Una delle figure più affascinanti del Settecento è stata quella dell’aristocratico piemontese Tommaso Ottavio Maria Mossi di Morano (1747–1802), quinto marchese del Torrione.
Nessuno lo ricorda per ciò che ha fatto: collezionare opere d’arte, inventare giardini e villaggi “utopici”. Un vero peccato!
Proviamo a farlo noi, ricordando che se la Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Torino è nata con un cospicuo e ricco tesoro di quadri fiamminghi, dipinti veneti del Settecento e alcuni capolavori di artisti italiani, lo si deve al collezionismo del Marchese del Torrione. Inoltre, se a Casale Monferrato esiste uno dei più bei teatri del Piemonte lo si deve a lui, che volle l’architetto Agostino Vitoli. Se oggi possiamo ammirare in un territorio di risaie, delle realizzazioni raffinate del Settecento, come peschiere e tempietti palladiani, lo dobbiamo alla sua generosa inventiva.
Viaggiatore, gran curioso e uomo di talento, finì i suoi giorni terreni completamente pazzo, in uno dei suoi possedimenti in Monferrato, più precisamente nel castello di Lu, ereditato dalla madre, la contessa Barbara Giovanna Anguissola (figlia del conte Francesco, facente parte della nobiltà parmense). Nel castello, il Marchese si fece costruire un accampamento permanente, rappresentante il campo del Principe Eugenio e di Malborough. Morì nel giorno del suo genetliaco, il 19 settembre 1802. La sua vita fu magnifica e illustrata da un concetto di virtù tipicamente settecentesca, condivisa dalla nobiltà colta europea; tuttavia, la sua opera rispecchia il carattere tragico tipico di quel mondo che nell’Italia settentrionale tramontò con la nascita del moderno.
Se la memoria del Marchese del Torrione non è finita in un buio andito della Storia, lo si deve all’impegno di alcuni laureandi (Paola Basso, Massimo Pelisseri, Raffaella Rolfo, Luca Scattolini, Domenico Taliano, Marco Torchio) della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, che negli anni Novanta hanno dedicato le loro tesi allo studio delle costruzioni volute da Tommaso Ottavio Maria Mossi di Morano.
Il Marchese non era nato pazzo, anzi. Giovane di talento, fece una brillante carriera ed ebbe prestigiosi incarichi. Uno zio descrive così il giovanissimo Marchese:
Risulterà che è un signore molto intraprendente, amante di opere grandiose, geniale per la campagna, inclinato ad occuparsi, ed a dare da mangiare alli operai, caritatevole verso li poveri, ed accurato per i suoi interessi. Egli nella sua padronanza ha date disposizioni in ogni genere, ha fabbricato, ha fatto qualche acquisto di convenienza, ha speso molto in campagna, singolarmente in strade allee e piantamenti e lascerà certamente di sé memoria maggiore di quanto possano avere sperato li suoi antenati, in ordine alle intraprese, aggiungendo ad un tempo, che fu viaggiatore, che ha scorsa tutta l’Italia, la Francia, l’Olanda, ed i Paesi Bassi, e l’Inghilterra con essersi fermato due anni continui a Londra.
Nato il 19 settembre 1747, Tommaso Ottavio Maria Mossi si ritrovò a soli dodici anni erede universale di un patrimonio enorme che gli servì per inaugurare un lungo periodo di interventi mirati alla sistemazione fondiaria. I suoi progetti furono minati, come vedremo, dall’entrata dei francesi, dopo la Rivoluzione. Prima di quel periodo, grazie alle sue peregrinazioni e ricerche fece abbellire la città di Casale Monferrato, alla fine del Settecento, trovando e imponendo l’architetto Agostino Vitoli per la costruzione del magnifico teatro che si può tuttora ammirare.
Esterno e interno del Teatro di Casale Monferrato.
Il fratello del Marchese, Vincenzo Marco Maria fu nominato suo erede universale nel testamento redatto cinque giorni prima della morte. Grazie al lascito da parte di Vincenzo di 212 dipinti (in gran parte collezionati da Tommaso nei suoi viaggi) nacque la Pinacoteca dell’Accademia Albertina. Vincenzo era arcivescovo e persona molto vicina alla corte dei Savoia. Dopo la Restaurazione, Re Carlo Felice lo nominava Cancelliere dell’Ordine supremo della Santissima Annunziata, del cui ambito collare erano stati insigniti due suoi zii, l’abate Ottavio e il Luogotenente Generale Carlo, non solo per i loro meriti personali, ma per l’antichità e nobiltà della Famiglia Mossi.
