Quando Torino impazzì per Buffalo Bill

Indiani e cowboys alla conquista della Crocetta

Buffalo Bill nel 1875.

Felice Pozzo
Felice Pozzo

Appassionato di storia delle esplorazioni e di letteratura avventurosa, italiana e non, è considerato uno dei maggiori studiosi della vita e delle opere di Emilio Salgari. Ha dedicato all’argomento numerose pubblicazioni e ha curato l’edizione di alcune ristampe salgariane.

  

Si narra che quando, nel 1906, giunse a Torino il famoso circo di Buffalo Bill, una parte della troupe fu sistemata in via dei Pellicciai, ora via IV Marzo, e che perciò i torinesi improvvisarono una canzoncina che diceva:

Alé, alé, anduma a balé, ch’a j'é l’America an via dij Plissè.

Si dice anche, vero o no che sia, che il motivo piacque a Buffalo Bill in persona, e persino che lo cantò in piemontese l’ultimo giorno di spettacolo, sparando in aria.

Poster del “Buffalo Bill Wild West Show”, 1899.
Poster del “Buffalo Bill Wild West Show”, 1899.

Il conte canzonettaro

In tema di canzonette in piemontese, sono piuttosto note le quattro composte da Eugenio Piossasco di Beinasco, un cantastorie cieco di nobili origini che usava lo pseudonimo P. Eugenio Veritas, dedicate alla popolana torinese Rosina. Costei, quando il circo di Buffalo Bill abbandonò la città, fuggì con un moretto della troupe abbandonando il povero marito Tonino e qualcuno assicura che la storia è autentica. A parte, si capisce, i voli fantastici di Veritas, il suonatore girovago, detto anche “il conte canzonettaro”, che abitava modestamente in una osteria di via Silvio Pellico ed è mancato nel febbraio 1910 lasciando oltre cento canzonette, di cui molte dedicate alle vicende della Torino di fine Ottocento.

Roberto Balocco negli anni Sessanta inserì nel suo repertorio di “canson dla piòla” i versi scritti e musicati da Eugenio Veritas nel 1906 dal titolo “Buffalo Bill”.

Se dal folclore popolare si ricava l’idea di avvenimenti che hanno segnato l’immaginario collettivo, si può già avere una vaga idea di cosa significò per Torino l’arrivo del faraonico spettacolo d’un autentico eroe del Far West in quei quarantamila metri quadri che costituivano allora la porzione della piazza d’Armi, risalente al 1872, situata nella zona compresa tra gli attuali corsi Galileo Ferraris e Luigi Einaudi, prossimi alla Crocetta. Il tutto dopo lunghe trattative per ottenere tutte le indispensabili autorizzazioni militari e civili e dopo aver vagliato varie possibilità alternative.

Salgari incontra Buffalo Bill

Copertina del romanzo di Emilio Salgari “La Sovrana del Campo d’Oro” del 1905.
Copertina del romanzo di Emilio Salgari “La Sovrana del Campo d’Oro” del 1905.

Gli spettacoli durarono dal 22 al 26 aprile di quel 1906, quando, da un paio d’anni, Emilio Salgari aveva rinvigorito il mito di Buffalo Bill stabilendo un primato italiano. Aveva cioè inventato sue nuove avventure scrivendo a Torino il romanzo La Sovrana del Campo d’Oro, apparso dapprima a puntate sul settimanale Per Terra e per Mare di Genova nel 1904 e poi in volume nel 1905. Prima di allora tutte le pagine avventurose riferite a Buffalo Bill circolate e lette in Italia erano infatti traduzioni.

Salgari, d’altronde, prima di trasferirsi a Torino, aveva già assistito nell’aprile del 1890 allo spettacolo circense, denominato Wild West Show, avvenuto nell’Arena di Verona, durante la tournée in Europa che Buffalo Bill aveva intrapreso in quell’anno, esibendosi anche a Roma, Napoli, Firenze, Bologna e Milano, per non dire di Parigi.

In quell’occasione non solo Salgari era stato cronista dell’avvenimento veronese quale redattore de L’Arena, scrivendo tre interessanti articoli, ma aveva anche partecipato allo spettacolo — per così dire — salendo (con autorizzazione) sulla vecchia diligenza che, in una esibizione particolarmente attesa dal pubblico, era assalita al galoppo dai pellirosse e difesa dai cowboys. Per la verità le cose erano molto cambiate dal 1890 e non sappiamo se Salgari fu spettatore anche nel 1906.

“Buffalo Bill’s Wild West Show”, 1890, Roma.
“Buffalo Bill’s Wild West Show”, 1890, Roma.

