Poche persone possono vantare un'influenza tanto profonda e pervasiva sulla propria cultura di appartenenza, quanto quella esercitata da Giovanni Virginio Schiaparelli sull’immaginario del ventesimo secolo. Quando Schiaparelli, nella notte del 23 agosto 1877, rivolge il nuovo telescopio dell’Osservatorio di Brera verso il punto rosso nel cielo che è il pianeta Marte, difficilmente immagina che dalle sue osservazione fiorirà una quantità infinita di libri, di film, di programmi radiofonici, persino canzoni, che lasceranno un segno indelebile nell'immaginazione umana. Lui, quella sera, vuole solo verificare se il nuovo telescopio possegga una definizione sufficiente per permettergli non solo di studiare le stelle, ma anche i pianeti.
Nativo di Savigliano, dove era nato il 14 marzo 1835, primo di nove figli di Antonino e Caterina Schiaparelli, originari di Biella, Giovanni si era laureato in Ingegneria a Torino nel 1854, interessandosi tra l’altro di geodesia, matematica, meteorologia e storia della scienza; e si era successivamente dedicato a studi di astronomia prima all’Osservatorio di Berlino e poi in Russia, nell’Osservatorio di Pulkovo, a San Pietroburgo. Tornato in Italia, nel 1860 venne assegnato all’Osservatorio Astronomico di Brera – la famosa “Specola” di Brera. Secondo la tradizione, fu nel febbraio del 1760 che due padri gesuiti, Giuseppe Bovio e Domenico Gerra, dopo aver scoperto a occhio nudo una cometa ne seguirono il passaggio con il loro cannocchiale dal tetto del palazzo di Brera; in seguito all'entusiasmo suscitato dalla loro scoperta, Bovio e Gerra convinsero le autorità religiose ad equipaggiare un Osservatorio astronomico nello stesso edificio. La fondazione ufficiale della "Specola" viene tuttavia fatta risalire al 1764, su iniziativa del padre Ruggero Giuseppe Boscovich. Pochi anni dopo, con la soppressione dell’Ordine Gesuita, l’amministrazione si fece carico dell’Osservatorio.
Quando Schiaparelli arriva a Brera, la Specola è uno dei più antichi e attivi osservatori astronomici d’Europa, e quindi del mondo – ed è stato la base di operazioni di La Grange nella sua esplorazione del sistema solare. E a Brera, Schiaparelli si divide fra la curatela delle straordinarie collezioni della biblioteca dell’istituto e le osservazioni notturne del cielo. Il suo interesse primario sono le stelle doppie e quando, dopo due anni, gli viene assegnato il posto di direttore dell’Osservatorio, la sua prima decisione riguarda l’acquisto di un nuovo telescopio rifrattore, un Merz da 218 millimetri. Insieme al suo studio sulle stelle doppie, Schiaparelli si dedica anche a un tema “atipico”, lo studio dell’origine degli sciami di meteore.
L’ambito scientifico di riferimento per questi studi è la meteorologia e non l’astronomia; all’epoca si crede infatti che le piogge di stelle cadenti come le Perseidi (ad agosto) e le Leonidi (a novembre) siano un fenomeno legato alle dinamiche dell’atmosfera, come i fulmini e le aurore boreali. Sarà proprio Schiaparelli a dimostrare invece che questi fenomeni sono spiegabili utilizzando le dinamiche celesti, e a identificare l’origine di questi sciami di stelle cadenti nella dissoluzione di due comete, rispettivamente la 1862III e la 1866I. La fama che deriva da queste osservazioni avrà un peso notevole nello sviluppo successivo della carriera di Schiaparelli, in particolare sulla vicenda che riguarda il Pianeta Rosso. Perché, nella notte del 23 agosto 1877, quando Schiaparelli punta il telescopio verso Marte, ciò che vede è molto diverso da ciò che si aspetta di vedere.