L’arcivescovo Mossi, il 18 ottobre 1825, comunicava al Conte Roget de Cholex, ministro degli Interni, il progetto, già espostogli tempo prima, di far nascere "une Ecole publique de dessin et de peinture". Infatti la sua quadreria (in parte giuntagli dall’eredità del fratello marchese Tommaso), la offrì al Re Carlo Felice, il quale, per mancanza di spazio presso la Regia Accademia di Belle Arti, la ospitò nelle sale dell’Accademia Reale del Seicento. Prima di essere collocate nella pinacoteca in spazi adeguati, le opere della collezione Mossi furono ospitate dal maggio 1829 all’estate del 1837 a Palazzo Madama.
La collezione Mossi è formata da quadri magnifici, come le tavole laterali del Trittico di Filippo Lippi, L’adorazione del bambino di Defendente Ferrari, Dopo la battaglia di Cornelis de Wael, Andromeda legata a uno scoglio di Adam Willaerts e Il Giudizio universale di Maartin Heemskerck.
Nel testamento dell’arcivescovo, redatto il 9 giugno 1826, l’erede universale diventò il cugino da parte di madre Lodovico Andrea Pallavicino di Parma, terzogenito del marchese Filippo e Dorotea Magnani, il quale aggiunse al suo cognome quello dei Mossi.
Ma ritorniamo al gran Marchese, viaggiatore del Settecento. Tommaso fece il suo gran tour e riportò in Italia idee per abbellire e modernizzare le sue tante tenute, in particolare quelle dell’antico e vasto feudo, ora nel territorio tra Costanzana e Trino Vercellese (Robella, Torrione, Saletta, Faletta), ottenuto l’11 febbraio 1652 dall’avo suo Giovanni Tommaso Mossi, fino ad allora di proprietà del duca Giovanni Maria Spinola.
Il Marchese, di ritorno da un viaggio in Inghilterra, scriverà questi versi (ora conservati alla Biblioteca Reale di Torino nel Fondo Mossi Pallavicini):
La, che i povar me Parent
M’an lasà un gros teniment
Cha je andat pù d’un età
A podeilo ancorporà
E mè l’è apont Torrion, Saletta
La Robella, e la Falletta
Jo pensà, ch’l’era d’ben giust
D’fai na fabrica d’bon gust:
né spò di, che sbatta via
tanti dnè par bizaria,
o ch’volis par ambizion
una ca’ dà gran Signoron,
perché à dirla con vrità
l’è l’amor che m’ha animà;
ma l’amor di me posses,
cha m’impegna d’staj apres,
an sperand sicurament
ch’impegnrà i me discendent
à nen fami cost gran tort
d’trascuraij dop me mort.
Chi scrive da anni ne segue le tracce e, nei momenti di malinconia, prova un gran piacere nel camminare tra le sue antiche tenute, per uno strano sortilegio abbandonate da secoli e morbosamente inquietanti. I molti progetti utopistici del Marchese del Torrione sono il tentativo di veder concretizzato l’ideale espansionistico e il prestigio della famiglia. Ora, quei progetti, appaiono allo storico come delle preziose gemme, ma rimangono, come è successo nel territorio tra Morano Po e Saletta, una lirica eco di una presenza nobile, tragicamente scomparsa prima di realizzare le sue volontà. Per questo motivo porrò l’attenzione su alcuni edifici e sistemazioni territoriali realizzate dal Marchese.
Arrivando nel piccolo borgo di Torrione (già dipendente dal comune di Trino, ora compreso nel territorio di Costanzana in provincia di Vercelli), percorrendo la strada fitta di curve che parte dal paese di Morano Po, si resta impressionati dalla sontuosità del palazzo dei Mossi (ora Pallavicino-Mossi). Sopra il portone dell’edificio, così come nel cascinale antico che chiude la fine del paese, campeggia lo stemma familiare.
