La recente e inedita ostensione online e in diretta televisiva della Sacra Sindone ha rinfocolato l’attenzione, peraltro mai sopita, sulla reliquia più famosa e venerata, ma anche più discussa e divisiva, della cristianità. Sebbene i test al Carbonio-14 del 1988 abbiano stabilito l’origine medievale della Sindone, i quesiti sollevati dal sudario sono sempre più numerosi rispetto alle risposte fornite. In questo articolo proveremo a rispondere ad alcune domande, ricostruendo, nel contempo, l’intricata storia di questo enigmatico lenzuolo funebre.
Iniziamo con una domanda apparentemente semplice: cos’è la Sindone? Si tratta di un telo rettangolare di notevoli dimensioni tradizionalmente identificato con il sudario che avvolse Cristo. Per tutta la sua lunghezza, di circa 4,41 metri, corre una sottile striscia, alta 8 centimetri, cucita in un secondo tempo rispetto al resto del tessuto, il cui scopo originario non è mai stato chiarito. Per la realizzazione della Sindone è stata impiegata una tecnica di tessitura, detta a spiga, che prevede un rapporto di 3:1 tra fili dell’ordito e della trama. Se la tecnica non è inusuale, lo è invece il materiale: pochi manufatti simili sono in lino, che tuttavia possiede una notevole resistenza all’umidità, ai microrganismi e ai solventi. Le fibre di lino hanno poi la tendenza naturale a torcersi in senso antiorario – la cosiddetta torcitura a “S” tipica di molti antichi filati egiziani. Esistono però, anche filati con torcitura antioraria, o a “Z”, e la Sindone è uno di questi.
La risposta al secondo interrogativo – cosa si vede sulla Sindone? si fa più complessa. Sulla superficie del lato anteriore del telo si possono osservare le impronte anatomiche di un uomo dell’età, presumibile, di 36-40 anni e dalla statura compresa tra 170 e 178 centimetri. Le immagini appartengono allo stesso soggetto, sono accostate per il capo e, benché prive di margini definiti e in scarso contrasto con lo sfondo, risultano sufficientemente delineate da mostrare una certa compatibilità con gli effetti della crocifissione. Il sudario, inoltre, rivela molteplici segni di lesioni. I più caratteristici e numerosi sono riconducibili alle conseguenze della flagellazione compiuta con un oggetto simile al flagrum romano.
A sinsitra, il negativo della Sacra Sindone con le due impronte anatomiche allineate longitudinalmente e a destra, il volto dell’Uomo della Sindone dal negativo originale di Secondo Pia.
Grazie all'applicazione dei principi di medicina legale alle immagini anatomiche è stato possibile ricavare maggiori informazioni dalle ferite. Le lesioni facciali rivelano una certa simmetria: lo zigomo destro appare tumefatto e la guancia destra evidenzia una lacerazione, mentre l’immagine del naso, allungato e disassato, sembra interrotta da una ferita. Sulla fronte e sulla nuca sono presenti più di trenta ferite a punta, causate da quella che la tradizione identifica con la corona di spine. Le braccia sono piegate in corrispondenza delle spalle – circa 100° il braccio destro e 90° il sinistro. Evidente è la lesione al polso sinistro: tondeggiante e dai contorni netti, parrebbe provocata da un chiodo. Sebbene nell'iconografia tradizionale Cristo sia raffigurato con i palmi trafitti dai chiodi, nella realtà venivano preferiti i polsi poiché in grado di sostenere meglio il peso della vittima. L’immagine anatomica anteriore evidenzia anche una lacerazione all'altezza del torace causata da un oggetto appuntito e acuminato – secondo la tradizione, l’estremità della lancia di un soldato romano.
Sul dorso dell’impronta sindonica spiccano due grossi segni di lesioni quadrangolari ascrivibili al patibulum, cioè alla parte orizzontale della croce trasportata sulle spalle del condannato fino al luogo del supplizio. Quanto ai piedi, la loro immagine è restituita soltanto dall’impronta posteriore del corpo, sulla quale si nota il piede sinistro sovrapposto al destro.
Sul telo funebre c’è dell’altro. Sono le tracce lasciate da perdite di sostanza di varia natura avvenute in tempi remoti alle quali si aggiungono le conseguenze dell’incendio del dicembre 1532, scoppiato quando la Sindone era custodita presso la Sainte-Chapelle di Chambéry. Pare che il sudario fosse conservato in un pregevole scrigno commissionato da Margherita d’Asburgo, moglie di Filiberto II di Savoia. Il calore delle fiamme avrebbe iniziato a fondere la copertura, e da questa alcune gocce di metallo fuso sarebbero cadute sul telo ripiegato all’interno. Per fortuna, gli interventi non tardarono e l’acqua gettata sul reliquiario ne impedì la completa fusione. Nel 1534, per rimediare alle bruciature, la corte Savoia affidò la Sindone alle suore Clarisse di Chambéry: queste fissarono il telo a un supporto di lino d’Olanda (rimosso soltanto nel 2002) e ripararono le otto aree danneggiate con ventuno rappezzi di tela.
