Bianca Guidetti Serra (©illustrazione di Ginger Berry Design).
A lei Primo Levi, dal campo di concentramento di Auschwitz - e durante il viaggio in cui lì fu condotto - fece recapitare proprie notizie sotto forma di alcune cartoline destinate alla famiglia. Visse la Torino degli scioperi, tra gli ultimi anni del regime e la concitazione della Resistenza, a cui contribuì con la diffusione di idee democratiche, ponendo le basi per l’emancipazione femminile, dal voto alle donne fino, nei decenni, alle conquiste di parità tra i sessi. È stata consigliere del Comune di Torino, parlamentare, storica contemporanea, in prima linea in innumerevoli battaglie per i diritti di lavoratrici e lavoratori, carcerati, bambini. Ma è stata, più di ogni cosa, un avvocato: mestiere per cui aveva completato gli studi a cavallo del conflitto, aprendo infine lo studio all’ombra della Mole nel 1951. Una delle prime, in assoluto, avvocato donna nel nostro paese. Parliamo di Bianca Guidetti Serra, figura preminente del Novecento italiano sul tema dei diritti civili di cui, forse, non si parla quanto meriterebbe.
A circa un anno dal centenario della nascita, e 6 anni dalla scomparsa, proviamo a ricomporne in queste pagine un ritratto, consapevoli dell’estrema difficoltà dell’impresa. Giocano a nostro sfavore, di certo, la lunghissima vita della protagonista delle vicende che andremo a narrare, così come il suo essere stata in grado di lasciare il segno su molti fronti. In ciascuno degli ambiti, e l’autobiografia del 2009 per Einaudi (Bianca la rossa) ne è testimonianza diretta, seppe muoversi con competenza e lucidità, preservando la propria coerenza senza mai trascurare empatia e capacità di autoanalisi. Sarebbe la stessa Bianca, lo speriamo, ad accettare eventuali sviste o semplificazioni nel testo che seguirà: come disse in merito all’abbandono del PCI nel 1956,
Posso aver sbagliato allora, ma sono convinta di aver sbagliato nel modo, nella forma, non nella sostanza.
Bianca Guidetti Serra nasce il 19 agosto 1919 a Torino. È lei stessa, nelle primissime righe dell’autobiografia, a precisare la via, Sant’Agostino, affiancandola a San Dalmazzo, in cui sarebbe vissuta per quasi cinquant'anni: due traverse di via Garibaldi, in quel quadrilatero romano che è (letteralmente) il centro più antico di Torino. Anche per chi conosce poco il capoluogo, i riferimenti geografici sono subito familiari: in una via Roma ancora priva di portici (portati alla forma attuale negli anni Trenta), la madre di Bianca con la sorella aprono un laboratorio di sartoria. Al matrimonio nel 1918 con il padre, avvocato civilista, la madre deve rinunciare all’impiego artigiano: lo richiedeva la consuetudine dell’epoca. A breve distanza nasce la seconda figlia, e la famiglia, tra varie vicissitudini economiche, cambia alcune abitazioni. Il nucleo diventerà totalmente femminile nel 1938, alla scomparsa prematura del padre, con trasferimento in via Montebello. Bianca aveva frequentato nel frattempo il liceo Massimo D’Azeglio: qui consegue la maturità e conosce sia Alberto Salmoni, suo futuro marito, che Primo Levi. Con loro forma un gruppo di amici, con comuni gusti intellettuali, che condividerà il dissenso alla diffusione delle leggi razziali.
Ma il percorso della giovanissima Bianca alla scoperta delle idee di uguaglianza e solidarietà ha già trovato, nel frattempo, altre fonti a cui attingere. La madre la accompagna alla sede dell’Unione Industriale dove, complice gli studi in legge in corso, Bianca viene assunta come assistente sociale. Inizia così a frequentare le fabbriche di Torino, scoprendo le problematiche, economiche soprattutto, delle famiglie divise dalla guerra – in un’epoca in cui gli operai hanno tutele pressoché nulle. Nel frattempo, contattata da un esponente del nascente Partito Comunista Italiano di cui non avrebbe mai scoperto il nome, inizia a trascrivere a macchina opuscoli di Marx, Engels, Lenin e Togliatti. Intraprende anche attività di formazione sui principi democratici per “compagne” interessate. È su queste basi che tra il 1943 e il 1944 nascono i “Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà”: al di là del nome, che suscita la perplessità delle stesse componenti, si tratta dei primi coordinamenti politici grazie a cui si arriverà, a breve, a ottenere parità di diritti per le donne a partire dal voto. Tra le attività, fondamentale la realizzazione di opuscoli e pubblicazioni che divulgano e dibattono intorno alle idee di legalità e uguaglianza delle nascenti democrazie occidentali. Sono le stesse assemblee a contribuire nell’organizzazione dello sciopero generale di Torino del 18 aprile 1945.
