Quando un cappello diventa leggenda

La storia della Borsalino S.p.A.

Matteo Migheli
Matteo Migheli

Docente di Economia politica ed Economia dello sviluppo presso l’Università di Torino, i suoi interessi di ricerca comprendono la microeconomia dello sviluppo nel Sudest asiatico, l’analisi sperimentale delle discriminazioni di genere in ambito economico e l’analisi dei sistemi elettorali.

  

I cappelli Borsalino sono oggi un’icona del Made in Italy di alta gamma; acquistare un panama Borsalino può costare fino a 1.300 euro, anche se, naturalmente, esistono versioni più abbordabili.

Da sarto a mastro cappellaio

Giuseppe Borsalino
Giuseppe Borsalino

Giuseppe Borsalino, il fondatore dell’omonima casa, nasce a Pecetto di Valenza nel 1834 da una famiglia, le cui condizioni economiche lo spingono a emigrare a Parigi in cerca di lavoro. È il 1850 e Giuseppe si impiega come apprendista sarto, ma la sua vera passione sono fin da subito i cappelli; ottiene infatti pochi anni dopo il diploma di mastro cappellaio, col quale, tornato in Italia, apre un primo laboratorio per la produzione di cappelli ad Alessandria a soli 23 anni; rimarrà alla guida dell’azienda da lui fondata per 43 anni, fino alla morte, nel 1900.

Viaggi e “spionaggio”

La storia ci dice che Giuseppe Borsalino abbia raffinato la propria arte di cappellaio visitando, nel corso della sua vita, i più famosi produttori e la leggenda aggiunge che, durante la visita alla casa di cappelli Battersby a Londra, egli abbia intinto di nascosto — forma artigianale di spionaggio industriale — il fazzoletto nella vasca di catramatura delle bombette, per riportare con sé in Italia il segreto della perfetta resistenza e forma di questo prodotto d’oltremanica.

Vetrina con cappelli Battersby, Waterford, 1924.
Vetrina con cappelli Battersby, Waterford, 1924.

Sempre la storia ci ricorda un viaggio di Giuseppe dall’Italia alla remota (allora più ancora di oggi) Nuova Zelanda, in compagnia dell’amico alpinista Mattia Zurbriggen. Questi voleva scalare il Monte Cook, Borsalino stringere accordi con gli allevatori locali di conigli, per acquistare la loro lana pregiata e molto meno cara di quella italiana. I due amici tornarono a casa soddisfatti: uno aveva raggiunto la vetta del Monte Cook, l’altro aveva in tasca contratti di fornitura che gli permettevano di abbattere i costi di produzione, senza rinunciare alla qualità. Grande artigiano, intelligente imprenditore e pioniere della globalizzazione, Giuseppe seppe raccogliere le sfide e le opportunità dei mercati internazionali, costruendo una catena del valore globale.

Di generazione in generazione

Giuseppe lascia al figlio Teresio un’impresa con oltre 1.000 dipendenti, che esporta metà della produzione nel resto del mondo. Al proprio erede, il fondatore impartisce un’istruzione severa, che spazia dalle lingue (studiate da Teresio anche nei Paesi in cui esse si parlano, come Svizzera, Regno Unito e Germania) ai fondamenti dell’arte dei cappellai e dell’amministrazione aziendale, appresi direttamente lavorando dapprima come operaio e poi come impiegato amministrativo nell’azienda di famiglia. Teresio dimostra di aver imparato bene le lezioni apprese e, sotto la sua direzione, la Borsalino si espande fino ad arrivare a una produzione di 2.000.000 di cappelli (metà dei quali esportati) all’alba dello scoppio della prima guerra mondiale. Questa e la successiva Grande Depressione avranno effetti negativi sia sui volumi prodotti sia sull’occupazione, ma l’azienda uscirà dai due conflitti mondiali e dalla grande crisi economica ancora vigorosa.

Un’icona di stile

Scorrendo l’elenco dei personaggi famosi che hanno indossato un Borsalino, viene da pensare che Teresio applicasse l’antica massima di Vespasiano, secondo cui pecunia non olet.

Locandina di “Borsalino and Co.” con Alain Delon.
Locandina di “Borsalino and Co.” con Alain Delon.

Tra i clienti del cappellaio alessandrino, troviamo infatti un santo, Giovanni XXIII, che da cardinale prima e da papa poi indossa copricapi Borsalino, ma anche uno dei più famosi criminali della storia, Al Capone, che l’iconografia ci consegna con un immancabile Borsalino in testa: un Borsalino accompagna così lo stereotipo del boss mafioso d’oltreoceano. Di certo non fu Teresio a voler vendere il cappello ad Al Capone, e fu quest’ultimo ad acquistare i propri copricapi nei negozi di New York. Ma in fondo, bene o male, purché se ne parli, diceva un altro illustre imprenditore piemontese, anch’egli appassionato dei cappelli Borsalino. La lista prosegue poi con personaggi che, a volte acerrimi nemici, hanno scritto, nel bene e nel male, la storia del mondo: Mussolini, Churchill, Edoardo VIII. Si tratta di personaggi a modo loro simili, nella cura della propria immagine e nella ricerca di accessori che li consegnassero all’iconografia storica in modo inconfondibile. Il cappello Borsalino diventa così quasi un simbolo agiografico, quasi un’aureola per personaggi che hanno cercato sulla Terra una gloria non sempre celeste.