Fondamentali per comprendere la natura del lenzuolo sono quelle che, a prima vista, appaiono macchie ematiche e che, dopo analisi in laboratorio, si sono confermate tali. Da indagini più approfondite è emerso che il sangue, di gruppo AB, risulta molto antico e appartiene a un individuo di sesso maschile. È stato poi osservato che non tutte le macchie hanno lo stesso colore: alcune sono più chiare e rivelano proprietà ottiche del siero di sangue; in altre, più scure, si trova una miscela di sangue vitale e cadaverico. Secondo il professor Baima Bollone, la differenza cromatica sarebbe imputabile alla forte presenza di bilirubina, che si forma dalla degradazione dell’emoglobina e, legandosi all’albumina e ad altre proteine, assume una tonalità giallo-arancio. La quantità di bilirubina aumenta in corrispondenza di eventi traumatici: più essa aumenta, più il colore del sangue si intensifica.
Tra le fibre del Sacro Telo sono state rinvenute microtracce di vario tipo. Significative sono quelle lasciate dai pollini. Di dimensioni comprese tra 20 e 200 millesimi di millimetro, i pollini hanno vita breve, ma forma e struttura rimangono invariate per millenni. Il botanico e criminologo Max Frei, sorpreso dall'enorme quantità di pollini intrappolati tra le fibre del lenzuolo, fu autorizzato, nel 1973 e nel 1978, a compiere alcuni prelievi. Negli stessi anni si recò nel Vicino Oriente per identificare alcuni pollini sconosciuti. Alla fine riuscì ad associare 58 specie di pollini ad altrettante piante: 45 di esse erano tipiche dell’area intorno a Gerusalemme, due erano indicatrici specifiche delle steppe anatoliche, dove sorgeva l’antica città di Edessa, mentre una pianta cresceva solo a Costantinopoli. D’accordo Gerusalemme: ma cosa c’entrano Edessa e Costantinopoli?
La Sindone è legata a un’antica tradizione riguardante Abgar V, sovrano di Edessa, e alla presenza, nell'attuale città turca di Şanlıurfa, di una reliquia nota come Mandylion. Sappiamo che il Mandylion, termine greco per il moderno foulard, era forse molto più di un semplice fazzoletto, ma un lenzuolo ripiegato su se stesso recante l’immagine di un corpo martoriato. La fama del Mandylion si diffuse presto in tutto l’impero bizantino, stuzzicando, però, l’appetito dell’imperatore d’Oriente Romano I Lecapeno. Questi fece assediare Edessa fino a costringere le autorità cittadine a cedere la reliquia. Al trasferimento a Costantinopoli seguirono processioni e celebrazioni trionfali. Secoli dopo, nel luglio 1204, l’esercito crociato saccheggiò la capitale imperiale depredandola di ogni bene, Mandylion compreso. Una testimonianza dell’assedio fu lasciata da uno dei cavalieri crociati, il francese Robert de Clari, nel suo Ceux qui conquirent Constantinople. Al termine della Crociata il lenzuolo sparì. Per qualcuno si riaffacciò in Europa con il nome di Sindone. Esistono svariate ipotesi al riguardo, ma se davvero Mandylion e Sindone fossero la stessa cosa, rimarrebbe sempre uno scarto temporale di circa 150 anni.
Infatti, la Sindone apparve, tra il 1353 e il 1356, a Lirey, nella regione della Champagne, nelle mani del feudatario Geoffroy de Charny. In quegli anni, Geoffroy fondò una chiesa che affidò a una collegiata di canonici. Da una lettera del 1389, scritta dal vescovo di Troyes, Pierre d’Arcis, sappiamo che la Sindone era stata mostrata ai fedeli di Lirey per circa 34 anni, ossia a partire dal 1355. Re francese, papa e vescovi, in un primo tempo, non ebbero nulla da obiettare, ma Geoffroy II, figlio del precedente, ebbe l’impudenza di non chiedere mai l’autorizzazione al vescovo di Troyes – dove, intanto, la cattedrale cadeva a pezzi e l’attenzione era tutta rivolta alla vicina Lirey e alla sua reliquia. Feroci controversie sorsero tra la diocesi e i de Charny. Allo scoppio della guerra civile, e in seguito alla morte di Geoffroy II, i contrasti si placarono e le ostensioni furono sempre più problematiche, al punto che, nel 1418, i canonici di Lirey restituirono il sudario a Margherita de Charny, ultima discendente della casata. Questa la portò con sé nei suoi spostamenti e si rifiutò di restituirla ai canonici.
