Bernard Glénat, l'uomo senza alibi

Il patafisico francese adottato dalle colline del Monferrato

Ritratto di Bernard Glénat a Moleto, Villa Celoria, 28 Luglio 2019 (© Roberto Coaloa).
Roberto Coaloa
Roberto Coaloa

Storico, biografo di Tolstoj, slavista, traduttore, critico letterario, autore di saggi dedicati al Risorgimento, alla Grande Guerra e ai viaggiatori, come Carlo Vidua, collabora a Il Sole-24Ore e La Stampa. È uno dei più autorevoli specialisti della storia dell’Austria-Ungheria. Si definisce “flâneur esistenzialista”: un instancabile ricercatore di cose rare e amateur di musica.

  

Bernard Glénat è un uomo che ha dichiarato guerra agli alibi. Capelli brizzolati, ordinatamente spettinati, gli occhiali tondi tartaruga dal tono scuro, un bicchiere di vino rosso in mano. La penna stilografica (preziosa) infilata nel taschino della camicia bianca (con immancabile pacchetto di sigarette e accendino), jeans nero, scarpe Dr. Martens nere con punta tonda. Viso caratterizzato da una bocca sorridente e dalle innumerevoli rughe di un’esistenza très bohémien, che ha segnato anche lo stile dell’uomo.

Vent'anni a Moleto

La camicia bianca aperta e il jeans nero sono davvero la divisa abituale di Bernard, sessantasette anni quest’anno (il 15 dicembre). Il 2020 è un anno importante: “Berni”, come lo chiamano familiarmente gli amici, festeggia i suoi primi vent’anni a Moleto (il piccolo borgo del Monferrato, nel comune di Ottiglio, provincia di Alessandria, dove arrivò il 15 agosto 2000).

"Sono venuto qui" – racconta Bernard con un bicchiere di Freisa appoggiato al tavolo del giardino di Villa Celoria - "per essere felice, non per essere ricco. Amo la vita, l’amore, anche se a volte può avere 'la saveur du terrible' [il sapore del terribile]".
Veduta di Moleto, novembre 2019 (© Roberto Coaloa).
Veduta di Moleto, novembre 2019 (© Roberto Coaloa).

Ecco l’uomo senza alibi, un uomo a cui non interessano la "casettina" e la "macchinina", come le chiama lo stesso Bernard, che si sente a suo agio con gli artisti (spesso musicisti, perché da anni organizza con loro concerti jazz, il giovedì sera, e festival internazionali, come quelli del 2006 e del 2019, tra il Ristorante Cave di Moleto e il Bar Chiuso) e più in generale con le persone che hanno sofferto per restare autentiche.

Bernard, non aveva ancora compiuto quarantasette anni quando arrivò a Moleto:

Le forze telluriche di questa collina mi hanno assorbito al secondo uno…

Bernard è un uomo che è andato incontro alla vita ed è stato fortunato a capire che il momento di cesura, di svolta, della sua esistenza era il momento in cui mise piede in quello sconosciuto piccolo borgo monferrino.

Rompere le tradizioni

Bernard è originario di Tolosa e ha compiuto veri miracoli per far rinascere l’antico borgo d’origine saracena. Il più anziano abitante di Moleto, il novantenne Mario Barberis, riconosce a Bernard i suoi meriti: la promozione culturale (attraverso la musica e le rassegne letterarie, come Undicimila Verbi), che ha fatto ritornare ai suoi antichi e nobili fasti l’amata collina monferrina e all’atavico splendore il borgo. Grazie a “Berni”, nel 2004, il regista Giuseppe Varlotta ha girato il suo primo lavoro Nanà, interpretato tra gli altri da Mario Monicelli, Felice Andreasi e Bebo Storti. A Moleto, negli appuntamenti della sera hanno suonato Sarah Jane Morris e Toni Remy, agli incontri culturali hanno partecipato scrittori come Elena Loewenthal e Andrea G. Pinketts, artisti come Ezio Gribaudo, attori come Ernest Borgnine. Prima dell’arrivo di Bernard, alla sera, a Moleto, non s’incontrava un’anima per strada.

"Nanà", cortometraggio di Giuseppe Varlotta del 2004.