Numeri da capogiro

Copertina di “Buffalo Bill’s Wild West”, pubblicazione messa in vendita in occasione degli spettacoli.
Copertina di “Buffalo Bill’s Wild West”, pubblicazione messa in vendita in occasione degli spettacoli.

Buffalo Bill aveva ingigantito lo spettacolo, aggiungendo al grande wild West l’altrettanto grande wild East. Ai numeri western aveva aggiunto quelli con Arabi e Giapponesi. C’erano pure i Messicani dello stato di Montezuma, gli americani di colore del 10° reggimento di cavalleria, i Cosacchi del Caucaso e molto altro. E assistere, ad esempio, alle manovre di guerra antiche e moderne dei Samurai o ai virtuosismi messicani con il laccio, per non dire dei patrioti cubani, dei beduini del Sahara, dei lancieri dell’armata inglese, dei mangiatori di fuoco, degli incantatori di serpenti, dei nani e dei giganti, costituì per forza di cose un’esperienza priva di precedenti, in Italia e non solo.

E così, se le cronache del 1890 dicono di cento pellirosse, cento tra tiratori, cacciatori, cowboys e cavallerizzi, e duecento animali, lo spettacolo torinese annoverò 850 persone (chi dice quasi mille, comprendendo i musicisti e il personale vario) che si avvicendarono in scena, e 500 cavalli. I giornali torinesi precisarono che i pasti quotidiani per tutto il personale consistevano in 2.000 uova, cinque quintali di carne, dieci quintali di pane, 300 litri di latte e quattro quintali di patate.

La logistica dei grandi eventi

Il trasporto da Alessandria, dove era avvenuta l’esibizione precedente (due spettacoli il 21 aprile), fu effettuato utilizzando quattro treni privati, costruiti in America, con vagoni gialli recanti le insegne di Buffalo Bill, per un totale di 59 vagoni adibiti sia per il trasporto delle persone che per quello degli animali e delle enormi attrezzature e materiali per lo spettacolo, dai cannoni ai carri romani, dalle slitte indiane alle tende da campo e tutto il resto.

Locandina dello spettacolo di Buffalo Bill a Torino, nel 1906.
Locandina dello spettacolo di Buffalo Bill a Torino, nel 1906.

Lo scarico avvenne man mano allo scalo merci. Ogni cosa fu caricata su capaci carrozzoni trainati da cavalli che, fatti uscire dal cancello in via Nizza, si diressero veloci verso piazza d’Armi, con una precisione di tipo militare, impeccabile, seguita da un allestimento dei vari accampamenti alla Crocetta in tempo di record. Il tutto sotto una pioggia battente che, d’altra parte, non scoraggiò i moltissimi torinesi che vollero assistere ad ogni fase dell’arrivo, del tragitto sino alla sistemazione delle capaci tribune per il pubblico.

In realtà non si era mai vista un’efficienza del genere, frutto di un’organizzazione senza pari, che sarà esibita successivamente ad Asti, Novara, Como, Milano, Udine e Trieste. La tournée era iniziata con lo sbarco a Marsiglia il 4 marzo e si sarebbe conclusa a maggio in Croazia.

La pubblicità arreda la città

Uno spettacolo di tali dimensioni doveva usufruire di pubblicità altrettanto ingombrante. Il Municipio concesse, in via straordinaria, l’utilizzo di enormi “steccati rèclame” in legno, lunghi sino a venti metri e alti tre, che diventavano quasi quattro perché sollevati di settanta centimetri dal suolo. Il fatto è che l’autorizzazione fu concessa per le più importanti piazze torinesi: piazza Emanuele Filiberto, piazza Statuto, piazza San Carlo, piazza Castello e piazza Vittorio Emanuele.

La pubblicità di Buffalo Bill a Rimini in una rara immagine posseduta dal “Buffalo Bill Museum and Grave”, Golden, Colorado (USA).
La pubblicità di Buffalo Bill a Rimini in una rara immagine posseduta dal “Buffalo Bill Museum and Grave”, Golden, Colorado (USA).

La circostanza non fu gradita da tutti, tanto più che l’installazione dell’invadente pubblicità ebbe inizio il 24 marzo, ossia con un mese di anticipo, deturpando per molto tempo l’estetica dei luoghi e ingombrando la circolazione. A proposito di organizzazione, basti pensare che dal 14 al 16 marzo il circo si era esibito a Genova, il 17 a La Spezia e dal 18 al 20 marzo a Livorno. L’ingente apparato pubblicitario precedeva ogni volta la troupe con largo anticipo secondo un piano d’azione impeccabile. Inoltre sgargianti manifesti di ogni dimensione erano stati affissi non solo in periferia ma persino per molti chilometri fuori città, in borgate e Comuni.

