La pittrice Matilde Izzia di Ricaldone, “la Matisse italiana”, come mi è capitato di definirla in diversi momenti pubblici, tra mostre e presentazioni di libri, è stata una straordinaria artista. Pittrice dal grandissimo talento, Matilde è tuttora sottovalutata nel panorama del Novecento artistico italiano, nonostante fosse stata apprezzata in vita dal collezionista d’arte Oscar Ghez (1905–1998), il fondatore del Musée du Petit Palais a Ginevra. Dopo la sua morte, nel 2013, le sono state dedicate due importanti mostre piemontesi, in provincia di Alessandria: una nel complesso monumentale di Santa Croce a Bosco Marengo, l’altra, curata da Cecilia Prete, — À rebours — nell’antico Castello della sua città natale, Casale Monferrato.
Delicatezza e chiarificazione cromatica sono le caratteristiche dei quadri di Matilde, che ha esposto per il pubblico un’ultima volta a Venezia negli anni Ottanta, per poi sparire nel suo buen retiro nel Monferrato, “Il Romito”, edificio eclettico, quasi luogo sacro: singolare miscuglio di Tudor, stile floreale fin de siècle e quattrocentesco toscano. La casa, infatti, appare dalla strada che congiunge Moleto con Olivola come una chiesa. È un edificio costruito nel 1966, come recita romanticamente una targa in marmo sulla parete occidentale dell’edificio: “Il Conte Aldo e la Contessa Matilde di Ricaldone costrussero nel giugno 1966”.
La vita della pittrice è strettamente legata alla figura dello storico Aldo di Ricaldone (1935–2002), che le dedicò, nel 1972, i due imponenti volumi (il primo di 685 pagine numerate, il secondo numerato da pagina 695 a pagina 1417) Annali del Monferrato (951–1708), il cui cofanetto è ornato da due suoi bellissimi disegni. Nelle prime pagine del libro, l’autore così si esprime: “A Matilde di Ricaldone, ispiratrice, amica preziosa nella stesura degli Annali”.
Non è possibile raccontare la storia di Matilde senza quella di Aldo, come ha dimostrato recentemente il grande racconto I tesori della valle di tufo, il volume tra memoria e ricordo di Mario Paluan, allievo della pittrice a Torino. La morte solitaria di Matilde ha sorpreso un po’ tutti. Lei appariva come una titanica signora dell’arte, indistruttibile. Invece era fragile. Aveva sposato l’uomo della sua vita, Aldo, ma non era riuscita ad avere figli. Abortì due volte, perdendo ogni fiducia nell’avvenire. Morto Aldo, lei si spense e si allontanò da tutti. Senza eredi diretti, i tesori della coppia furono dispersi: gli amici si divisero quello che rimaneva della magnifica casa: libri soprattutto e molte opere pittoriche di Matilde (che già generosamente, negli anni, aveva affidato alle cure di pochi).
Chi scrive è molto legato alla figura di Matilde e a quella di suo marito Aldo, per una sorta di atavismo monferrino. Da bambino li frequentavo, facendo visita a “Il Romito”. Ho tuttora un’immagine indimenticabile della coppia, stravagante, gentile, adorabile.
Nell’Introduzione al libro di Paluan ho raccontato tutto questo, nominando comme il faut anche il loro vicino, Pit Piccinelli, in una serie di piccoli quadretti della memoria. Ora, quando posso, quasi sempre appena ritorno in Monferrato da Parigi, vado a contemplare “Il Romito”, oggi in vendita. Non ci posso credere! L’interno è vuoto. Rimane l’anima della casa e alle pareti gli affreschi che la coppia dedicò alla storia del Monferrato.
Colori accesi, quasi accecanti quando filtra la luce del pomeriggio. Accanto a un grande camino c’è il grande dipinto di Matilde: lo sposalizio fra Argentina Spinola, tra le ancelle, e Teodoro I Paleologo, a cavallo. Teodoro I, nacque a Costantinopoli nel 1290. Era figlio dell’imperatore bizantino Andronico II e di Violante di Monferrato. Divenne marchese di Monferrato alla morte senza eredi del marchese Giovanni, ultimo degli Aleramici e fratello della madre Violante, che lo elesse chiaramente come unico erede nel suo testamento.