Ora Bernard, papà di Marine, è diventato nonno due volte. La sua storia è un vero labirinto e la sua educazione e le sue origini non sembravano destinate alla vita in Monferrato:

Oggi mi sento prima di tutto monferrino, poi piemontese e italiano. Sono cresciuto in Francia da una famiglia borghese di architetti (tre generazioni), ho frequentato il collegio dai gesuiti e ho rotto la tradizione di famiglia diventando un informatico. Per quindici anni ho lavorato in banca, poi con Fabienne, la mia prima moglie, mamma di Marine, ho aperto a Lione una fabbrica di cioccolato. Dopo la separazione con Fabienne, ho trovato lavoro in Italia a Ispra, sulla riva del Lago Maggiore, ritornando a fare l’informatico nel Centro di Ricerca dell’Unione Europea. A Ispra, tra il 1994 e il 2000, ho collaborato al progetto di cartografia delle foreste equatoriali e tropicali, notando già allora lo scenario atroce d’emergenza del nostro fragile ecosistema.

Una Moleto bohémien

Oggi il piccolo borgo di Moleto è uno straordinario buen retiro di artisti e intellettuali tra le colline del Monferrato patrimonio Unesco (per il Sacro Monte di Crea e per gli infernot: le stanze sotterranee delle tipiche case costruite con la pietra da cantoni, vere cantine scavate a mano nella pietra che erano utilizzate per custodire il vino). Il Monferrato (che etimologicamente significa “monticello fortificato” o “Mons ferrax” dal latino "monte fertile") è una capsula del tempo, dove la storia di millenni attende il visitatore curioso di quel "suol d’Aleramo" cantato da Carducci, fine conoscitore della grandezza e del prestigio del Marchesato monferrino nel Medioevo.

Per chi già conosce il piccolo borgo di Moleto, il volto e la figura di Bernard sono note. Anzi, l’uomo è ricercato da tutti per la sua disponibilità e simpatia. “Berni” è spesso accompagnato da un gattone grigio o da una cagnolina color panna.

Quattro chiacchiere con Berni

Caro Bernard, chi ti ha fatto scoprire Moleto?

Accanto a Ispra c’è Varese, dove conobbi un commerciante di vino, Giuseppe Bottinelli, che un giorno m’invitò a visitare il Monferrato e il suo recente "affaire" di Moleto, dove acquistò metà degli immobili del borgo e circa cento ettari di terreno, per produrre vino. Giuseppe mi chiese un progetto per rendere vivo il borgo, che allora era davvero sconosciuto, mentre oggi è forse il luogo più "à la page" di tutto il Monferrato.

Come andò, ti innamorasti subito del posto?

Te lo ripeto, mi innamorai di Moleto immediatamente e mi ha assorbito al secondo uno. Dopo qualche giorno portai anche mia figlia Marine a vedere il piccolo borgo e mi disse: “Tu es fou!” [sei pazzo!]. Raccontai a Marine che il mio progetto a Moleto era un’occasione di svolta nella mia vita, che il Monferrato era per me come il Klondike di fine Ottocento, che come Jack London mi sentivo elettrizzato come un partecipante alla corsa dell’oro. Sì, Marine, aveva in parte ragione: i monferrini mi guardavano con sospetto. Per loro ero “il francese”, l’estraneo, che non l’avrebbe spuntata, come prima di lui, ad esempio, una società svizzera. E all’inizio nessuno credeva nel mio progetto di creare una villa con piscina con camere b&b, un grande ristorante e un bar sulla collina. L’anno successivo, nel 2001, a Pasqua, inaugurammo il ristorante di “Cave di Moleto” e le varie attività di accoglienza per i turisti, nel 2003 prese via il Bar Chiuso (nato come “Bar Chiuso quando piove”, perché era all’aperto), ora una delle più grandi attrazioni turistiche del Monferrato, dalla primavera all’autunno, nel weekend con migliaia di ragazzi, che arrivano da Milano o da Torino per seguire concerti all’aperto o semplicemente bere un bicchiere di vino. Sul prato del Bar Chiuso sorge la chiesetta romanica di San Michele, che regala emozioni al visitatore di Moleto. Da gestore passai poi alla comproprietà e ora mi trovo ad affrontare una nuova sfida con un team tutto nuovo tra il ristorante, completamente rinnovato, e il Bar Chiuso.
Vista sulle colline dal Bar Chiuso (immagine tratta da www.barchiuso.it).
Vista sulle colline dal Bar Chiuso (immagine tratta da www.barchiuso.it).

