Carlo Bertero
Molte persone leggono "botanica" e pensano "giardinaggio": aiuole fiorite, piante in vaso, un'attività che si svolge nel tempo libero, per rilassarsi dopo una giornata stressante. Ma la botanica è una scienza, e una scienza che si pratica sul campo. Richiede un certo spirito d'avventura, e può comportare dei rischi. È possibile quindi appassionarsi alla botanica e per questo vivere una vita avventurosa, talvolta breve, fino a un finale tragico. Proprio come accadde a Carlo Bertero.
Nato a Santa Vittoria d’Alba nell’ottobre del 1789, Carlo Luigi Giuseppe Bertero studia filosofia prima di iscriversi alla facoltà di Medicina di Torino. Si tratta quasi di una scelta obbligata: la facoltà di Medicina è, nel XVIII secolo, l’anticamera per qualunque serio studio delle scienze naturali. Bertero è appassionato di botanica fin dall’adolescenza e, durante gli anni dell’università, stringe amicizia con il medico e botanico Giovanni Battista Balbis. Fin dal 1808 Bertero si dedica a lunghe escursioni durante le quali raccoglie esemplari di erbe e fiori per la propria collezione. Grazie anche all’aiuto di Balbis, riesce così ad unire i suoi studi alla sua passione e, nel 1811, si laurea con una tesi sulle specie medicinali indigene del Piemonte dal titolo Specimen medicum, nonnullas indigenas stirpes continens exoticis succedaneas (all’epoca le tesi venivano presentate in latino).
Nei primi anni dell’Ottocento l’Università di Torino ha affidato a Balbis, nativo di Moretta (Cuneo) e già ufficiale medico in capo delle forze napoleoniche a Pavia, la cattedra di botanica, e la direzione dell’Orto Botanico cittadino. Balbis è autore di studi e testi fondamentali per la conoscenza della flora piemontese, come il classico Elenco delle piante crescenti nei dintorni di Torino, ed è quindi la persona giusta per quel lavoro. L’Orto Botanico versa in stato di grave abbandono ma Balbis, anche grazie ai suoi contatti con le autorità napoleoniche, riuscirà ad ottenere i fondi per restaurarlo, acquisendo centinaia di nuove specie.
L’avventura napoleonica segnerà in effetti sia il destino di Balbis che quello del suo allievo Bertero. Successivamente alla sua laurea in Medicina, Carlo Bertero ha infatti ricevuto l’incarico, dalle autorità napoleoniche piemontesi, di segretario del Jury de Médecine - una carica affine a quella di magistrato con giurisdizione sulle questioni di salute pubblica. Con la caduta di Napoleone e la Restaurazione, nel 1815, Bertero è obbligato a lasciare la propria carica. Invitato successivamente a entrare a far parte del collegio medico dell'Università di Torino, una posizione che gli garantirebbe un certo prestigio e ripristinerebbe il suo status sociale con il governo sabaudo, Carlo Bertero rifiuta, in un gesto di protesta per il destino del proprio mentore: per via dei suoi trascorsi militari e per il suo stretto rapporto con il regime napoleonico, infatti, Balbis è stato radiato dai pubblici uffici e dalle Accademie Scientifiche piemontesi, ritirandosi a vita privata. Nonostante tiepide aperture da parte di Casa Savoia e delle autorità piemontesi, Balbis si auto-esilia perciò a Lione, dove gli vengono affidate la cattedra di botanica e la conduzione delle locali collezioni botaniche.
Senza più una posizione ufficiale e deluso dalla fine dell’avventura napoleonica, Bertero si dedica a una serie di escursioni sulle Alpi, esplorando il Moncenisio e i suoi dintorni, e successivamente nel territorio di Alba e nelle Langhe, descrivendo le specie vegetali nel suo Herbarium Pedemontanum. La pubblicazione dell’Herbarium sarà curata dal torinese Luigi Colla, un avvocato con la passione della botanica, che nei primi anni dell’800 ha acquistato una residenza a Rivoli, dove ha creato un vasto orto botanico che descriverà, lungo un arco di oltre vent’anni, nei fascicoli della rivista Hortus Ripulensis.
La scelta di ritirarsi a Rivoli è anche per Colla una decisione dettata dal mutare del clima politico - per via dei suoi studi legali e per le sue simpatie napoleoniche, Colla è stato infatti commissario nella Repubblica Subalpina, e con la Restaurazione la sua presenza a Torino si è fatta imbarazzante. La botanica, oltre che un'autentica passione, è per l’ex avvocato un interesse molto meno compromettente della politica. Sarà Colla (uno dei futuri fondatori della Reale Mutua) che successivamente darà visibilità all’opera di Bertero e alle sue scoperte.
Forse perché stanco delle vallate alpine, nell'estate del 1816, Carlo Bertero prende la decisione di intraprendere un viaggio in un paese la cui vegetazione sia all’epoca ancora in larga parte sconosciuta in Europa, al fine di poter svolgere una ricerca approfondita e pubblicare uno studio di specie mai descritte in precedenza. Il suo primo passo è perciò quello di recarsi a Parigi, dove visita gli erbari dei musei parigini per documentarsi. Durante la sua permanenza a Parigi, Bertero intanto studia l'inglese e lo spagnolo - la sua meta, ha infatti deciso, sarà il Nuovo Continente.