Il grande dipinto di Matilde Izzia accanto al camino, raffigurante lo sposalizio fra Argentina Spinola e Teodoro I Paleologo.
La scena, ambientata sulle alture della rada di Genova, mostra gli sposi, i paggi, le ancelle. Teodoro è venuto a prendere parte alla lotta per la successione al marchesato del Monferrato. Lui, morto a Trino il 21 aprile 1338, e la novella sposa, figlia del Signore della città, Opicino Spinola, sono le sole figure rimaste a occupare la scena di questa incredibile casa, dove le memorie di Matilde e Aldo sono scomparse per sempre, forse…
E pensare che la dimora della coppia potrebbe far parte di un bellissimo itinerario turistico sulla storia gloriosa del Monferrato, bel suol d’Aleramo, celebrato da poeti e trovatori. A pochi chilometri da “Il Romito” c’è il Sacro Monte di Crea con il suo splendido Santuario mariano, dove continua la storia gloriosa iniziata con Teodoro I del Monferrato: lì, dipinti nel Quattrocento, ci sono Guglielmo VIII del Monferrato, sua moglie Bernarda di Brosse, le figlie, Giovanna e Bianca.
Qualcuno ha incendiato i portoni di legno dell’ingresso a oriente della casa; ora, da quel versante, i muri sono completamente anneriti. Nonostante lo sfregio, resta la magia del luogo, dall’aspetto sereno, colmo di presenze e memoria. Lì, sul “brich” della collina monferrina, si sono trovati i personaggi più interessanti, da Sua Altezza Reale il principe Vittorio Emanuele di Savoia all’attrice Elke Sommer. Davanti all’enorme bocca del suo camino, per conversare o condividere emozioni o soltanto un bicchiere di grignolino o un tè al gelsomino, si sono avvicendati spregiudicati avventurieri e uomini di fede, studiosi del Monferrato e sognatori, poetesse e giovani artisti.
Dalla casa è possibile contemplare tutto il Monferrato e vedere le Alpi bianche sul tramonto rosa, spesso rosso fuoco d’inverno. Io torno tra quelle colline per malinconia; vorrei tanto far rivivere quella casa, ma sono impotente. Quando Matilde morì non conoscevo ancora Mario Paluan, il quale ha raccontato gli ultimi tormenti dell’artista e quelli della casa, decaduta lentamente con la scomparsa dei proprietari, ma già “malata” con essi negli ultimi tristi anni della coppia, quando i cagnolini che ti salutavano festosamente all’arrivo nella casa, lasciarono spazio a un gattone guercio, che compariva solitario, ammonizione a non disturbare l’ultima quiete. Davvero, non riesco a trovare la pace difronte a questa ingiustissima sorte capitata a due amici, Matilde e Aldo, generosi con tutti quelli che hanno incontrato nella loro vita.
La vita illuse più di una volta la coppia. Loro, amanti dell’arte e della storia, lambirono spesso il grande successo, l’ampio riconoscimento pubblico. La vita fu, invece, atroce nei loro confronti.
Spesso al tramonto, dopo aver fatto visita alla casa dei Ricaldone, io svolto in una via di campagna e vado a bere un sorso di “Malaga”. Una volta c’era il Giovanni ad averne una cantina piena. Ah, il Giovanni, un agricoltore che viveva in una cascina dirimpetto al Romito e che tagliava l’erba del giardino. Ora rimane qualche vecchio signore di Moleto, come il Mario. Quanti bicchieri avrò bevuto nella solitudine delle colline monferrine? Tanti, seduto a un tavolo di cucina con il bicchiere sempre colmo fra le mani, lasciando beatamente quel nettare meraviglioso invadere la bocca, lasciando vagare la mente. Perché di Matilde ho questa immagine felice: lei, bellissima ed elegante nella sua semplicità, con un bicchiere di “Malaga”, sempre pieno, seduta fuori casa, mentre accarezza uno dei due cagnolini.
I dipinti di Matilde quanti sono? Quanti sono in collezioni private? Personalmente nelle ultime due mostre dedicate all’artista ho contato circa duecento opere su tela. A questi lavori vanno aggiunti, credo, un altro centinaio di opere collezionate da privati.