L’episodio più famoso di Bianca Guidetti Serra tra le fila della Resistenza è dell’estate del 1944. Pur vivendo principalmente a Torino, compie di tanto in tanto brevi viaggi nelle vicine valli di montagna, per consegnare pacchi o messaggi ad amici sfollati oppure nascosti. A Fenestrelle, dopo un rastrellamento, trova rifugio in un albergo dove era stata da bambina. La proprietaria, per aiutarla, la fa lavorare come cameriera, una scelta che le permette di nascondersi anche all’arrivo di un gruppo di militari della Repubblica Sociale.
Tra Val di Susa e Val Chisone, Bianca conosce brevemente Emanuele Artom, a cui vorrebbe consegnare libri per contribuire all’istruzione dei partigiani: non avrebbero mai più potuto rivedersi, a seguito dell’uccisione di quest’ultimo. Si crea e si consolida in questo periodo anche l’amicizia con Ada Gobetti, vedova di Piero. Insieme fanno “gite in montagna” in cui Bianca rivede il futuro marito Alberto, mentre Ada incontra il figlio Paolo, diciottenne. Una sintonia intellettuale proseguita per molti anni, che porterà Bianca a far parte del nucleo fondatore del Centro Studi Piero Gobetti, di cui ricoprirà anche l’incarico di presidente per un decennio.
Ho conosciuto un diffuso protagonismo femminile che, senza nemmeno mai impugnare un’arma, creò le premesse di un nuovo modo di interpretare la presenza sociale delle donne. Penso in particolare alle centinaia di militanti che a Torino […] parteciparono attivamente all’elaborazione politica in vista del dopo, con una forte rivendicazione di condizioni paritarie nel lavoro e nella vita civile. In loro ho sempre visto quel tessuto profondo del cambiamento che si manifesta nei momenti in cui, con l’emergere di una sua componente subalterna, l’intera società compie un salto.
Con queste parole la stessa protagonista delle vicende ricorda gli anni della Resistenza come momento decisivo, in cui venivano gettati i semi della nascente Italia democratica. Nella primavera del 1945 la guerra e la dittatura sono alle spalle, ma il nostro paese ha bisogno più che mai di persone con gli strumenti tecnici e intellettuali per "costruire il futuro". E Bianca, in questo senso, si fa trovare pronta. Si è laureata in Legge il 3 luglio 1943, nel 1947 supera gli esami da procuratore legale. Nel 1951, constatando la propria condizione di pioniera, in quanto avvocato donna, dopo alcune esperienze apre il proprio studio legale. Negli anni Cinquanta si occupa di questioni spesso legate al mondo del lavoro. Se oggi diamo per scontata la Costituzione della Repubblica Italiana, colpisce scoprire come gli stessi articoli necessitassero, in quegli anni, di essere “impugnati”. La legge di Pubblica Sicurezza del 1931 vietava di fatto l’affissione di manifesti politici o la convocazione di comizi.
Articolo 21. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Se i difensori si appellavano all’Articolo 21 della Costituzione, molti pretori ritenevano la norma costituzionale “meramente programmatica e giuridicamente inoperante”. Il risultato era l’arresto fino a 10 giorni e un’ammenda da pagare. La vicenda si conclude con la prima sentenza della Corte Costituzionale, datata giugno 1956, che dava valore esecutivo immediato all’Articolo 21.