Una volta pronto, Bertero si imbarca sulla "Guadalupe", una nave diretta alle Antille. Qui si stabilisce sull’isola della Grande-Terre, dove esercita la professione medica per due anni. Nonostante il nome, Grande-Terre è la più piccola delle Antille Minori, un’isola circondata da una barriera corallina, con una superficie di meno di 600 chilometri quadrati, per lo più dedicati all’agricoltura. Durante la sua permanenza a Grande-Terre, Bertero riesce ad assicurarsi i fondi necessari per finanziare delle brevi escursioni. Viaggia estesamente fra le isole, visitando St. Thomas nelle Piccole Antille (1818), Portorico (1819), Santo Domingo (1820) e Haiti (1821), raccogliendo campioni della flora tropicale di queste isole.
Rientrato in patria nel 1821, Bertero riprende le sue escursioni in cerca di fiori e piante, non solo del Piemonte (e soprattutto dell’albese e delle Langhe), ma anche della Sardegna. Ma la curiosità per i paesi lontani e le piante che crescono in climi esotici torna a coglierlo nel 1827. Dopo una breve permanenza nella capitale francese, dove stringe amicizia col botanico A. De Candolle e con il barone Delessert, Bertero si imbarca a Le Havre e, dopo centododici giorni di navigazione, raggiunge il Cile. Qui si dedica a una campagna di raccolta di esemplari botanici, in un'occasione accompagnando il botanico inglese Alexander Caldeleugh sulle isole dell’arcipelago di Juan Fernández - le isole vulcaniche subtropicali che oggi si ipotizza abbiano ispirato a Daniel Defoe le vicende del romanzo Robinson Crusoe.
In particolare, Bertero visita l’isola di Juan Fernandez, la maggiore dell’arcipelago - che oggi è nota appunto come Isola Robinson Crusoe. È qui infatti che nel 1704 il marinaio scozzese Alexander Selkirk sopravvisse da solo per quattro anni e quattro mesi – il suo capitano della “Cinque Ports”, su cui era imbarcato, stanco delle continue preoccupazioni ventilate da Selkirk riguardo alla sicurezza della nave, lo aveva sbarcato qui per levarselo dai piedi. Selkirk aveva ricevuto il permesso di portare con sé un moschetto, della polvere da sparo, degli arnesi da carpentiere, una Bibbia e alcuni capi d’abbigliamento. La “Cinque Ports” era poi affondata pochi giorni dopo.
Quando Bertero visita l’isola, questa è ancora selvaggia e disabitata e il governo cileno si prepara a costruirvi un penitenziario. Carlo Bertero ha perciò l’isola tutta per sé durante la sua campagna di ricerca. Troverà oltre duecento nuove specie, cento e trentadue delle quali endemiche dell’isola.
Prima di imbarcarsi per questa nuova avventura, Bertero ha anche preso lezioni di pittura da P. F. Turpin, in modo da essere in grado di eseguire personalmente la riproduzione delle piante per le tavole illustrate dei suoi erbari. Alcune di queste sue tavole vengono pubblicate in Cile nella rivista El Mercurio Chileno. La permanenza di Bertero in Cile gli frutterà circa duemila esemplari di trecento nuove specie.
A sinistra esemplare d’erbario di Bertero proveniente da S. Thomas e, a destra, esemplare d’erbario raccolto a Santo Domingo e inviato a Balbis.
Nel settembre 1830 Carlo Bertero lascia il Cile alla volta di Tahiti, dove trascorre alcuni mesi raccogliendo campioni di nuove specie e illustrandoli. Sarà la sua ultima campagna di ricerca: nel 1831, mentre è in transito da Tahiti a Valparaiso, Carlo Bertero scompare in un naufragio con gran parte delle sue collezioni. La notizia della sua morte impiegherà molto tempo ad arrivare in patria.
“Sono molto dispiaciuto", scrive Caldeleugh a William Hooker nel 1833, "di comunicarti il destino del povero Bertero. Dopo il viaggio che ha fatto con me, l'anno scorso, nelle isola di Juan Fernandez, dove aveva raccolto campioni con grande zelo, trovando molte cose interessanti e alcuni nuovi generi (tra cui cinque delle Cichoraceae, alberi ragionevolmente grandi con steli cavi), rimase a Valparaiso per tre mesi allo scopo di organizzare e spedire le sue piante a Parigi. A quel punto una nave gli offrì un passaggio a Tahiti, e, guidata da quella potente sete di scienza botanica, che non ho mai visto sorpassata, si imbarcò, e rimase dieci settimane a raccogliere campioni in quell'isola, e poi prese un passaggio per tornare a Valparaiso, con una preziosa collezione in una nuova goletta tahitiana, che salpò circa undici mesi fa, e da allora non se ne è più saputo nulla”.
Il console generale degli Stati Uniti per le isole Oceaniche, con il quale il giovane botanico piemontese aveva stretto amicizia, dedicherà a Carlo Bertero un'isola nell'Arcipelago delle Isole degli Amici. Solo l’opera dei colleghi impedisce al lavoro di Bertero di sprofondare nell’oblio. Un catalogo delle scoperte botaniche di Bertero in Cile, in parte già pubblicato nel Mercurio Chileno nel 1829, viene ristampato con un'introduzione di Gualterio Looser solo un secolo dopo la scomparsa dell’autore, nel 1933-1936. Prima di ciò, tuttavia, Luigi Colla pubblica uno studio sulle collezioni cilene di Bertero nelle Memorie dell'Accademia di Torino (1836). Le collezioni di Bertero provenienti dalle Indie Occidentali vengono distribuite agli abbonati da Balbis, il cui nome è talvolta l'unico sulle etichette.