È importante tenere presente che se telescopi di potenza sempre maggiore erano stati disponibili dalla metà del Seicento, fino allo sviluppo della fotografia l’unico modo per gli astronomi di registrare le proprie osservazioni era stato tramite appunti o disegni. L’astronomo doveva idealmente lavorare con un occhio all’oculare del telescopio e l’altro al foglio di carta su cui tracciava i propri schizzi. Un corpus molto voluminoso di questi disegni astronomici era stato raccolto nel 1867 dall’inglese Richard Anthony Proctor, che compilando tutte le informazioni e le immagini disponibili aveva creato una sua mappa di Marte. La mappa di Proctor era basata principalmente su 27 tavole illustrate di William Rutter Dawes, un astronomo che aveva osservato Marte a lungo nel 1864, quando il pianeta era in opposizione (quando cioè la Terra si trovava tra Marte e il Sole). Il Marte di Proctor era caratterizzato da “continenti” e “mari”, riprendendo la nomenclatura usata per la Luna. Pochi anni prima di Dawes, nel 1859, e indipendentemente da questi, l’astronomo italiano e gesuita Angelo Secchi aveva osservato Marte e prodotto 18 disegni che, fra le altre cose, mostravano le calotte polari in bianco e i mari in azzurro. Secchi fu anche il primo a parlare di “canali” sulla superficie marziana.
Ciò che appare al potente telescopio di Schiaparelli, tuttavia, è molto diverso, se è vero che alcune strutture sono riconoscibili nelle mappe di Proctor e negli schizzi di Secchi, è il pianeta nel suo complesso che è diverso da quanto finora pubblicato. La fortunata posizione del pianeta (al momento dell’osservazione, molto vicino alla Terra) e la potenza del telescopio permettono a Schiaparelli di evidenziare elementi della superficie marziana che mai erano stati osservati prima.
Schiaparelli decide perciò di tracciare la propria mappa, avvalendosi delle proprie esperienze nel campo della geodesia e della matematica, per arrivare al risultato più accurato possibile. In particolare Schiaparelli si concentra non tanto sulle differenze di colore della superficie osservata, ma sulle strutture geometriche che il suo telescopio gli permette di rilevare con estrema precisione.
Il primo ciclo di osservazioni del pianeta Marte si chiude nel mese di marzo del 1878. Schiaparelli presenta i risultati del proprio lavoro in una conferenza presso l’Accademia delle Scienze e pubblica una prima monografia di 160 pagine sull'argomento, a cura dell’Accademia dei Lincei. Il lavoro di Schiaparelli desta l’ammirazione dei colleghi. L’astronomo è riuscito a calcolare l’asse di rotazione del pianeta Marte e le sue mappe della superficie sono le più precise e raffinate finora prodotte. Adottando la nomenclatura dalla letteratura classica e dalla mitologia, Schiaparelli ha dato un nome ai mari e alle montagne di Marte e ha descritto la rete di canali che solca la superficie del Pianeta Rosso.
È qui che l’ambiguità della lingua italiana trae in inganno il traduttore al punto che, quando il lavoro di Schiaparelli viene presentato al pubblico anglosassone, la parola “canale” non viene tradotta come “channel”, che indica un canale naturale, ma come “canal” che indica invece una struttura artificiale – come il Canale di Suez, completato da pochi anni e meraviglia tecnologica del suo tempo. Improvvisamente il lavoro di Schiaparelli sembra indicare che ci sia vita intelligente su Marte.
L’ipotesi che Marte ospiti la vita non è nuova: nel 1867, infatti, gli studi spettrometrici di Richard Huggins hanno dimostrato la presenza di vapore acqueo nell'atmosfera marziana e le calotte polari disegnate da Secchi sembrano indicare la presenza di acqua, un fattore essenziale per lo sviluppo della vita. Ma ora c’è molto di più: ci sono 160 pagine di una monografia scritta da uno scienziato rispettatissimo per le sue precedenti ricerche. E ne seguiranno altre sei, di monografie, su un arco di trent’anni.
In realtà Schiaparelli non pensa a delle strutture banali come dei canali.