Merchandise e molto altro

In compenso gli spettacoli torinesi ebbero successo e sicuramente Buffalo Bill e il suo impresario incassarono molto più delle settecentosessanta lire che avevano dovuto sborsare alla cassa comunale di Torino per tasse varie, ivi compresa quella di indennizzo d’erba e ripristino del suolo.

Cartoline postali d’epoca dedicate a Buffalo Bill.

Gli incassi comprendevano anche semplici visite al campo nonché la vendita di un libretto di 80 pagine (a 50 centesimi), molto illustrato, redatto da John M. Burke in tutte le lingue (compreso l’italiano) in cui erano narrate le imprese storiche e circensi di Cody e di un numero incredibile di cartoline postali, oggetto ancora oggi di dispendioso collezionismo. D’altra parte il grande circo di Buffalo Bill, che era sorto nel lontano 1883, presentando man mano autentici e famosi capi tribù indiani e intrepidi personaggi femminili come Calamity Jane e Annie Oakley, aveva preso lezioni, per così dire, dalle esperienze circensi di Phineas Taylor Barnum, il fautore del più grande spettacolo del mondo.

Il successo genera imitazione

Aveva persino dovuto misurarsi con vari tentativi di imitazione, ad esempio da parte di Gordon William Lillie, in arte Pawnee Bill, che dopo aver lavorato come interprete presso una riserva di Pawnee, aveva persuaso quei pellirosse a partecipare alle rappresentazioni di Buffalo Bill, ma poi si era messo in proprio con uno spettacolo. I due Bill, peraltro, si decisero a formare uno spettacolo unico nel 1909, quando Buffalo Bill, anziano e in difficoltà economiche, si rese conto che l’unione fa la forza.

Poster dello spettacolo di Pawnee Bill.
Poster dello spettacolo di Pawnee Bill.

In quel 1906 i quotidiani torinesi ricordarono persino un falso Buffalo Bill che si era esibito proprio a Torino una decina di anni prima ingannando tutti. Secondo il socio di Buffalo Bill, John M. Burke, intervistato per La Gazzetta di Torino, quel millantatore era poi stato arrestato in Inghilterra per truffa.

Un oceano di carta

Buffalo Bill, soprannome di William Frederick Cody, nato nel 1846 e morto nel 1917, si era cucito addosso una leggenda imperitura a cominciare dal 1869 quando Edward Zane Carrol Judson, meglio noto come Ned Buntline, aveva iniziato a scrivere le sue imprese sulle pagine del New York Weekly, definendolo “il re degli uomini di frontiera” e usando molta fantasia.

Un giovane Buffalo Bill nel 1871.
Un giovane Buffalo Bill nel 1871.

Buntline aveva trovato così un lucroso filone narrativo e, con il consenso dell’interessato, aveva continuato a pubblicarne le avventure spacciate come autentiche, mentre dalla realtà era colto soltanto qualche spunto e talvolta neppure quello. Morto Buntline, le imprese di Cody sono state scritte da Prentiss Ingraham, cui sono seguiti o si sono affiancati numerosi narratori popolari, tra cui W. Bert Foster, William Wallace Cook, Robert Russell. Harry St. George Rathborne e molti altri. Lo stesso Cody aveva pubblicato nel 1888 un libro di memorie e poi molti racconti autobiografici con l’aiuto della sorella Helen, addetta alla punteggiatura e al rispetto della grammatica; molti si era limitato a firmarli.

A oggi le pagine fantasiose su Buffalo Bill formano un autentico oceano di carta, ampliato persino in Italia dopo l’esempio dato da Salgari. La parte più consistente di tali avventure fasulle riguarda appunto scontri e battaglie contro i pellirosse, ma poiché quelle avventure stampate si protrassero anche quando le tribù indiane erano praticamente sparite, gli autori dovettero trovare altri antagonisti: banditi, trafficanti, nichilisti, cinesi, maghi, e persino spettri e mostri.

Esempio di pubblicazione contenente le avventure immaginarie di Buffalo Bill.
Esempio di pubblicazione contenente le avventure immaginarie di Buffalo Bill.

Tra mito e realtà

Ciò non toglie che la vita di Cody annoveri numerosi e autentici periodi avventurosi. Il periodo del Pony Express, ad esempio (1860), quando divenne famoso per una corsa ininterrotta (con cambio di cavalli) di 450 chilometri in territori ad alto rischio; quello militare, iniziato nel 1864; quello di fornitore di carne per la Kansas Pacific, iniziata nel 1866: si parla di quasi 5.000 bisonti uccisi in un anno e mezzo, a scapito dei pellirosse e a vantaggio della inarrestabile conquista del West; oppure la campagna contro Geronimo svolta insieme a Wild Bill Hickok.