Il tesoro dei Saraceni

Oggi, a Moleto, gli abitanti residenti sono poco più di dieci persone. Nel 1904 erano ottanta. Nel 1917 la popolazione era salita a 210 unità distribuite in quaranta famiglie. Moleto è per chi scrive uno dei luoghi più importanti del Piemonte, per la sua lunga storia: dalla dominazione araba, a quella degli Aleramici, ai Paleologi, l’ultima dinastia a governare l’Impero bizantino e che esala la sua ultima eroica eco in Monferrato, ai Gonzaga. La storia di questa zona molto bella e altrettanto magica del Piemonte è stata raccontata da storici illustri, come il canonico Giuseppe De Conti, che racconta di antiche leggende e del tesoro, nascosto, dei saraceni.

Con Bernard riassumiamo questa intricata storia:

De Conti, nel 1811, racconta delle caverne dei saraceni, così alte che potevano contenere i soldati con i loro cavalli. Tra il 900 e il 1300, i saraceni occupavano questo territorio, lottando con il duca di Provenza e i marchesi del Monferrato. Le grotte scavate nel tufo erano lunghe e tortuose, sotto il colle di San Germano. Alle storie dei saraceni è associata la leggenda di immensi tesori, nascosti nelle grotte. Fino ad ora, però, nessuno ha trovato l’oro! Più interessante, e precedente la storia dei saraceni a Moleto, è la memoria sul culto di Mitra ossia del Sole nelle caverne di queste colline. La storia è stata scritta dal conte Fabrizio Mola di Ottiglio nel 1626. Al tempo dell’Impero romano i Mitrei si trovavano soprattutto in grotte e caverne e le cerimonie del culto mitraico – solare raggiungevano il loro acme a mezzanotte del solstizio d’inverno, il 22 dicembre, quando il sole cessa di allontanarsi dall’equatore celeste e comincia a riavvicinarsi. Il conte Mola di Ottiglio avvertiva che nel corso delle cerimonie sacrali in quel periodo una fosforescenza illuminava le caverne e la parte della valle antistante l’ingresso delle grotte. Precisava inoltre che nella notte del solstizio invernale, momento della nascita di Mitra – Sole, un sacerdote usciva dalle caverne con un bacile di acqua lustrale per la purificazione dei fedeli che si ammassavano nella vallata. Da qui la leggenda della maga, che appariva col bacile nella valle, accompagnata e soffusa dal lucore, quello stesso, ormai attenuato, visto da un giovane Mario Barberis e da Aldo di Ricaldone nel meriggio dell’inizio del gennaio 1956, a 40 metri di profondità nel tufo del colle di San Germano.

Testimone di un mondo scomparso

Da vent’anni Bernard vive nella splendida Villa Celoria, con il suo “Labirinto” di meditazione e giardino, impreziosito da una scultura liberty.

Bernard a Villa Celoria, estate 2019.
Bernard a Villa Celoria, estate 2019.

Dietro la collina d’ingresso di Moleto si trovano altre case sparse di grande importanza storico-artistica: lungo la strada che congiunge Olivola a "La Prera", dove abitò il pittore e antropologo Pit Piccinelli (casa conservata, oggi, con amore, da Bona Tolotti), c’è un’altra dimora, bizzarra, ora completamente disabitata, dove vivevano due personaggi eccellentissimi, moglie e marito: la pittrice Matilde Izzia e lo storico Aldo di Ricaldone, archivista e paleografo.