Piuttosto che veri canali della forma a noi più familiare, dobbiamo immaginarci depressioni del suolo non molto profonde, estese in direzione rettilinea per migliaia di chilometri, sopra larghezza di 100, 200 chilometri od anche più. Io ho già fatto notare altra volta, che, mancando sopra Marte le piogge, questi canali probabilmente costituiscono il meccanismo principale, con cui l'acqua (e con essa la vita organica) può diffondersi sulla superficie asciutta del pianeta.
(G. Schiaparelli, "La vita sul pianeta Marte", 1895)
Le linee scure che l’astronomo ha osservato sulla superficie del pianeta non sono corsi d’acqua, naturali o (più probabilmente) artificiali, ma ampie fasce vegetate, foreste e praterie che si sviluppano in presenza delle uniche fonti d’acqua disponibili.
La situazione si complica quando, proseguendo nelle proprie osservazioni, Schiaparelli osserva un fenomeno che descriverà come “geminazione dei canali” – in certi periodi dell’anno, un secondo reticolo di canali compare sulla superficie marziana, parallelo a quelli “stabili”. Come spiegare questo fenomeno?
Nel 1889 l’astronomo americano Charles A. Young conferma la presenza dei canali osservati da Schiaparelli e, nel 1892, dal suo osservatorio di Arequipa, Perù, W.H. Pickering osserva la presenza di “macchie nere” all'intersezione dei canali principali. Forse città?
È qui che Schiaparelli nei suoi lavori parlerà di “salire in groppa all’ippogrifo” – una metafora letteraria per segnalare che si sta passando dall'osservazione e descrizione dei dati a una interpretazione libera e fantasiosa dei medesimi.
Concediamo ora alla fantasia un più libero volo; sempre appoggiati, per quanto è concesso, al fondamento sicuro dell’osservazione e del ragionamento, tentiamo di renderci conto del modo, con cui sarebbe possibile in Marte l’esistenza e lo sviluppo di una popolazione d’esseri intelligenti, dotati di qualità e soggetti a necessità non troppo diverse dalle nostre: e sotto quali condizioni si potrebbe ammettere, che i fenomeni dei così detti canali e delle loro geminazioni possano rappresentare il lavoro di una simil popolazione.
(G. Schiaparelli, "La vita sul pianeta Marte", 1895)
I lavori speculativi di Schiaparelli escono sulla rivista Natura e Arte e sono quello che oggi chiameremmo ottima divulgazione scientifica. Sono scritti con stile chiarissimo e infiammano l’immaginazione dei lettori. In America, l’astronomo Percival Lowell sposa le tesi di Schiaparelli, e pubblica tre libri che diventeranno popolarissimi: Mars (1895), Mars and Its Canals (1906) e Mars As the Abode of Life (1908).
Al tramonto del XIX secolo, i marziani entrano prepotentemente nell'immaginario popolare.
Alla fine del diciannovesimo secolo nessuno avrebbe creduto che le cose della Terra fossero acutamente e attentamente osservate da intelligenze superiori a quelle degli uomini e tuttavia, come queste, mortali; che l'umanità intenta alle proprie faccende venisse scrutata e studiata, quasi forse con la stessa minuzia con cui un uomo potrebbe scrutare al microscopio le creature effimere che brulicano e si moltiplicano in una goccia d'acqua.
(H. G. Wells, "La guerra dei mondi", 1897)
È interessante rilevare che tuttavia non fu la fantascienza la prima ad appropriarsi delle idee di Schiaparelli: poco dopo la pubblicazione dei primi lavori divulgativi dell’astronomo torinese, e cavalcando l’onda dell’entusiasmo popolare, Eusapia Palladino, medium e “celebrity” fin-de-siecle che ha sorpreso e convinto tanto Cesare Lombroso quanto Marie Curie e Arthur Conan Doyle dei propri poteri paranormali, comincia nelle sue sedute a prendere contatto con gli spiriti dei marziani. Non è chiaro se siano marziani vivi o marziani morti, ma comunque le confermano nei propri racconti tutto ciò che Schiaparelli ha fino a quel punto pubblicato. E lo stesso Schiaparelli parteciperà a una delle sedute della Palladino a Napoli – un fatto che testimonia l’attiva curiosità intellettuale dell’astronomo.