Tra i più belli, questo almeno il mio modesto parere, una tela del 1974 che rappresenta il cane di Matilde, il foxterrier Gingin con una biscia in bocca (cm. 110 x 120), l’unico quadro che ricordo sempre esposto a “Il Romito”, mentre gli altri erano tutti accatastati alle pareti della casa. Intensi i profili fatti ad amici o semplici conoscenti. Per colori e bellezza, il mio preferito è il ritratto di Concetta, del 1978 (cm. 60 x 90).
Matilde era nata il 10 febbraio 1931 a Casale Monferrato. Vivrà parte della sua vita a Torino, in Via Sineo 6, e gli ultimi trent’anni in una casa speciale sulle colline del Monferrato, il già ricordato “Il Romito”. Le notizie sulla sua famiglia e sulla sua attività d’artista le troviamo nel volume scritto da Aldo di Ricaldone nel 1983, Matilde Izzia di Ricaldone, arricchito da 56 immagini dei lavori dell’artista.
La famiglia di Matilde era originaria di Vittoria, in provincia di Ragusa, dove il padre di Matilde, Francesco Emanuele, frequentò la scuola d’arte di Vittoria. A lui e all’avo suo Giuseppe Izzia risale la passione di Matilde per il disegno e la pittura. Da parte materna, l’amore per le arti figurative è costante. Aldo osserva:
Francesco Emanuele Izzia si unisce in matrimonio con Caterina Elisabetta Grillo, la cui ava Giovanna Maria Barberis (n. Ottiglio Monferrato 30 maggio 1829) sposa di Giovanni Grillo (n. ivi 28 dicembre 1824) era di famiglia già presente in loco nel 1475, che nutre vivo interesse per le arti, manifestando nella varie generazioni miniaturiste ed acquarelliste di vaglia. Tale unione potenzia la vena pittorica concretizzatasi in forma ben marcata in Matilde Izzia, come dimostrerà ampiamente la sua produzione artistica.
All’età di tredici anni, Matilde dipinge già a olio.
Terminate le scuole medie, Matilde si trasferisce a Torino, dove si diploma al Liceo Artistico dell’Accademia Albertina, avendo come maestro Francesco Menzio; frequenta poi il corso libero di disegno applicato alle scienze naturali diretto da Ubaldo Tosco, che in seguito le commissionerà disegni di antropologia in chiaroscuro per l’Enciclopedia di Scienze Naturali dell’Istituto Geografico De Agostini. Nel 1950 viene scelta dalla storica dell’arte Noemi Gabrielli, Sovrintendente alle Gallerie del Piemonte, come sua collaboratrice per organizzare l’esposizione del Congresso Eucaristico a Palazzo Chiablese.
Nel frattempo, Matilde apre il proprio studio e si dedica all’insegnamento del disegno nelle scuole medie e poi nei licei e negli istituti magistrali, dando inizio a un percorso artistico che parte sulla scia dei “Sei pittori di Torino”. Artista precoce e donna assai bella, Matilde posa a Torino per lo scultore Guido Capra, allievo di Leonardo Bistolfi. Matilde, però, si distacca presto dall’ambiente artistico, come spiega Aldo: “per ulteriori indagini, indispensabili alla propria formazione artistica”. Dopo mostre personali e collettive in Italia e all’estero si ritira ne “Il Romito”.
Lì, oltre a dipingere, scrive tre libri: La casa di tufo, singolare spaccato di vita del Sessantotto torinese, L’ostacolo, raccolta di novelle di fantascienza, e Tutto può essere, il volume dedicato alla vita nel Monferrato e alla sua storia millenaria, dove compaiono esperienze di vita paranormale. Il marito ricorda anche dei lavori giovanili: il romanzo L’esilio e la raccolta di novelle Un mattino (chi scrive non ne ha trovato traccia).
Aldo di Ricaldone ha suddiviso la vita artistica di Matilde in tre grandi cicli. Il primo si svolge tra il 1950 e il 1960. Matilde studia le tecniche antiche e fa ricerche coloristiche delle scuole piemontesi e lombarde del primo Novecento. Il secondo si svolge tra il 1960 e il 1970. Matilde si concentra sui “risultati post-impressionisti ed espressionisti”. Il terzo e ultimo periodo si svolge tra il 1970 e il 1982. Matilde diventa una pittrice dal segno astratto espressionistico.