Racconta Bernard:

Non ho conosciuto il conte, però, oggi, io sono uno degli ultimi testimoni di quel periodo e del racconto di molti anziani, che ora non sono più tra noi, che mi hanno giurato di aver assistito alla comparsa della maga Alcina a gennaio. L’apparizione della luminescenza e della maga nella Valle dei Guaraldi presso l’ingresso delle caverne dei Saraceni, subì un primo duro colpo nel 1926, quando gli scavi di Pietro Maschera iniziarono il sommovimento e l’alteramento del luogo. Saltuariamente tali scavi furono proseguiti da altri fino ai nostri giorni. L’equilibrio ecologico fu poi irreparabilmente sconvolto dai fronti di cava che da Moleto si spingono all’inizio della Valle dei Guaraldi. Tutto un mondo, raccolto nel guscio protettivo del tempo, fu scardinato con l’abbattimento di chiese romaniche e di edifici rurali antichissimi. La casa di tufo, "il Romito" del conte Aldo e di sua moglie Matilde, è ora abbandonata come una vecchia dimora carica di secoli. Invece, fu costruita dalla coppia alla fine degli anni Sessanta del Novecento, racchiusa tra le caverne del colle di San Germano, vicino a Moleto (dal nome del capo saraceno che vi stanziò nel 990 d.C. “Muley”, ovvero "Signore").
Il
Il "Romito" del conte Aldo di Ricaldone e di sua moglie, la pittrice Matilde Izzia.

La storia di Villa Celoria

Tutte le strade, quindi, portano a Moleto (la cui misteriosa gente è stata raccontata da Matilde Izzia di Ricaldone nel volume, Tutto può essere. Esperienze di vita paranormale). La cagnetta Coco, il gattone Mr e il motto latino Concordia servatur domus, istoriato sul portale d'accesso principale, rendono immediatamente individuabile l’elegante dimora di Bernard. Villa Celoria fu la proprietà dell’astronomo Giovanni Celoria, senatore del Regno d’Italia, direttore dell’osservatorio astronomico di Brera, dopo il saviglianese Schiaparelli. Celoria fu iscritto all’Accademia dei Lincei, alle maggiori associazioni scientifiche italiane e alla Royal Astronomical Society di Londra. Fu autore di testi divulgativi di astronomia quali, La luna, Le comete, L’astronomia nel secolo decimonono. Per ben 36 anni, dal 1870 al 1905, compilò l’articolo Astronomia inserito nell’Annuario Scientifico e Industriale chiara ed esatta relazione delle principali ricerche, dei progressi, delle scoperte in ogni ramo della scienza del cielo.

La cagnolina Coco alla guardia di Villa Celoria nell'estate del 2019 (© Roberto Coaloa).
La cagnolina Coco alla guardia di Villa Celoria nell'estate del 2019 (© Roberto Coaloa).

Dopo la morte del Senatore, nel 1920, Villa Celoria fu donata dalla vedova dell’astronomo, Rosa Manzi, alla Chiesa. Rosa Manzi era nipote dell’eroe delle Cinque Giornate e della difesa di Roma, il patriota Luciano Manara, una delle figure più note del Risorgimento, morto proprio durante la difesa della Repubblica Romana. Nella Villa del Senatore, nel 1923, s’insediò Don Felice Grea, parroco di Moleto, figura quasi leggendaria, rimasta impressa nella mente degli anziani, che lo ricordano intento a recitare il breviario nel giardino, tra il labirinto di bosso e l’ombra della Chiesa di San Francesco (edificata nel Seicento dalla famiglia Celoria), ora purtroppo danneggiata, dopo l’improvviso crollo del campanile una decina di anni fa.

Un mondo a sé

Lo ricordo bene quel campanile! Segnava con i rintocchi precisi delle campane anche i quarti d’ora. Era il simbolo di Moleto.

Il campanile di Moleto, visto da Villa Celoria, estate 2004 (© Roberto Coaloa).
Il campanile di Moleto, visto da Villa Celoria, estate 2004 (© Roberto Coaloa).
La piccola Chiesa di Moleto intitolata al santo di Assisi appare all’improvviso scendendo la piccola stradina che costeggia il muro in mattoni lavorati di Villa Celoria e si conclude nel cortile di casa Francia. Fu costruita, forse in sostituzione di un'altra precedente, intorno al 1690. Con amici ho raccolto cinquantamila euro per mettere al sicuro l’edificio dopo il crollo del campanile. La Curia però ha fatto un preventivo milionario per la ricostruzione della Chiesa. Ora tutto è fermo.

Trovi delle differenze tra Langhe e Monferrato?

Sì, le Langhe continuano a svilupparsi, anche per un gioco di squadra. Il Monferrato no. È un peccato perché il Monferrato è un mondo a sé, molto bello, con una cucina di grande tradizione (dal bollito alla bagna cauda). Io credo nella terra, nell’agricoltura. I monferrini devono credere nel loro territorio e amarlo, puntando sul turismo, l’agricoltura e l’ospitalità. In questo modo il Monferrato e Moleto possono decollare. Sto pensando anche a un progetto di “Albergo diffuso” a Moleto.