E poi il leggendario duello contro Mano Gialla, giovane capo Cheyenne che si trovò di fronte mentre era in servizio nel V Cavalleria. L’uccisione del guerriero, poi narrata secondo i più fantastici resoconti, gli fece assumere la patente di vendicatore di Custer. Peccato che secondo accreditate versioni fu uno scontro sleale da parte di Cody, che anziché accettare il duello all’arma bianca, sparò da lontano a Mano Gialla colpendolo al petto, poi raggiunse il corpo a terra, lo pugnalò al cuore e infine lo scotennò. Di sicuro c’è che Cody spedì lo scalpo a sua moglie Louisa a Rochester, come souvenir, e lei dopo aver aperto il pacco cadde a terra svenuta.

Illustrazione riferita al film del 1950 su Annie Oakley.
Illustrazione riferita al film del 1950 su Annie Oakley.

Trucchi del mestiere

D’altra parte anche lo spettacolo di Cody conteneva qualche forzatura. Un po’ eroe e un po’ imbonitore, Cody riversava nelle sue esibizioni quella mistura di realtà e di finzione dove è arduo capire dove l’una finisca per confluire nell’altra. E così gli spettatori — anche torinesi — che lo videro al galoppo colpire infallibilmente a colpi di fucile le palle di vetro che un pellerossa gettava in aria precedendolo, non potevano sapere che molti anni prima già Annie Oakley, al soldo di Buffalo Bill, si era esibita a quel modo con prodezze anche più sorprendenti. Lei colpiva persino dozzine di bersagli di vetro lanciati alle sue spalle guardando in uno specchio, ma nel 1994 si è scoperto che usava proiettili manipolati in modo che ad ogni sparo partivano in realtà trenta mini proiettili. In quel 1906 Cody aveva giusto sessant’anni e la vista non era più quella di un tempo, però non si è mai saputo e divulgato se usasse lo stesso stratagemma.

Sulla Gazzetta di Torino del 27 aprile 1906 il cronista di turno descrisse impietosamente l’eroe del West preda di un raffreddore, la sua “incipiente calvizie aureolata dai lunghi capelli bianchi spioventi sulle spalle” e il fatto che di notte si ritirasse nel suo comodo wagon-lit disertando la “sua brava tenda con tanto di bandiere sventolanti” che occupava di giorno.

Fine di una leggenda

L’indomabile cowboy, che tutti chiamavano “colonnello”, non faceva d’altronde mistero di volersi ritirare a vita privata. A Mario Corsi che lo intervistò per la Gazzetta del Popolo della Domenica assicurò che quella tournée sarebbe stata l’ultima, esclamando:

Sessant’anni di vita come la mia sono qualche cosa!
Processione al funerale di Cody, 1917, Denver, Colorado (USA).
Processione al funerale di Cody, 1917, Denver, Colorado (USA).

Nel 1906 lo intervistò a Milano anche il giornalista e scrittore amico di Gozzano Emilio Zanzi, che ha rievocato quel colloquio sulla torinese Adolescenza nel 1912, e anche in quell’occasione Cody aveva parlato di ritirarsi in una fattoria del Wyoming “per allevare i cavalli e i conigli”, ma parlò anche di contratti e impegni con i pellirosse e gli impresari vincolanti sino al 1912. In realtà l’avventura del Wild West si concluderà a Denver nel 1913 e risale al novembre 1916 l’ultima comparsa di Cody in un circo altrui, quando le forze lo abbandonarono provocando una caduta da cavallo al termine dello spettacolo. Morì l’anno successivo, il 10 gennaio.

La sua leggenda, migrata poi nei fumetti, al cinema e nei sontuosi spettacoli di Disneyland, non può che accendere nostalgie per un’epoca eroica, per il mito del Far West, anche se la realtà è spesso stata molto meno entusiasmante. D’altra parte è ancora famosa la frase di James Stewart nel film L’uomo che uccise Liberty Valance (1962) del grande John Ford:

Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda.

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Bibliografia

  • Albera M., Buffalo Bill nei prati della Crocetta, in Almanacco Piemontese 2006, Torino, Viglongo, 2005.
  • Biscàro A., Buffalo Bill è arrivato a Torino. Storie di piole, amore e selvaggio West, Torino, Neos Edizioni, 2010.
  • Corsi M., Buffalo Bill a Torino, in Gazzetta del Popolo della Domenica, 22 aprile 1906.
  • Pozzo F., Buffalo Bill eroe da romanzo popolare. Il primato italiano di Salgari, in Almanacco Piemontese 2006, Torino, Viglongo, 2005.
  • Zanzi E., Buffalo Bill si ritira a vita tranquilla, in Adolescenza, 1 agosto 1912.
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