Capitolo a sé, che abbiamo finora trascurato, è l’amicizia con Primo Levi. Bianca Guidetti Serra aveva perso i contatti con lui nel 1943, dopo l’arresto e la deportazione. Dopo una prima cartolina il febbraio successivo, firmata a sei mani con Luciana Nissim e Vanda Maestro poco prima di lasciare l’Italia, alcuni mesi dopo è Bianca la diretta destinataria di un messaggio da Auschwitz.
Il nome [Auschwitz, ndr] allora non ci diceva nulla, come quasi nulla sapevamo dei lager. […] La cartolina era indirizzata a me. Non poteva mandarla ai suoi familiari che erano nascosti, forse non sapeva neanche dove, e comunque non doveva segnalarne i rifugi. C’era scritto solo “Primo sta bene”, e mi arrivò a Torino il 26 giugno, seguita poi da altre due il 21 agosto e il primo novembre. Mi misi subito in moto per rintracciare la madre e la sorella. […] Ho ancora un ricordo nitidissimo del nostro incontro in piazza Vittorio Veneto, sotto le arcate all’angolo di via Principe Amedeo.
Tramite dei messaggi era il muratore Lorenzo Perrone, di Fossano. Mandato a lavorare ad Auschwitz, in Se questo è un uomo Primo Levi ne racconta il ruolo di supporto silenzioso: scoperta la comune origine piemontese, aveva iniziato a lasciargli frammenti di cibo, aiutandolo anche con la corrispondenza. Alla stessa persona lo scrittore dedicò in seguito il racconto Il ritorno di Lorenzo. Mentre è del 1999, ad Alba, il conferimento del riconoscimento di “Giusto tra le nazioni” alla presenza dei parenti nonché della stessa Bianca.
Tornato dalla prigionia, nel 1945, il primo incontro tra gli amici ritrovati ha una buona dose di notevole contegno sabaudo. Nell’autobiografia, Bianca Guidetti Serra fa menzione di una “lunga stretta di mano”. Certo è che con il tempo, avrebbero continuato a dimostrarsi affetto e stima incontrandosi periodicamente per lunghe camminate. Primo avrebbe chiesto a Bianca un parere in anticipo su un capitolo de I sommersi e i salvati, appena uscito dalla sua macchina da scrivere. Mentre l’ultima passeggiata insieme l’avrebbero fatta il giorno prima della sua scomparsa, l’11 aprile 1987. Argomento di conversazione, i processi per terrorismo sui cui dettagli, lo scrittore fino a quel momento era sempre stato molto interessato.
Difficile raccontare gli innumerevoli processi di cui Bianca Guidetti Serra si è occupata attraverso gli anni, evitando sia l’elencazione sterile che l’agiografia. Il Sessantotto la vede impegnata, spesso, nel difendere studenti coinvolti nei cortei o nelle occupazioni. È alla soglia del mezzo secolo e anche nelle memorie biografiche ammette di riconoscere le battaglie come opere della generazione successiva alla propria, in parte causa dei conflitti lasciati irrisolti dalla stagione della Resistenza.
Viene coinvolta in quello che oggi definiremmo “caso mediatico” nel momento in cui accetta di fare da avvocato difensore per Adriano Rovoletto, membro della banda di Piero Cavallero. Deve rifiutare di assistere in contemporanea lo stesso capobanda, di cui aveva supportato la madre nell’adozione della sorella nel 1951. Il processo, con i colpevoli reo confessi, ottiene risonanza anche con l’uscita del film Banditi a Milano di Carlo Lizzani. Gli stessi protagonisti tentano di trasformarla in una battaglia ideologica, mettendo al centro l’attacco al capitalismo che le rapine avrebbero rappresentato. Bianca continuerà a seguire le vicende umane del gruppo anche al di là dei clamori mediatici, con l’ergastolano Rovoletto a supportare, anni dopo, un progetto di divulgazione della condizione carceraria.
Ancora più ideologicamente complessi sono i processi che coinvolgono le brigate rosse. In alcuni casi, Bianca accetta il ruolo di difensore, nonostante gli stessi accusati rifiutino a priori ogni assistenza legale. Siamo all’inizio degli anni Settanta, gli stessi in cui prende il via la lunga inchiesta sulle cosiddette “Schedature Fiat”: l'azienda automobilistica, con una fitta rete di connivenze, si rende colpevole di raccolta informazioni su circa 350 mila lavoratori, in quella che oggi definiremmo una monumentale violazione della privacy. Il dibattimento deve cambiare sede e persino sul libro che ripercorre la vicenda, a firma della stessa Bianca, si addensa qualche nuvola con la necessità di un cambio di editore.