Nel 1453 Margherita bussò alla corte di Ludovico di Savoia, al quale si era rivolta in cerca di protezione e supporto. Nello stesso anno i due sottoscrissero alcuni atti relativi a un notevole giro d’affari, anche se nessuno di essi menziona la Sindone. Il Sacro Telo, comunque, passò ai Savoia diventando il tesoro più prezioso nonché potente strumento di legittimazione politica. Seguirono anni difficili durante i quali la Sindone seguì gli spostamenti della corte: nella seconda metà del XV secolo, il telo fu a Vercelli, Ivrea, Moncalieri; poi tornò a Chambéry prima di visitare Pinerolo, Rivoli e ancora Vercelli. Per sancire il ruolo egemone di Torino all'interno del ducato, nel 1578 Emanuele Filiberto trasferì la reliquia all'interno della chiesa di San Lorenzo. Nel 1582, il suo successore, Carlo Emanuele, in attesa di far costruire una cappella apposita, decise di portare il prezioso oggetto nel duomo di San Giovanni. Il progetto definitivo della cappella vide la luce soltanto nel 1694.
Nel corso del diciannovesimo secolo le ostensioni diminuirono drasticamente. Importante fu quella del 1898 poiché permise all’astigiano Secondo Pia di realizzare le prime immagini fotografiche del Sacro Lenzuolo. Nel 1931 toccò a Giuseppe Enrie scattare nuove fotografie, questa volta con una qualità superiore rispetto alle precedenti. Il rapporto tra Sindone e casa Savoia terminò nel 1983 allorché, alla morte di Umberto II, la “piena proprietà” del lenzuolo funebre passò alla Santa Sede.
Sul finire degli anni Settanta del secolo scorso si cercarono risposte precise a uno degli interrogativi più pressanti e decisivi: l’età del tessuto. Il Vaticano, nel 1988, autorizzò prelievi al fine di datare il telo con il metodo del Carbonio-14. I tre laboratori incaricati (Arizona, Oxford e Zurigo) pervennero agli stessi risultati: la Sindone risalirebbe a un periodo compreso tra il 1260 e il 1390. Invece di mettere la parola fine alle speculazioni, le datazioni scatenarono vibranti polemiche e resero ancora più netta la distinzione tra chi continuava a credere di trovarsi di fronte al sudario di Cristo e chi, invece, forte del sostegno scientifico, considerava la Sindone un falso clamoroso. I primi non erano affatto convinti dalla decisione di affidarsi a tre laboratori rispetto ai sei inizialmente previsti e nemmeno dalla scelta di un solo metodo di datazione. Sollevò parecchie perplessità anche la sede del prelievo, corrispondente al bordo superiore del lenzuolo, una delle aree più contaminate.
Oggi le ricerche alternative sul lenzuolo più famoso del mondo non si contano più. Tra gli studi più recenti, un tentativo di datazione a opera di Giulio Fanti, senza dubbio uno dei sindonologi più agguerriti. Egli ha sottoposto polveri asportate dal sudario a tre misurazioni compiute con metodi differenti – due spettroscopici e uno meccanico, che hanno tuttavia sollevato parecchie perplessità. Risultato: la Sindone non sarebbe un manufatto medievale, ma risalirebbe al I° secolo d.C. Nel 2014, Matteo Borrini e Luigi Garlaschelli hanno provato a verificare la postura del corpo dell’uomo della Sindone basandosi sulle colature di sangue degli avambracci. Da ciò avrebbero dedotto una posizione del crocifisso differente da come la intendiamo, e cioè con le braccia in una postura a “Y”. Gli stessi studiosi, quattro anni più tardi, con un esperimento di medicina forense avrebbero provato l’incompatibilità delle macchie di sangue con un uomo messo in croce e poi deposto in un sepolcro. Nel settembre 2019, dal ritrovamento di microparticelle metalliche di monete bizantine anteriori all'XI secolo, Giulio Fanti e Claudio Furlan avrebbero ricavato un’età del lenzuolo diversa da quella stabilita nel 1988. Di recente, dopo circa trent’anni di attesa, i tre laboratori prima ricordati hanno pubblicato i dati grezzi delle misurazioni effettuate. Un gruppo di ricercatori li ha analizzati e ha notato una mancanza di omogeneità tra i calcoli eseguiti e i risultati conclusivi pubblicati sulla rivista Nature nel 1989. Sono stati sollevati ulteriori dubbi sui campioni prelevati, sul cambio di protocollo e, infine, è stata avanzata l’opportunità, a oltre trent'anni dal test, di eseguire un nuovo esame al Carbonio-14 che sappia tener conto delle innovazioni avvenute nel frattempo.
Se davvero la Sindone risale al Medioevo, rimangono comunque irrisolte due questioni cruciali: come si sono formate le immagini e, soprattutto, chi è l’uomo della Sindone? Il desiderio o, per qualcuno, la presunzione dell’individuo moderno di dominare l’ignoto con le armi della ragione e della tecnica si sono finora dovute arrendere di fronte all’elusività del lenzuolo. Dopotutto, se la Sindone ha destato così tanto interesse e fatto versare fiumi d’inchiostro, ciò è dovuto principalmente al fascino irresistibile dell’enigma. Una cosa possiamo affermare con certezza: la Sindone continuerà a dividere e appassionare ancora a lungo. Dunque, che il mistero continui.