivoluzione fa nascere uno Stato, quello di Lenin e Stalin, che deluderà i “creatori” (è il caso esemplare del pittore Kazimir Malevič).
Prima del 1917, in Russia, gioca un ruolo importante una forma di creazione artistica, l’avanguardia, che fa tabula rasa delle tradizioni del passato. In Russia ne fanno parte Kandinskij, Larionov e molti altri, che si considerano rivoluzionari, ciascuno nel proprio ambito, e provano una forte simpatia per la rivoluzione sociale e politica, anche se non vi prendono parte. Per quanto riguarda la pittura, dopo il 1917, occorre notare che le avanguardie saranno completamente ignorate nella Russia totalitaria. Il regime impone l’arte figurativa. Da qui la delusione degli artisti che si consideravano avanguardisti e rivoluzionari.
“Composizione” di Kandinskji, 1916 e “Stalin” di Isaak Brodsky, 1933.
Lenin e Stalin, però, non si limitarono a bloccare i fermenti artistici, diventando i soli architetti della società sovietica: i dittatori comunisti uccisero gli artisti che non riuscivano a controllare. Trockij dopo l’Ottobre chiese pene più severe per gli intellettuali, ma si andò oltre: è il caso del poeta Nikolaj Gumilëv, uno spirito indipendente, accusato di aver preso parte a un complotto antibolscevico, di cui non è mai stata dimostrata l’esistenza. Il poeta fu arrestato e condannato a morte nel 1921. Altre esperienze tragiche furono quelle di Bulgakov, Babel’, Cvetaeva, Mandel’štam e Mejerchol’d.
Gli artisti, nonostante le atrocità del periodo staliniano, dopo la Seconda guerra mondiale, ebbero un altro momento di creatività e di innovazione.
Infatti, alcuni quadri della collezione di Datrino — pensiamo in modo particolare al grande quadro di Viktor Zinov, Concerto all’aria aperta, a quello di Ivan Aleksandrovič Babenko, Pobediteli, letteralmente “I vincitori”, ma denominato anche La festa del grano, e La presa di Berlino di Mark Kaplan — raccontano un’altra storia. Datrino la sintetizza con efficaci parole:
Fu dopo la vittoriosa guerra contro il nazismo che un’ondata di euforia generale consentì a tutti di partecipare con slancio ed entusiasmo alla ricostruzione del paese. Il sogno di una società più giusta, più equa, contagiò i cittadini di tutte le classi. Anche gli artisti nelle loro opere, pur costretti a dipingere con il linguaggio figurativo, trasmisero quella speranza, quello stimolo. Alcune tele erano realizzate con pennellate che richiamavano l’impressionismo, altre ricordavano la pittura classica del Cinquecento e del Seicento, altre ancora erano piene di romanticismo.
In ordine da sinistra: “Concerto all’aria aperta” di Viktor Zinov; “La festa del grano” di Ivan Aleksandrovič Babenko; “La presa di Berlino” di Mark Kaplan.
Torre Canavese è un itinerario importante del Piemonte: è l’unico luogo al mondo che può vantare un tesoro così grande di opere del Novecento russo, migliaia di opere, conservate nel castello e nel comune.