Virassul, erba brüsca e le altre. Quando la botanica parla piemontese

Appunti per una ricerca, tra botanica e toponomastica popolare

Specialista in Otorinolaringoiatria, ha dedicato molto del suo tempo libero agli studi linguistici del piemontese, in particolare il suo, quello delle Langhe.
Ha pubblicato un dizionario botanico e uno zoologico in latino, italiano, piemontese e una grammatica dell’Alta Langa.

  

La consuetudine che noi abbiamo nel denominare le entità che ci circondano, fa sì che ci dimentichiamo dell’ inesauribile fantasia, del buon senso e delle capacità di osservazione dei nostri antenati che, nel corso dei secoli, hanno saputo assegnare a cose, animali, piante e stati d’animo un nome preciso.

L’etimologia è la scienza che si occupa appunto di studiare la storia e l’origine delle parole, permettendoci di capire il cammino, sovente complesso, che ha compiuto un vocabolo per arrivare fino a noi. Un’idea delle straordinarie capacità di “nominare” dell’uomo ci può venire, ad esempio, dalla botanica con il suo vastissimo patrimonio di fitonimi (nomi di piante), in modo particolare quando lo si studia dal punto di vista delle lingue regionali, libere da schemi e norme prefissate. A questa regola non viene meno il piemontese, grazie alla curiosità, all’ironia, all’immaginazione e all’acuta capacità di osservazione della sua gente.

Le piante medicinali

Un tempo era essenziale identificare un’erba o una pianta in modo semplice e rapido, magari fornendo anche qualche informazione circa le proprietà positive o negative della medesima, un esempio su tutti è l’erba bun-a, l’erba buona (Salvia sclarea). Questa pianta è infatti conosciuta fin dall’antichità per le sue proprietà salutari e ciò ne spiega il suo nome, proveniente dal latino salvus, sano.

La salvia è “l’Erba bun-a”, l’edera il “Brassabosch”, “Virassul” indica il girasole. I nomi dati alle piante testimoniano l’acuta capacità di osservazione dei piemontesi.

I Galli, in particolare, ritenevano che la salvia avesse la capacità di guarire tutte le malattie e infatti viene anche indicata come bun-a a tüt. Altre piante denominate per le loro proprietà medicamentose sono l’erba dij taj, delle ferite (Achillea millefolium), già usata da Achille per curare le ferite di Telefo; l’erba dij purèt, delle verruche (Chelidonium majus), il cui lattice giallognolo è in grado di far guarire da queste fastidiose formazioni cutanee; l’erba dël camule, delle carie dei denti (Hyosciamus albus), il cui infuso è conosciuto sin dall’antichità per le sue proprietà antidolorifiche e narcotiche.

Achillea millefolium detta anche “erba dij taj” - Botanica piemontese
Achillea millefolium detta anche “erba dij taj”.

Noti alcune somiglianze?

L’osservazione del comportamento o di alcune caratteristiche delle piante ha condotto a nomi come brassabosch, abbraccia alberi, dato all’edera (Hedera helix); virassul, il girasole (Helianthus annuus); erba brüsca, acidula, il romice (Rumex acetosa); cua ‘d caval, coda di cavallo (Equisetum ramosissimun) le cui foglie assomigliano ai crini della coda del cavallo; urije ‘d feja, orecchie di pecora, la piantaggine (Plantago officinalis), per i romani le foglie assomigliavano alla pianta dei piedi, per i piemontesi alle orecchie di una pecora.

Il periodo di fioritura

Primula vulgaris (Pasquëtta) - Botanica piemontese
Primula vulgaris detta anche "Pasquëtta" (©Martino Ghisleni).

Molti altri nomi sono collegati al periodo di fioritura per cui troviamo la pasquëtta, il fiore di Pasqua, la primula (Primula vulgaris), l’erba ‘d San Pe, di San Pietro, erba amara balsamica (Balsamita major) e l’erba ‘d San Giuan, di San Giovanni, l’iperico (Hypericum sp.). Ma in quest’ultimo caso il legame tra questa pianta e San Giovanni Battista è dovuto, oltre al periodo di fioritura, anche al fatto che il santo viene considerato da alcuni come l’analogo cristiano del mago, del maestro conoscitore e dispensatore delle proprietà delle piante. La tradizione vuole che le piante raccolte nella notte della sua festa avessero maggior efficacia.

Dimmi dove cresci e ti dirò chi sei

Il luogo di crescita della pianta ha sovente aiutato nella scelta del suo nome e ne sono esempi l’erba dij puss, dei pozzi, il capelvenere (Adiantus capillus veneris), felce che cresce rigogliosa proprio sui muri umidi e ombrosi dei pozzi, rifuggendo invece la luce diretta del sole; l’erba dël ca o guardacà, erba delle case o di guardia alle case, il semprevivo (Sempervivum tectorum) che cresce sui vecchi tetti in pietra delle case e si credeva potesse proteggerle dai fulmini.

Adiantus capillus veneris detta “Erba dij puss” - Botanica piemontese
Adiantus capillus veneris detta anche “Erba dij puss”.

I giochi dei bambini

Alcune piante venivano usate dai bambini per i loro giochi e ne hanno preso il nome, rappresentative di questo sono il peru-peru, l’orzo selvatico (Hordeum murinum) che deriva dalla conosciuta filastrocca: “Peru peru munta sü, cala cala mai pi giü”, pronuciata mentre si faceva risalire lungo il braccio una sua spighetta matura; la bela dona o madona, la bella signora, il papavero (Papaver rhoeas) perché dispiegando in modo opportuno il fiore, ancora nel bocciolo, si può fabbricare una graziosa bambolina; lo s-ciupèt, schioppetto, la silene (Silene inflata), i fiori opportunamente chiusi ad una estremità tra indice e pollice, se schiacciati su una mano o sulla fronte, producono un caratteristico schiocco.