Tra le prime esposizioni di Matilde è importante quella torinese del 1968, alla Galleria d’Arte Fogliato, la prima personale di 56 tele. Nel 1970, la pittrice, su proposta del barone Bernard Taubert-Natta, espone a una personale, con 33 tele, presso la prestigiosa Galerie Motte di Ginevra. A Torino, nel marzo 1971, Matilde propone la sua terza personale, con 21 tele e 27 disegni a tempera, carboncino, china, pastelli, alla Galleria Hilton. Noemi Gabrielli, dopo aver visitato la mostra, scrive:
è dotata di sensibilità raffinata e di eccezionale intelligenza, qualità che già spiccavano negli anni in cui era una delle migliori, fra gli alunni che frequentavano il Liceo Artistico torinese. La sua personalità si manifesta con maggiore vigore quando è a contatto con la natura, nei suggestivi orizzonti dei suoi paesaggi. La pennellata fluida, l’intonazione calda, la composizione bene equilibrata danno alla sua pittura un senso di poesia tutta particolare. Nei dipinti di Matilde Izzia si riflettono la serietà, la scrupolosità e l’entusiasmo con i quali la pittrice lavora e che la porteranno a sempre maggiori affermazioni.
Due dipinti di Matilde Izzia: “Colombe sul terrazzo”, olio su tela, 1977 e “Donna con anello”, olio su tela, 1978.
Alla fine del 1971, Matilde è ospite durante un periodo di convalescenza alla tenuta “Il Greppo” di Moncalvo, dove farà un ritratto del conte Carlo Grillo, l’indimenticabile Poli del romanzo di Cesare Pavese, Il diavolo sulle colline.
Che accadde infine a Matilde? Invece di raggiungere il successo che si meritava, quello di una grande artista del Novecento, la pittrice si ritirò in un andito poco noto del Monferrato (almeno così era negli anni in cui visse lei). Matilde aveva l’incubo dei grandi viaggi. Forse amava troppo se stessa: le colline dolci del Monferrato, le acque del Po sono per l’artista come lo specchio d’acqua in cui si contemplava Narciso. La nostra Matilde è come un eroe antico che non seppe salire sulle navi che gli offriva il destino. A mare aperto e in altri continenti — negli sguardi di altra gente, nel cuore di qualcun altro — Matilde avrebbe trovato magari molte cose interessantissime, ma avrebbe dovuto rinunciare a quelle infinite sfumature di tenerezza che provava a casa sua, nella loro cornice consueta: le abitudini, Aldo, gli amici…
Con il marito, la pittrice aveva trovato una sicura “tana” tra le colline del Monferrato, al riparo dalla esponenziale proliferazione della bêtise umana, di cui Matilde e Aldo provavano orrore. Probabilmente Matilde era la profetessa di una nuova era. Nel 1993 concludeva il suo volume Tutto può essere con queste parole:
Non voglio cadere in un nero pessimismo per il grave problema ecologico creato dall’uomo, augurandomi che qualcosa di decisivo venga messo in azione per bloccare lo sfacelo. Visto poi che la maggior parte dell’umanità è refrattaria a qualsiasi stimolo di miglioramento, e presa in considerazione l’ipotesi, avanzata già da molti, che tutto l’Universo non potrebbe che essere un continuo emergere di creatività, spero allora che rimanga in azione l’inflessibile selezione, apparsa fin dall’inizio, che permetta soltanto agli idonei di essere gli artefici della futura alchimia creativa. Per adesso la vera finalità ci sfugge, ma, considerate le difficoltà, i sacrifici, le sofferenze richieste a tutte le creature del pianeta, sono convinta che si tratti di una “grande, luminosa, finalità”. Il cammino è ancora lungo, ma questo non importa. Se i fenomeni paranormali possono rafforzare la Fede in una coscienza già devota, possono indurre, cosa senz’altro molto più importante, chi vive alla superficie della vita, a una meditazione profonda e costruttiva per una realtà di domani, sorprendentemente molto, ma molto più valida. Che ci rimane allora da fare? Renderci migliori! Sveltire e non bloccare, per quanto ci è possibile, questo processo di conquista cui tende fin dall’inizio la Creazione.