La spedizione, come era stata ideata, aveva per compito principale la marcia sui ghiacci dell’Oceano Artico, perciò si doveva particolarmente pensare alla scelta delle persone ad essa destinate. Occorreva fra queste avere intelligenti di astronomia nautica, per far uso degli strumenti e dei calcoli per ritrovare la terra. Inoltre, in occasioni difficili era necessario che queste persone avessero l’autorità che solo possiede chi è abituato a comandare. Coloro che potevano meglio riunire queste due qualità erano certamente gli ufficiali della Regia Marina, ed a loro mi rivolsi col gentile consenso del Regio Governo. Il secondo della spedizione era già stato scelto, sin dall’estate del 1898, nella persona del capitano di corvetta Umberto Cagni. Egli volle incaricarsi delle osservazioni scientifiche.
(Luigi Amedeo di Savoia — Aosta, "La Stella Polare nel mare Artico")
Nato ad Asti il 26 Febbraio 1863, Umberto Cagni fu un altro dei tanti piemontesi affascinati dal mare tra il XIX ed il XX secolo. O forse il fascino delle onde ebbe poco a che vedere con la carriera militare di Cagni, che a 14 anni venne iscritto dal padre Manfredi Cagni, generale nell’esercito sabaudo, all’Accademia Navale di Napoli.
Non gli venne lasciata molta scelta.
Da guardiamarina, Cagni partecipò a due giri del mondo, uno della durata di tre anni sulla pirocorvetta "Vettor Pisani", e successivamente sulla "Cristoforo Colombo". Entrambi i vascelli svolgevano funzioni di nave scuola, ed erano al contempo impegnati nella raccolta di dati di natura scientifica e geografica.
Sulla "Cristoforo Colombo" era pure imbarcato il Duca degli Abruzzi, Luigi Amedeo di Savoia — Aosta, impegnato nella sua prima circumnavigazione del globo.
Nel 1893 Cagni divenne aiutante di campo del Duca degli Abruzzi, col quale strinse amicizia e che non tardò a coinvolgerlo nelle proprie imprese — il Duca e Cagni, insieme con un terzo ufficiale della "Cristoforo Colombo", Filippo de Filippi, durante una licenza a terra, attraversarono l’India fino alle pendici dell’Himalaya.
Durante la crociera della "Cristoforo Colombo", il Duca, appassionato alpinista, aveva saputo dell’esistenza in Alaska del Monte Saint Elias, una vetta fino ad allora inviolata. Organizzò quindi una spedizione coinvolgendo nuovamente Cagni e De Filippi, e il primo agosto del 1897, la bandiera italiana venne piantata sulla cima del Saint Elias.
Era solo l’inizio.
Nel 1899, Cagni venne nuovamente coinvolto in una spedizione voluta dal Duca degli Abruzzi. La grande epoca delle esplorazioni stava volgendo al termine, e solo i poli restavano a stimolare la fantasia di viaggiatori ed avventurieri. A bordo di una baleniera norvegese ribattezzata “Stella Polare”, il Duca e Cagni, insieme ad una ventina di marinai italiani e norvegesi, lasciarono il porto di quella che oggi è Oslo alla volta del Polo Nord. Durante una sosta nelle estreme propaggini settentrionali del territorio russo, la spedizione acquistò un centinaio di cani da slitta.
La spedizione svernò nella baia di Teplitz sull’isola di Rudolf, nell’arcipelago Francesco Giuseppe. Sebbene la baia fosse stata scelta perché protetta dal vento e dai rigori del clima, la "Stella Polare" rimase incastrata nei ghiacci, e subì una falla. L’equipaggio dovette trasferirsi a terra in un accampamento di fortuna, dove il Duca degli Abruzzi soffrì di un caso di congelamento che comportò l’amputazione di due falangi.
Impossibilitato a proseguire, Luigi Amedeo affidò la missione di raggiungere il polo a Cagni, che l’11 marzo del 1900, in compagnia del marinaio Canepa e di due guide valdostane (Potigax e Fenoillet), iniziò la marcia verso nord.
Due precedenti squadre avevano aperto la pista — perdendo tre uomini nell’impresa. Cagni e i suoi compagni non arrivarono mai al Polo Nord. Ostacolati dal freddo e dalla neve, con un equipaggiamento inadeguato, tormentati dal congelamento delle estremità — la cui unica cura era l’amputazione — gli uomini della "Stella Polare" si fermarono alla latitudine 86° e 34' nord, a circa 380 chilometri dal polo, e decisero di rientrare.
Nessuno era mai stato più vicino al Polo Nord fino a quel momento.
Il ritorno fu, se possibile, ancora più drammatico. Abbandonato gran parte dell’equipaggiamento dopo dieci giorni di marcia, Cagni e i suoi uomini sopravvissero in una singola tenda insieme con gli ultimi dodici cani ancora vivi. Rientrarono a Teplitz il 23 giugno 1900, dodici giorni dopo essere stati dati ufficialmente per morti. Avevano coperto 1.400 chilometri a piedi in 104 giorni.
L’impresa venne celebrata dalla stampa internazionale, e sia Giovanni Pascoli che Gabriele d’Annunzio le dedicarono dei versi — quest’ultimo non mancò di menzionare “la volontà spietata e senza voce” di Cagni, ed il suo “sguardo come il taglio della piccozza”. C’è di peggio che il congelamento e la morte per assideramento.
Dopo questa impresa, il trentottenne Cagni decise probabilmente che il tempo delle avventure era passato. Tornò perciò al proprio servizio regolare come ufficiale della Regia Marina, e nel 1908 comandò le operazioni navali di soccorso in seguito al grande terremoto di Messina.
Tra il 1911 e il 1912, servì durante la campagna coloniale di Libia. Sbarcato a Tripoli, si distinse nel tenere la città fino all’arrivo dei rinforzi via terra. L’impresa lo riportò ancora una volta all’onore delle cronache, e gli valse una seconda dedica da parte di D’Annunzio, che incluse una Canzone di Umberto Cagni nel suo Merope del 1912. È da qui che deriva l’appellativo di Cagni come “eroe di due deserti” — quello artico e quello libico. Durante la Grande Guerra, Cagni comandò la sezione incrociatori della Marina Italiana.
Insignito del titolo di conte di Bu Meliana, presidente del Consiglio Superiore della Marina, Umberto Cagni lasciò il servizio nel 1923. Da tempo la rivalità dell’ammiraglio Paolo Thaon di Revel aveva interferito con la carriera di Cagni, e quando Thaon di Revel divenne ministro della Marina, Cagni, che non ne condivideva le idee politiche e le teorie espansionistiche, decise che era tempo di andarsene.
Amministrò per qualche anno il Consorzio del Porto di Genova e poi i Cantieri Navali Riuniti dell’Adriatico. Morì nel 1932 e venne sepolto ad Asti.