Lo stemma dei Mossi di Morano rappresenta, su fondo d’oro, un drago linguato ed unghiato di rosso, coronato di nero, posizionato su un monte argentato a tre cime, il tutto contornato di verde. Nonostante la frammentarietà delle notizie riguardanti la più remota antichità del casato, dai documenti esistenti nell’archivio di famiglia, conservati presso l’Archivio storico e la Biblioteca Reale di Torino, nonché l’Archivio di Stato di Vercelli e l’Archivio Storico di Casale Monferrato, si rileva che i Mossi erano già patrizi e decurioni fin nei primi anni del XIII secolo.
Al Torrione, i tre edifici principali — la Chiesa Parrocchiale dedicata alla Natività della Beata Vergine, la cappella dei Santi Rocco e Sebastiano e il Palazzo signorile — testimoniano il “tocco” raffinato del marchese, che realizzerà accanto al castello del Torrione (un castello molto antico, di cui sono visibili solo le rovine, ma è in virtù di quell’antico castello che si formò il borgo) una elegantissima peschiera rotonda (ora coperta dalla vegetazione, ma ben visibile), il cui primo progetto fu disegnato nel 1776.
Proseguendo la strada verso nord, lasciando alle nostre spalle il borgo “fantasma” del Torrione, si arriva dopo un paio di chilometri a Saletta. Altro borgo “fantasma” in cui spiccano due magnifiche realizzazioni del Marchese (ora completamente rovinate dal tempo e dall’incuria, e forse per questa ragione sublimi nella loro tragica decadenza): la Chiesa e il Tempietto campestre di San Sebastiano, disegnati da Agostino Vitoli nel 1785. La loro probabile conclusione avvenne nell’estate del 1788. Ricaviamo la notizia da una ricevuta del pittore Guglielmo Levera, dipendente del Marchese:
A S. Sebastiano tempio rotondo di ordine dorico con dodici colonne elevato con gran basamento e scale per ascendervi, cornicione con mensole il tutto quanto dipinto a finto ozan veneto reso dal naturale […] interno di d.o tempio dipinto la volta a finto cielo degradato […] architrave di finto marmo giallo […] altare dipinto a finto marmo verde.
La Chiesa parrocchiale, il tempio di San Sebastiano a Saletta, così come la peschiera rotonda del Torrione, colpiscono per la loro classica bellezza. La Chiesa di Saletta stupisce per la sua grandezza e per la presenza dei bucrani sulle colonne d’ingresso. La facciata, infatti, è in ordine dorico gigante. Il tempietto, che si raggiunge da una strada sterrata accanto alla Chiesa è un luogo di grande fascino. Ancora agli inizi degli Anni Novanta c’erano i secolari castagni voluti dal marchese. Ora solo le risaie proteggono la mistica testimonianza di un revival palladiano in terra piemontese.
Il Marchese aveva visto questo ritorno al Palladio nel suo lungo viaggio in Inghilterra e lo impose nei suoi territori. La grande competenza inglese nell’arte dei giardini fu per il marchese Tommaso Ottavio Maria Mossi un forte stimolo. Gli incarichi architettonici assunti da Agostino Vitoli prevedono un piano radicale di trasformazione del territorio tra Saletta e Torrione, iniziato dal Marchese con i “raggi” stradali realizzati dall’architetto Bernardi. Il Marchese desiderava realizzare un villaggio agricolo utopico, che dimostra una grandiosità di concezione, ma che ha evidenti corrispondenze con le volontà riformistiche della fine del Settecento.
L’ingresso dei francesi in Piemonte, avvenuto nell’anno settimo repubblicano con la deposizione di Carlo Emanuele IV, l’8 dicembre 1798, portò sconvolgimenti nell’apparato governativo e nel tessuto sociale dello Stato Sabaudo, in quanto la nuova amministrazione francese impose gravi oneri economici a tutte le proprietà colpendo, in modo particolare, i possedimenti nobiliari. I progetti del Marchese del Torrione furono minati dall’entrata dei francesi nei suoi territori: le dure quotazioni lo costrinsero ad affittare i possedimenti che da qualche anno serbava in economia e i due centri che erano il cuore dei suoi interventi — Torrione e Saletta –, divenuti parte del comune di Trino, furono causa di carichi fiscali inauditi. Il Marchese decise di non combattere i rivoluzionari su quel campo, incapace di seguire la nascita della modernità (in cui furono abili altri nobili piemontesi), rappresentata anche da radicali cambiamenti negli assetti economici della società. Quando muore il Marchese, nel settembre 1802, il Piemonte è annesso alla Francia. Finisce un’epoca.