Le persone più importanti nella tua vita?

I monferrini, come Mario Barberis, dalla generosità nascosta. Persone difficili da conquistare, ma una volta aperta la prima breccia nei loro cuori si scopre un mondo di amicizia antica, che diventa una realtà solida. Tra le persone importanti della mia vita molte sono scomparse negli ultimi anni. Oltre agli artisti, questa zona è stata scelta da intellettuali, come l’editore Klaus G. Renner, che ha portato la patafisica a Moleto. Con lui ho ritrovato il mondo che ho amato nella mia giovinezza, quello di Boris Vian e di Alfred Jarry. Tra gli scrittori che più ho letto e amato c’è Louis Calaferte...
Bernard Glénat tra amici al Ristorante Cave di Moleto, 18 giugno 2019 (© Roberto Coaloa).
Bernard Glénat tra amici al Ristorante Cave di Moleto, 18 giugno 2019 (© Roberto Coaloa).

Gli animali di Moleto. Tymbo, Procchio, Mr… Chi manca all’appello?

All’inizio c’era una capra, che si chiamava "Mulej". E "Madame", la vecchia gatta di Moleto. "Tymbo", il cavallo che entrava in cucina, è stato per dieci anni la star di Moleto. "Procchio", il maiale. Poi una civetta e altri piccoli animali. Negli ultimi tempi, "Mr", il gattone grigio, e "Coco", la cagnolina.
Bernard Glénat e Roberto Coaloa nella “Stalla” di Cave di Moleto per la rassegna “Undicimila Verbi”, 2 dicembre 2011.
Bernard Glénat e Roberto Coaloa nella “Stalla” di Cave di Moleto per la rassegna “Undicimila Verbi”, 2 dicembre 2011.

Essere un artista ai tempi del Coronavirus

Moleto, con i suoi giardini, labirinti e animali, sembra il luogo perfetto per trascorrere questa primavera del 2020, al riparo dal coronavirus. Ora, a Moleto, manca qualcosa? L’Artista Bernard Glénat a Moleto, infatti, è qualcuno che non può scappare. Si trova lì per fare qualche cosa. Louis Calaferte direbbe "Il accomplit" (Egli adempie).

Tu sei un Artista?

E chissà cosa avrebbe detto Calaferte, oggi, di tale condizione! Amo le poesie di Calaferte, che scrisse in uno dei suoi poemi: "Je suis le pèlerin de mon passé" (Sono il pellegrino del mio passato). Calaferte ci riporta a pensare all’artista con la A maiuscola.

Non ti sembra, però, che quest'immagine dell’Artista-filosofo possa dare l’impressione un po’ ridicola di un dinosauro del nostro tempo?

Sarebbe più facile pensare a cosa avrebbe risposto alla tua domanda “definitiva” il grande patafisico Boris Vian, l’Artista che avremmo voluto ricordare proprio quest’anno a cento anni dalla nascita. Ripetendo il ritornello di una sua celebre canzone: "Je bois systématiquement" (bevo sistematicamente…). Bere? Ma no! Siamo filosofi esistenzialisti… Calaferte, che hai citato, ci obbliga a essere Artisti e Uomini. Come Artista, che ama “creare” con la penna stilografica (lettere, poesie) o con le mani (ti ricordi i miei occhiali fatti di piume e ferro?), mi sento sicuramente un dinosauro, perché è meglio esserlo che sentirsi un mediocre. Ora mi manca la polémique… Mi manca ragionare con gli amici di qualsiasi cosa, anche di Calaferte, che avrebbe detto della nostra attuale condizione: "C’est triste, n’est-ce pas?" (È triste, non è vero?). In questo momento preferisco essere un dinosauro appassionato, piuttosto che un triste funzionario, con il suo alibi. L’Artista non si crea dei falsi alibi, non scappa “altrove”. A Moleto non manca nulla: c’è il giardino, ci sono le stanze per scrivere e lavorare.

La letteratura è una cosa meravigliosa. Quando si dispone di una penna in mano…!

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