Portano invece svolte importanti in termini di sicurezza sul lavoro e tutela dell’ambiente le battaglie giudiziarie legate all’IPCA di Ciriè e all’Eternit di Casale Monferrato. Nel primo caso, il processo si aprì il 26 aprile 1977.
Come nella richiesta del Pubblico Ministero, vennero condannati per omicidio e lesioni colpose, con pene fino a sei anni, quattro dirigenti e il medico di fabbrica. Dalla Corte stessa il risarcimento non era stato sufficiente a chiudere il caso. Ed era la prima volta che venivano individuati dei responsabili anche penalmente perseguibili per le malattie professionali, fino allora guardate con fatalismo e risolte in genere con qualche indennizzo nei tribunali. Come avvocati difensori decidemmo di devolvere l’ammontare delle parcelle a carico degli imputati per dar vita a una Fondazione intitolata a Benito Franza, finalizzata allo studio delle malattie professionali e all’aiuto alle famiglie delle vittime.
Nell’inchiesta penale aperta nel 1983, per l’Eternit a Casale, Bianca Guidetti Serra rappresenta il sindacato come parte civile. La sentenza sarebbe arrivata nel 1994, ma la vicenda giudiziaria sarebbe stata riaperta nel 2003 dal procuratore Raffaele Guariniello. Nel frattempo, la battaglia sarebbe stata portata in parlamento, con la proposta di legge del 1990, con Bianca Guidetti Serra prima firmataria, trasformata in norma due anni dopo: si tratta delle norme, oggi in vigore, sulla cessazione dell’uso e rimozione dell’amianto.
Al di là del successo legislativo di cui sopra, le esperienze politiche avrebbero lasciato Bianca Guidetti Serra sempre, in parte, insoddisfatta. L’abbandono del PCI è del 1956, in contrasto con la scelta del partito di legittimare la repressione violenta dell’insurrezione in Ungheria da parte dell’URSS. Seguono molti anni di “militanza senza partito”. È del 1985 il suo ingresso come consigliere comunale a Torino, indipendente nelle liste di Democrazia proletaria; si sarebbe dimessa per l’elezione in parlamento, deputata dal 1987 al 1990. Ancora consigliere a Torino, come indipendente del Pds, vi rimane fino al 1999.
La democrazia in Italia l’ho vista nascere, non sono nata e cresciuta nella democrazia. L’ho scoperta in un tempo drammatico e ne conosco le fatiche, proprio per questo la ritengo una conquista quanto mai preziosa. Molto semplicemente, è la grande invenzione che permette di convivere con gli altri, individui e gruppi dalle idee e interessi diversi e anche avversi, confrontandosi e contrastandosi in modo avverso e anche radicale, per trovare tuttavia una risoluzione regolata dei conflitti, senza sopraffarsi. È un progetto di libertà al plurale.
Bianca Guidetti Serra è scomparsa il 24 giugno 2014 ma, da “donna di lettere” qual era, ci ha lasciato una bibliografia piuttosto corposa a cui consigliamo di dare una sbirciata, sebbene per alcuni titoli sarà indispensabile affidarsi al mercato dell’usato. Opera decisiva, in parte in dialogo con Il Mondo dei Vinti di Nuto Revelli – con cui intrattenne un’amicizia – è Compagne, raccolta di testimonianze in doppio volume dalla diretta voce delle donne della Resistenza. Il paese dei Celestini riepiloga i processi che hanno arricchito la legislazione sui diritti dell’infanzia, così come Le schedature Fiat documenta con dovizia di particolari la vicenda omonima.
Nel 2019 un comitato ha curato le celebrazioni per il centenario e l’associazione omonima, insieme allo stesso Centro studi Piero Gobetti, ne tiene viva l’eredità culturale. In conclusione, ci piace ricordare Bianca con una breve e perfetta frase proveniente dalla sua autobiografia.
Mi è piaciuto il fare, e ho fatto quel che ho potuto, cercando sempre di essere me stessa.