Mercoledì 23 settembre 2020 è mancato, a soli 45 anni, il libraio ed editore saluzzese Federico Tozzi. Se ne va un amico, un lettore appassionato e una voce libera e importante dell’editoria piemontese e italiana.
Ho conosciuto Federico alla fine degli anni Novanta, ai tempi del liceo. Ci univa la passione per un certo tipo di musica, che ha portato entrambi a scrivere su riviste online e cartacee del settore. Su quelle pagine, oltre che ai concerti e agli eventi che abbiamo vissuto insieme, abbiamo imparato a ragionare di cultura underground e a capire come mettere per iscritto le nostre opinioni sul mondo che ci circondava.
Abbiamo scelto strade diverse, ma quegli anni di formazione ci hanno permesso di sviluppare una sensibilità comune e di continuare a intenderci in altri campi della cultura. Infatti, se è con la musica che ci siamo conosciuti, è stata la letteratura a far evolvere il nostro rapporto personale e professionale. La letteratura era la grande passione di Federico Tozzi, passione che lo ha portato, dopo una laurea a Torino in Storia del cinema, a tornare nella sua Saluzzo per aprire una libreria nel marzo 2006. La libreria Le Corti, nel cuore di Saluzzo, era una libreria generalista, com’è normale in una cittadina di provincia. Dalla sua apertura, però, Federico ha cercato di trasmettere ai suoi clienti la passione che aveva per i grandi narratori, soprattutto dell’Ottocento, che coltivava da anni come lettore.
In primo luogo c’erano i russi, Dostoevskij soprattutto, ma Federico era un lettore onnivoro; ad ogni visita in libreria mostrava a me – scandinavista di formazione – la sua sezione di letterature nordiche, che ha continuato a curare durante gli anni. Sicuramente avrà fatto altrettanto con gli altri specialisti che gravitavano intorno al suo mondo. Il suo ruolo di divulgatore culturale a Saluzzo lo ha portato, oltre che a partecipare a diverse iniziative di promozione letteraria e culturale, a coltivare un entourage di giovani locali, che lui aveva contribuito ad avvicinare alla grande letteratura. Da questa scintilla è nata in parte – dico in parte perché so che era un suo sogno personale da molti anni – la casa editrice che porta il suo nome.
Aperta a fine 2013, è divenuta presto una fucina culturale in cui molti di questi giovani – e di suoi amici, me compreso – hanno avuto il privilegio di aiutare Federico a dare forma ai suoi libri. “Federico Tozzi Editore in Saluzzo” si proponeva davvero qualcosa di diverso nel panorama dell’editoria italiana, con il suo interesse per storie segrete o dimenticate. Ricordo la sua frustrazione quando raccontava di non poter offrire ai suoi clienti una serie di classici della letteratura mondiale, mai tradotti o esauriti nei cataloghi italiani. Federico aveva deciso di fare lui ciò che non facevano gli altri. In questo senso, la decisione di aprire una sua casa editrice fu una scelta necessaria. E con prudenza, un passo alla volta, aveva incominciato a riproporre alcuni romanzi di fine Ottocento e primo Novecento non più reperibili in Italia; man mano che la casa editrice si è consolidata, ha iniziato a pubblicare testi inediti.
I libri di Federico non erano mai banali: ogni volta che gli chiedevo di leggerli in anteprima, con la scusa di dare un’occhiata in più alle bozze a caccia di refusi o sviste di traduzione, ero sicuro di scoprire qualcosa di nuovo.
Le sue collane avevano nomi femminili (con un’eccezione su cui torneremo): Marta, “dedicata alla scoperta o riscoperta di narrativa controversa” e Cecilia, “caratterizzata da un lato romantico che si palesa in tutti i suoi titoli”. La casa editrice ha esordito proprio con quest’ultima collana, inaugurata da Versante Sud (1914–1916) di Eduard von Keyserling, uno schizzo malinconico della borghesia baltica di fine Ottocento. A qualche anno di distanza sono usciti L’amore di Pierre Neuhart e Aftalion, Alexandre (entrambi 1928) di Emmanuel Bove, due struggenti racconti di solitudine e ricerca d’amore nella Parigi della modernità.
È con Marta, tuttavia, che Federico si è misurato con i grandi nomi della letteratura mondiale. In questa collana ha proposto ai lettori italiani nuove edizioni di classici di un modernismo non mainstream, ma non per questo di minor valore: è il caso de La confessione di Lúcio (1914) di Mário de Sá-Carneiro, esempio sorprendente e delirante del modernismo portoghese, o dell’impegno politico e umano della Rivolta dei pescatori di Santa Barbara (1928) della scrittrice tedesca Anna Seghers.
Grande spazio in questa collana hanno avuto i narratori scandinavi, che Federico ha pubblicato con traduzioni e postfazioni di alcuni dei maggiori esperti italiani del settore. La riedizione di Mare aperto (1890) di August Strindberg ha riportato ai lettori italiani le complesse visioni psicologiche della Svezia di fine secolo, mentre I Markurell a Wadköping (1919) di Hjalmar Bergman (svedese anche lui) è un affresco della borghesia nordica, vicino a quelli dei grandi narratori ottocenteschi amati da Federico.
L’ultima uscita della collana, Mánasteinn – Il ragazzo che non è mai stato (2013) dello scrittore islandese Sjón, è una delle rare concessioni di Federico alla letteratura contemporanea, e racconta una storia di scoperta di sé sullo sfondo dell’Islanda alla fine della Prima Guerra Mondiale. Mánasteinn, presentato al festival Incroci di civiltà a Venezia lo scorso anno, è forse il libro in cui le doti di "talent scout" di Federico sono più evidenti. Sjón è un autore celebrato in molti paesi, noto anche al di fuori dell'ambito letterario per essere autore di diversi testi della cantante Björk, ma ancora poco conosciuto in Italia. Non credo di sbagliarmi se dico che sentiremo parlare di lui nei prossimi anni, e gran parte del merito sarà di Federico.
Uno dei maggiori successi editoriali della casa editrice appartiene alla terza collana, Lys, dedicata alla docufiction, e inaugurata con Un amore senza parole (2009) dello scrittore francese Didier Blonde. Cronaca di una ricerca sulle tracce di Suzanne Grandais, diva del cinema degli anni Dieci scomparsa tragicamente nel 1920, il libro è stato anche presentato alle Giornate del cinema muto di Pordenone.
Ma è con La bocca dell’Inferno (ca. 1930–1931), un racconto inedito in Italia del grande romanziere portoghese Fernando Pessoa, che Federico si è imposto finalmente all’attenzione dei media. Presentato al Salone del libro di Torino nel 2018, il libro contiene la ricostruzione dell’incontro tra Pessoa e lo scrittore ed occultista inglese Aleister Crowley, e delle sue rocambolesche conseguenze. