Il progresso secondo Galileo Ferraris

Il genio che sognava l'elettricità nelle case degli italiani

Galileo Ferraris nel 1890 circa.

Fisica di formazione, collabora con diverse testate nazionali ed estere come giornalista e divulgatrice scientifica. Ha collaborato con molti Istituti di Ricerca e Osservatori Astronomici italiani e internazionali. Nel 2008 ha ricevuto il Premio “Voltolino” in giornalismo scientifico.

  

“Ma anche la bella compagnia in quei giorni dava ragion di ridere alle sue spalle. Trovo notato fra gli appunti: - Galileo Ferraris - . È il ricordo d’una corsa fatta con lui per un tratto del Viale Margherita. I giornali avevano pubblicato in quel giorno le proposte fatte dalla Società al Municipio per l’istituzione dei tranvai elettrici. E spesso, tra i passeggeri, s’udivano su quell’argomento delle uscite amenissime. Sarebbero forse state più guardinghe le due eleganti bottegaie o modiste o quidsimile, che si divertirono per cinque minuti, se avessero saputo che quel bel signore bruno e pallido, dal sorriso dolcissimo e dagli occhi socchiusi, il quale stava leggermente chino per raccogliere, senza farsi scorgere, i loro discorsi, era un elettricista di fama mondiale. La più giovane, con un cappellino incoronato di magnolie, giurava che sui nuovi tranvai elettrici non avrebbe mai messo piede, e domandata dall’altra del perché, rispondeva vivamente: - Ma come? E s’a se scianca ‘l fil?"

E sì, proprio così: e se si strappa il filo?

Malattie bisbetiche e molto altro

Queste righe tratte da La carrozza di tutti di Edmondo De Amicis rendono bene l’idea delle perplessità che assalirono le persone comuni di fronte all’imminente introduzione di una nuova tecnologia a Torino. Per rendersene conto Galileo Ferraris non esita a mescolarsi in incognito tra la gente per tastarne l’umore, per quanto gli fosse concesso dato che era pur sempre un inventore ed elettricista di fama mondiale. Ascolta noncurante i discorsi che giungono direttamente alle sue orecchie e, in silenzio, lisciandosi la barba nera, registra tutti i rischi possibili a lui stesso sconosciuti, come quello di poter toccare inavvertitamente, salendo o scendendo dal tram, la cassetta dove si trovava il così detto “deposito delle scintille” e cadere per terra stecchiti.

Un tram attraversa piazza Vittorio Veneto a Torino nel 1855.
Un tram attraversa piazza Vittorio Veneto a Torino nel 1855.

Peggio ancora, sulla linea del Martinetto, Ferraris sente un vecchietto pronosticare che i nuovi fili, che stavano aggiungendosi ai troppi altri già distesi tra casa e casa,

saturando l’aria di elettricità, erano cagione di tanti sconcerti nervosi, di tante malattie bisbetiche e stravaganze d’idee e audacie matte di partiti sovversivi, per cui il mondo andava diventando un inferno.

Lasciamo Ferraris sulle linee metropolitane ad ascoltare le preoccupazioni e i timori dei cittadini di fronte ad un nuovo progresso tecnologico del quale era stato lui stesso un fautore, per ripercorrere la vita e l’opera di questo genio schivo che, nel suo laboratorio, scoprì il campo magnetico rotante.

“Gli altri facciano i denari, a me basta quel che mi spetta: il nome”.
Galileo Ferraris

Non voglio mica diventare un asino!

Galileo Ferraris
Galileo Ferraris

A Livorno Ferraris, chiamato in passato Livorno Vercellese, nacque il 31 ottobre 1847 Galileo Giuseppe Antonio, nella famiglia numerosa del farmacista Luigi Ferraris. L’indole dello scienziato e della persona responsabile e rigorosa si affermò ben presto nella sua infanzia, vuoi per la perdita della madre Antonia Carlotta Messia avvenuta in tenera età, vuoi per una predisposizione innata verso una precoce e spasmodica curiosità del mondo che lo circondava.

Come ricordava Luigi Firpo, Galileo Ferraris:

bambino seienne, affardellò un giorno tutti i libri dismessi dal fratello maggiore su cui riuscì a metter mano ed andò a prender posto su un banco della quarta classe nella scuola comunale; al maestro che gli domandava stupito come fosse capitato in quell'aula rispose: "non voglio mica diventare un asino, io", venne così accompagnato in prima, minuscolo volontario, prima di aver toccato l’età prescritta.

Un giovanissimo ingegnere

Quando si trasferì a Torino all’età di dieci anni ospite di uno zio medico per proseguire i suoi studi presso il Ginnasio e Liceo del Carmine, gli andò decisamente meglio. Con uno stratagemma, ben espresso nelle lettere al padre e che poteva essere combinato all’epoca, si ritrovò a terminare gli studi superiori e contemporaneamente a frequentare come uditore il primo anno universitario di modo che, sostenendo vari esami, alcuni in orari a noi impensabili, tra le 7 e le 8 del mattino, si ritrovò a 22 anni, nel settembre del 1869, già laureato in ingegneria civile presso la Regia Scuola d’Applicazione per gl’Ingegneri con una tesi sull’energia distribuita a distanza.

Regia Scuola d'Applicazione per gl'Ingegneri al Castello del Valentino (© Archivio Storico della Città di Torino).
Regia Scuola d'Applicazione per gl'Ingegneri al Castello del Valentino (© Archivio Storico della Città di Torino).

In questi anni di studio furono diverse le lettere inviate al padre per informarlo sugli esami sostenuti, sul suo stato di salute o sullo stato della sua casa:

Puzza di vuoto. Causa di ciò sono le mance al bidello dell’università, un paio di scarpe comperate, e alcuni libri fatti legare; e a esse puoi aggiungere due o tre colazioni fatte al caffè, e anche le numerose tazze di caffè prese con lo scopo di tenermi isvegliato.

In gita al traforo del Frejus

In una lettera, scritta un paio di mesi prima della laurea, Ferraris racconta al padre di aver partecipato ad una gita di istruzione per osservare i lavori del costruendo traforo del Frejus, considerato la più alta realizzazione di ingegneria dell’epoca.

Traforo del Frejus, lato italiano.
Traforo del Frejus, lato italiano.

Per il giovane Ferraris fu un viaggio "piacevolissimo ed istruttivissimo", tutto condensato in un libretto denso di appunti, di calcoli, di formule matematiche e ricco di aneddoti. La gita iniziò a Susa alle tre del mattino per visitare il cantiere tra Bussoleno e Meana. Ben 14 ore di marcia dove, in quattro punti, furono costretti ad usare le corde per poter passare e raggiungere il cantiere della galleria,

che costa all’impresa spese incalcolabili e benché breve, non potrà essere finita fra tre anni, in causa dell’enorme quantità d’acqua che trapela da quelle rocce. Ritornati a Susa sul far della sera, e passata nell’allegria quasi tutta la notte (perché non v’ha forse letto in Susa in cui si possa dormire senza essere divorato dalle cimici), il domani di nuovo alle tre antimeridiane, salimmo in vettura e fummo trasportati fino a Chaumont [Chiomonte].

In serata Ferraris e i suoi compagni furono ospiti in brande organizzate nelle case operaie a Bardonecchia, per poi iniziare il mattino seguente la visita della galleria:

Ci imbaccuccarono a mo’ de’ minatori, e ci fecero salire su di un convoglio appositamente preparato, che ci condusse fino a cinque chilometri entro la galleria. A questo punto, il convoglio non poteva più proseguire, epperò a piedi, nel fango, e con una temperatura di circa quaranta gradi, progredimmo fino al fondo dello scavo già fatto. L’emozione che si prova assistendo a tali scene, non si può descrivere: lo scoppio delle mine, il rumore delle perforatrici, il sibilo dell’aria compressa che, or qua, or là, sfugge fra le connessure dei tubi, e le voci degli operai che, nudi, passano i loro giorni in quella bolgia, formano di quell’antro il più nero teatro. Io credo che chi non avesse visitato come noi quaranta gallerie, non vi resisterebbe.
Perforatrice pneumatica e compressori mobili utilizzati durante i lavori del Frejus, tratto da
Perforatrice pneumatica e compressori mobili utilizzati durante i lavori del Frejus, tratto da "L'Illustration", 1862.

Al gruppo si unirono nei giorni seguenti gli studenti di ingegneria della Sorbona, anche loro in visita di istruzione, per esplorare insieme i lavori sul versante francese e qui Ferraris confrontò le tecniche di lavorazione sui due versanti:

Differentissimi da quelli di Bardonecche [Bardonecchia], ma non meno belli e interessanti, questi lavori ci entusiasmarono.

La trasmissione dell'energia

Poco tempo dopo Ferraris discusse la sua tesi sulla telodinamia, ovvero il trasporto della forza a distanza, problema che lo occuperà tutta la vita.

Frontespizio della tesi di laurea di Galileo Ferraris.
Frontespizio della tesi di laurea di Galileo Ferraris.
La grande industria si sviluppò in questi ultimi tempi poderosamente a danno dell’industria domestica. L’economia della forza e della produzione tende ogni giorno a far sostituire alle piccole officine i grandi centri di lavoro, attorno ai quali la popolazione operaia è costretta ad aggrapparsi. Una tale organizzazione del lavoro ha destato in molti spiriti i più vivi timori; si deplora che la famiglia sia distrutta, che l’interesse individuale e le sue benefiche conseguenze scompaiano; che una centralizzazione invaditrice tenda a fare della popolazione manufatturiera un immenso arruolamento.

Partendo da queste osservazioni, a testimonianza non solo delle sue doti di scienziato, ma anche della sua attenzione verso i temi sociali, Ferraris difese i suoi studi sostenendo che

le funi metalliche dipartendosi dal motore, e seguendo canali sotterranei, andrebbero a mettere in moto telai, distribuiti nelle case operaie, ed affidati dalle donne, che non lavorano nell’opifizio. Questo sistema aumenta quindi il benessere della famiglia senza lederla, senza togliere i figli alle cure dirette della madre. Se è vero che il lavoro alla fabbrica conduce alla distruzione della famiglia, non è improbabile che nel progresso della telodinamia stia pure racchiuso il compimento d’un progresso sociale.

Periziare i mulini

Dopo la laurea il giovane ingegnere piemontese lavorò da subito come assistente del professor Codazza al corso di Fisica Tecnica presso il Museo Industriale Italiano e poi, nel 1878, come professore. Per arrotondare accettò da subito diversi incarichi straordinari: nel 1873, ad esempio, Ferraris venne incaricato dal tribunale di periziare i mulini collocati sui monti dell’Appennino ligure, il lavoro consisteva nel determinare la quota fissa di tasse a carico dell'esercente per ogni cento giri di macina, secondo quanto disposto dall'impopolare imposta sul macinato riproposta dal governo Menabrea.

Durante i suoi viaggi di lavoro Ferraris annotò vari dati tecnici sul funzionamento dei mulini, la portata delle acque, la qualità delle macine e i tipi di farine (quelle grosse per esempio erano destinate “per uso delle sussistenze militari, della marina e dei condannati”) senza dimenticarsi di annotare anche i sotterfugi escogitati dai molinari per confondere a loro favore gli accertamenti.

Alle origini del Politecnico

Se vi domandate dove si trovi oggi il Museo Industriale, sappiate che da tempo non esiste più, ma era collocato dove ora sorge a Torino il piazzale Valdo Fusi. Il museo venne incorporato alla Scuola di Applicazione per Ingegneri per la fondazione, nel 1906, del Politecnico, e l’edificio venne distrutto dai bombardamenti del Secondo conflitto mondiale.

Regio Museo Industriale, Scuola di Elettrotecnica
Regio Museo Industriale, Scuola di Elettrotecnica "Galileo Ferraris", laboratorio degli allievi. Da "R. Museo Industriale Italiano" Torino, C. Favale e Compagnia, 1871 (© Biblioteche Civiche Torino, immagine tratta da www.museotorino.it).

Vale però la pena di accennare brevemente alla sua storia. Quando Torino perse il ruolo di capitale la città tentò varie strade per risorgere: al Regio Museo Industriale, che in origine era un convento, venne affidato il compito di preparare ingegneri e capi officina per le varie fabbriche che avrebbero assicurato il decollo industriale del Piemonte.

Studenti illustri

In questo contesto Ferraris ebbe un’intuizione per le sue lezioni. Il suo corso di elettrotecnica avrebbe dovuto rifarsi al modello dell’Istituto elettrotecnico Montefiore di Liegi, fondato nel 1883, secondo il quale le lezioni teoriche dovevano essere accompagnate da esercitazioni di laboratorio e di officina.

Camillo Olivetti, anni Trenta.
Camillo Olivetti, anni Trenta.

Ferraris abituava gli studenti, con i quali ebbe sempre un ottimo rapporto, alla deduzione analitica, come ricorda un suo allievo, Ignazio Verrotti a proposito della macchina dinamo-elettrica. Quest'ultima venne presentata da Ferraris inizialmente “in forma affatto ideale”, da cui “potevansi dedurre tutti i tipi di dinamo costruiti o costruibili”, poi "gradatamente" venne spiegata "sino a farcela vedere col pensiero nella sua vera forma e funzione".

Un altro studente che frequentò le lezioni di Ferraris e il suo laboratorio fu Camillo Olivetti. Immaginandosi fin da giovane come costruttore di strumenti elettrici, Olivetti, su presentazione dello stesso Ferraris, venne mandato in Inghilterra da Silvanus Thompson, elettrotecnico di fama mondiale. Olivetti accompagnò inoltre Ferraris in America come interprete per il congresso di Chicago ed ebbe modo di ricordare che "grazie all’illustre uomo ebbi modo di conoscere una quantità di uomini illustri nell’elettromeccanica". Fu sempre grazie a Ferraris che Olivetti decise di accettare il posto di assistente all’Università di Stanford in California per poi dare il via, nel 1894, alla sua avventura industriale, ma questa è un’altra storia.

“La luce elettrica subentrerà sulle pubbliche strade a quella del gas. […] I nostri figli la vedranno applicata e quando vi saranno abituati non tollereranno più la luce del gas. Essi avranno un bisogno di più, che noi non abbiamo ancora, ma questa è la legge naturale del progresso”.
Galileo Ferraris, 1879

La scoperta del trasformatore

L’eredità più evidente che ci ha lasciato l'ingegnere vercellese sono gli imponenti tralicci elettrici che punteggiano le campagne. Nei loro cavi relativamente sottili, come ricordava Luigi Volta, nipote del famoso Alessandro,

Campo magnetico rotante tra due spire perpendicolari. Schema pubblicato su
Campo magnetico rotante tra due spire perpendicolari. Schema pubblicato su "Il Nuovo Cimento", Pisa, 1888.
fluiscono fiumi giganteschi di energia, che muovono migliaia di macchine, compiendo il lavoro di titani, illuminando le veglie di milioni di uomini. Quelle imponenti strutture devono ricordarci il grande elettricista piemontese, il quale co’ suoi studi teorici, ha indicato la via per il perfezionamento dei trasformatori e quindi per il progresso della tecnica del trasporto dell’energia.

Il trasformatore è proprio l’oggetto che ha reso possibile il trasporto dell’energia elettrica a distanza. Parte dell’energia incanalata nei cavi elettrici viene infatti dissipata dal cavo stesso, di conseguenza maggiore è la distanza da percorrere, maggiore è l’energia persa. Allo stesso tempo, più elevata è la tensione della corrente elettrica, minori sono le perdite, quindi, per trasmettere energia elettrica su lunghe distanze, è necessario che la corrente abbia una tensione molto elevata. Una corrente alternata risolve questo problema perché, mediante un trasformatore, la sua tensione può essere variata a piacere.

Ma la storia non finisce qui. Una volta arrivata a destinazione, come usare questa energia? C’è bisogno di un motore, cioè un apparecchio che trasformi l’energia elettrica in energia meccanica. A Galileo Ferraris va il merito non solo di aver sviluppato la teoria che ci ha permesso di realizzare i trasformatori, ma anche di aver creato nel 1885 il primo esempio di quello che ora chiamiamo motore a induzione.

Il campo magnetico rotante e i motori a induzione.

Il mio giocattolo

Pare che l’intuizione gli fosse giunta camminando per Torino e in particolare osservando la successione dei portici di via Cernaia…

In un primo esperimento Ferraris era riuscito a sospendere un cilindretto nel centro di due telai, facendolo magicamente ruotare sotto l’azione della forza magnetica generata dalla corrente alternata. Un suo allievo, Ernesto Thovez, ebbe la fortuna e il piacere di assistere all'esperimento:

Appena giunto in laboratorio (il Ferraris) tolse una bobina da un galvanometro e ne fece costruire un'altra dal meccanico. Questi era un po' lento ed il Ferraris, forse l'unica volta in vita sua, ne fu irritato; ma dopo alcuni giorni ebbe finalmente la bobina. Allora, utilizzando un vecchio trasformatore Gaulard che gli era servito per i suoi memorabili studi, per mezzo di induttanze e di resistenze ricavò da un'unica corrente due correnti derivate, sfasate l'una rispetto all'altra. Fra le due bobine sospese un cilindretto di rame. Il cilindretto si pose a girare, dapprima lentamente, poi rapidamente. Il motore a corrente alternata era scoperto!
Primo modello di motore a campo magnetico rotante di Galileo Ferraris (1885).
Primo modello di motore a campo magnetico rotante di Galileo Ferraris (1885).

Questo prototipo che Ferraris chiamò "il mio giocattolo" era un nuovo dispositivo di conversione elettromeccanica, che avrebbe di lì a poco avuto enormi applicazioni industriali, ma di cui inizialmente lo stesso Ferraris non ne ebbe coscienza. Ferraris era solito mostrarlo nel suo laboratorio a chi fosse interessato, ma la sua diffusione ufficiale in tutto il mondo avvenne solo in seguito alla pubblicazione del suo studio, Le rotazioni elettrodinamiche prodotte per mezzo di correnti alternate, presso l’Accademia delle Scienze di Torino il 18 marzo 1888.

Non sono un industriale

L'invenzione suscitò l'interesse della compagnia elettrica statunitense Westinghouse, che gli chiese l'uso esclusivo per l’America. Ferraris, che non aveva previsto brevetti per la sua scoperta, confidava nel fatto che la sua invenzione sarebbe andata a vantaggio del progresso elettrotecnico, e rispose semplicemente “sono un professore, non un industriale” (la compagnia elettrica gli donò comunque diecimila dollari).

Nikola Tesla a 34 anni.
Nikola Tesla a 34 anni.

Valori meno nobili guidarono invece Nikola Tesla, elettrotecnico americano di origine slava ed ex assistente di Edison. Tesla, messosi in società con Westinghouse, tentò di contestare a Ferraris la paternità della scoperta e il 1° maggio del 1888 richiese l’ottenimento di un brevetto su un motore ad induzione fondato sul campo magnetico rotante. A Parigi, nel 1889, Tesla presentò alla Exposition Universelle alcuni modelli funzionanti della macchina ad induzione e nel 1891 realizzò con la Westinghouse la prima centrale idroelettrica presso le cascate del Niagara.

Su questa diatriba Ferraris scriveva così in una lettera del 23 luglio 1891:

L’idea fondamentale di produrre un campo magnetico rotante per mezzo di correnti alternate è mia. Io feci su di ciò una serie di esperienze fin dal 1885 e pubblicai poi, dopo tre anni, il 18 marzo 1888, una nota in cui il principio e le sue applicazioni possibili sono esposti in poche parole. Ho visto a Francoforte che tutti attribuiscono a me la prima idea, il che mi basta. Gli altri facciano i denari, a me basta quel che mi spetta, il nome.

Gli incarichi, le consulenze, i convegni, l’insegnamento e la ricerca assorbirono sempre più lo scienziato piemontese minandolo nel fisico, al punto che il discorso che tenne il 6 gennaio 1897 nella sua città natale, in occasione della nomina a senatore, suonò come una sorta di testamento morale, un segno premonitore degli eventi che sarebbero accaduti di lì a breve.

Una domenica, dopo aver lavorato tutto il giorno, Ferraris manifestò una febbre molta alta, tuttavia il giorno seguente, il 1° febbraio 1897, si recò ugualmente a far lezione, ma dopo mezz’ora fu costretto a congedarsi dall'aula dicendo:

Signori, la macchina è guasta, non posso continuare.

Una settimana dopo, nemmeno cinquantenne, Galileo Ferraris si spense nella sua casa di via XX Settembre a causa di una polmonite.

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Bibliografia

  • Corti M. C., Piemonte fucina di invenzioni. Ciclo di conferenze sui maggiori inventori piemontesi. Torino, 13-20-27 febbraio 1997, Torino, Centro Congressi Torino Incontra, 1997.
  • Firpo L., Galileo Ferraris, in Studi piemontesi, I, 2, 1972.
  • Volta L., Scienziati piemontesi: Giambattista Beccaria, Luigi Lagrangia, Amedeo Avogadro, Giovanni Plana, Giovanni V. Schiaparelli, Galileo Ferraris, in Rassegna Mensile Municipale "Torino", 8, 1935.
  • Zannini G., Galileo Ferraris. Una grande mente, un grande cuore, Milano, Piemme, 1997.
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