Manifesti Borsalino storici.

Oltre i cappelli

Il nome della Borsalino e in particolare di Teresio non è legato solo ai cappelli. Filantropo, il figlio di Giuseppe regala alla città che gli diede i natali un acquedotto, un sanatorio e un ospizio, questi ultimi finanziati in parte con i profitti del primo.

Le “Borsaline” davanti allo stabilimento di Alessandria.
Le “Borsaline” davanti allo stabilimento di Alessandria.

Costruisce infrastrutture, come una centrale elettrica a servizio della fabbrica e finanzia il rifacimento e l’ammodernamento dell’impianto fognario della città di Alessandria; per queste sue opere e iniziative, viene nominato nel 1924 senatore a vita da Vittorio Emanuele III, nonostante la scarsa simpatia per il regime fascista, mai sfociata però in aperta opposizione. Vale infine la pena di ricordare la costruzione di un asilo infantile dentro lo stabilimento di corso Cento Cannoni ad Alessandria, a vantaggio delle dipendenti donne, che costituivano la maggior parte della forza lavoro della fabbrica; l’iniziativa era allora pioneristica e, purtroppo, in Italia lo è ancora oggi.

La dura legge della moda

Alla morte di Teresio, la Borsalino è ancora in espansione, ma la moda dei cappelli è giunta al tramonto: dagli Stati Uniti all’Italia il numero di cappelli venduti è in costante diminuzione. La figlia di Teresio, Giovanna, tenta di proteggere i lavoratori, senza ricorrere a licenziamenti e riduzioni della manodopera. Dovrà arrendersi anche lei al corso della storia e della moda e accettare di ridimensionare la fabbrica, spostandola, inoltre, dal centro di Alessandria a Spinetta Marengo. Lo storico edificio perde la sua ciminiera, ormai inutile e, onestamente anche brutta come brutte sono tutte le ciminiere, ma resiste alla trasformazione dei consumi e alla storia. Ospita oggi il Museo del Cappello Borsalino ed è una delle due sedi alessandrine dell’Università del Piemonte Orientale (chi scrive vi ha insegnato per cinque anni). Pur senza saperlo, Teresio aveva regalato un’altra opera alla sua città; ne sarebbe certamente fiero.

Palazzo Borsalino ad Alessandria, sede dell’Università del Piemonte Orientale.
Palazzo Borsalino, sede dell’Università del Piemonte Orientale.

L’ultimo capitolo della saga

Torniamo alla rivoluzione dei consumi: la produzione di massa, la nascita della nuova piccola borghesia e della grande classe operaia italiana del secondo dopoguerra male si sposano con la ricercatezza e l’esclusività dei cappelli Borsalino. Ma l’azienda sopravvive, cambia proprietà e viene acquistata dall’imprenditore astigiano Marco Marenco, che la rileva dagli ultimi discendenti dei Borsalino. Marenco conduce però l’azienda, che si è ridotta dai circa 2.000 dipendenti di quasi un secolo prima ad appena 130, alla bancarotta, lasciando un buco da oltre tre miliardi di euro. Nel 2015 si apre quello che al momento è l’ultimo capitolo della saga: l’imprenditore svizzero Philippe Camperio acquista i resti della Borsalino, salvandola dal fallimento. I primi risultati della gestione svizzera sembrano rassicuranti: vendite aumentate di oltre il 15% in un anno. Capi di Stato e attori avranno ancora un Borsalino che consegni la loro immagine ai posteri, protetta da un feltro del grande cappellaio alessandrino.

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Bibliografia

  • Amatori F., Entrepreneurial Typologies in the History of Industrial Italy (1880–1960) in Business History Review, Massachusetts, The President and Fellows of Harvard College, 54, 3, 1980, pp. 359–386.
  • Ballerino A., La storia nel cappello — Alessandria e il Museo Borsalino in Rassegna economica della provincia di Alessandria, Alessandria, Camera di Commercio di Alessandria, 3, 2006.
  • Bianchi C., Parabole aziendali e innovazione comunicativa. La storia del Cappellificio Borsalino in Ocula, Bologna, Associazione Ocula, 2014.
  • Castellani P., Rossato C., L’impresa storica come patrimonio culturale del territorio in Atti del XXVII Convegno annuale di Sinergie “Heritage, management e impresa: quali sinergie?” 9–10 luglio 2015, Campobasso, Università degli Studi del Molise, 2015.
  • Gambetta D., In the Beginning Was the World… the Symbols of the Mafia in European Journal of Sociology, Cambridge, Cambridge University Press, 32, 1, 1991, pp. 53–77.
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