Non tutti, tuttavia, sono convinti dai lavori di Schiaparelli e Lowell. Fra gli oppositori figura anche Alfred Russel Wallace, co-autore della teoria dell’evoluzione con Darwin, che contesta soprattutto le conclusioni raggiunte dall'astronomo americano. Ma se il dibattito scientifico rimane acceso e vitale, per il pubblico ormai i giochi sono fatti: c’è vita su Marte, o sarebbe bello se ci fosse.
Il Marte di Schiaparelli è un pianeta morente e dall’atmosfera rarefatta, sul quale gli oceani si stanno ritirando e la vita si aggrappa ai canali che gli abitanti hanno creato per ottimizzare le poche risorse rimaste. La duplicazione o geminazione dei canali è prova di periodiche variazione nei flussi e dell’attivazione di chiuse per favorire l’irrigazione. La vita su Marte è dura e autori successivi immagineranno una civiltà decadente, che sopravvive fra i resti di un passato glorioso e scientificamente avanzato, in fatalistica attesa della fine, in un mondo selvaggio e brutale.
A nord, l'orizzonte mostrava uno strano e spettrale barlume in cui la parete della barriera del ghiaccio polare si sollevava, gigantesca contro il cielo. Il vento soffiava, giù dai ghiacciai, attraverso le gole delle montagne, attraverso le pianure, senza mai cessare. E qua e là sorgevano le torri criptiche, monoliti di pietra spezzati.
(Leigh Brackett, "Black Amazon of Mars", 1951)
Dal Marte di Schiaparelli arrivano i marziani che invadono la terra nel romanzo di H.G. Wells, del 1897 e verso il Marte di Schiaparelli viaggia – con un procedimento che ha maggiore affinità con lo spiritismo che con la scienza – John Carter, il protagonista di A Princess of Mars, primo romanzo di Edgar Rice Burroughs, del 1912. Sul Marte di Schiaparelli – opportunamente aggiornato da Burroughs – si muoveranno gli eroi della fantascienza dell’Età dell’Oro e da Marte giungeranno ondate successive di invasori in libri, film, fumetti.
Sarà solo nell'inverno del 1964 che la sonda Mariner 4, sorvolando il pianeta e scattando fotografie della superficie, smantellerà per sempre le ipotesi di Schiaparelli e di Lowell. Su Marte non ci sono canali, non ci sono mari e non ci sono città in rovina popolate di avvenenti principesse discinte come quelle descritte da Burroughs. Nessuna mente fredda e inumana osserva la Terra pianificando conquiste. Marte è una pietraia gelida, e non si ravvisa alcun segno di vita, attuale o antica.
Tuttavia il lavoro di Giovanni Schiaparelli non è stato inutile o ridicolo. Dal suo Osservatorio di Brera Schiaparelli ha esplorato il cosmo con una mente acuta e con un’immaginazione fervida, ma comunque educata dai principi del metodo scientifico, e ha sempre presentato le sue ipotesi più avventurose come qualcosa di concepito cavalcando un ippogrifo, come Astolfo in viaggio verso la Luna. Straordinario divulgatore, negli ultimi anni della sua vita Schiaparelli si dedica alla storia dell’astronomia pubblicando un corpus di articoli divulgativi e accademici sull'argomento che saranno riuniti, nel 1925, in tre corposi volumi Scritti sulla storia della astronomia antica.
Inconsapevolmente Schiaparelli ha anche dato una spinta all'immaginazione dei suoi contemporanei e delle generazioni future, creando le basi di un mito che non accenna a svanire. Giovanni Schiaparelli si spegne a Milano il 4 luglio 1910.
Nel 2016 l’Agenzia Spaziale Europea sgancia sulla superficie del Pianeta Rosso una sonda per lo studio dell’atmosfera e della superficie di Marte intitolata a Schiaparelli.