Papavero rhoeas detto
Papavero rhoeas detto "Bela dona" (©torange.biz).

Dal Portogallo all’Amazzonia

I nostri antenati hanno osservato anche la provenienza vera o presunta di alcune piante e dei relativi frutti producendo una serie di interessanti fitonimi come ad esempio purtigal, l’arancio, (Citrus sinensis), che pur originario della Cina fu importato in Europa dai Portoghesi che lo diffusero in tutto il Mediterraneo; fu invece Alessandro Magno che promosse la coltivazione dell’armugnan, l’albicocco (Prunus armeniaca) originario dell’Armenia; il darmassin, pruno damasceno (Prunus damascenum), arriverebbe da Damasco in Siria; originario della Persia sarebbe il persi, pesco (Prunus persica), mentre mandarin, mandarino (Citrus deliciosa), non può che indicarne una provenienza cinese.

Insieme al Portogallo anche la Spagna ha contribuito al nome di alcune piante, il gramun dë Spagna, sorgo selvatico (Sorgum halepense) e i più comuni spagnulèt, arachide (Arachis hypogea) e spagnulin, peperoncino (Capsicum longum), dove il nome potrebbe arrivare semplicemente dal luogo d’importazione oppure dalla somiglianza dei frutti alla spagnoletta, che non era altro che un tipo di sigaretta. Non si può dimenticare insieme a questi il gran sarrasin, il grano saraceno (Polygonum fagopyrum) che si credeva fosse arrivato qui durante le invasioni dei Saraceni stessi.

Capsicum longum detto anche “spagnulin” - Botanica piemontese
Capsicum longum detto anche “spagnulin”.

Tra i deonimi più curiosi possiamo annoverare quello di un conosciuto tubero autunnale, il tapinabò, il topinambour (Helianthus tuberosus) che ha mutuato il proprio nome da quello di un’antica tribù dell’Amazzonia, i Tupinamba; tuttavia la pianta a differenza del girasole (Helianthus annuus) è arrivata dal Nord America e precisamente dal Canada. Questa pianta dai bei fiori gialli, presenta altre diverse denominazioni popolari tra cui girasole del Canadà, patata di Spagna e carciofo di Gerusalemme.

Le piante “antropomorfe”

Caratteristici sono invece i nomi che si riferiscono alle “azioni” compiute da alcune piante, il lapassot, erba che beve alla pozza, la tossilaggine (Tussilago farfara) che cresce appunto in prossimità di sorgenti, corsi d’acqua e stagni, le cui foglie si piegano a lambire l’acqua; lo s-ciapa pere, spacca pietre, la salvastrella (Sanguisorba minor muricata) che cresce nelle fessure delle pietre e dei massi, tanto che pare spaccarli; s-cianca beu, sfianca buoi, il poligono (Polygonum avicolare) che ha radici così profonde e fitte che i buoi riescono a strapparle solo con grande sforzo; aggiungerei anche il punzarat, pungitopo (Ruscus hypoglossum) che non ha bisogno di commento.

Ad ognuno il suo predatore

Gli animali hanno scelto alcune piante, tuberi o frutti come loro cibo preferito suggerendone il nome all’osservatore, come ad esempio l’ajèt dij babi, aglio dei rospi (Allium angolosum), l’üva dj’urs, uva degli orsi (Arctostphylos uva ursi), il pan dël bisse, pane delle bisce (Arum italicum), l’erba dij can, erba dei cani (Agropyron caninum), il brutalevrin, cibo della lepre (Coronilla emerus).

Appellativi e religione

Aquilegia vulgaris conosciuta come i “guant dla Madona” - Botanica piemontese
Aquilegia vulgaris conosciuta come i “guant dla Madona” (©Arne Nordmann).

La devozione popolare ha prodotto anch’essa un buon numero di definizioni come le scarpëtte dla Madona, le pianelle della Madonna (Cypripedium calceolus) una bellissima orchidea nostrana, i cui fiori sono così belli che potrebbero calzare addirittura i piedi della Madonna; i guant dla Madona, i guanti della Madonna (Aquilegia vulgaris) pianta dai fiori così delicati, tanto da essere adatti a proteggere le mani di Maria.

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Bibliografia

Queste righe evidenziano la ricchezza e la complessità della toponomastica popolare, un patrimonio che sta velocemente scomparendo a causa del sempre più ridotto numero di parlanti e dell’uso sempre più raro di fitonimi nel nostro linguaggio quotidiano.

Per chi volesse approfondire l’argomento:

  • Alinei M., Dal totemismo al cristianesimo popolare. Sviluppi semantici nei dialetti italiani ed europei, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1984.
  • Beccaria G. L., I nomi del mondo. Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino, Einaudi, 1995.
  • Camisola G., Flora astese, Asti, Tipografia Paglieri, 1854.
  • Cornagliotti A., Repertorio Etimologico Piemontese, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2015.
  • Cortellazzo M., Zolli P., Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Bologna, Zanichelli, 1979–1985.
  • Giamello G., Dizionario botanico, latino, italiano, piemontese, francese, inglese, Piobesi d’Alba, Sorì Edizioni, 2004.
  • Penzig O., Flora popolare italiana, Genova, Orto botanico della Regia Università, 1924.
  • Regis R., Su alcuni fitonimi di area piemontese, in Rivista Italiana di Onomastica, XV, 2009, 1.
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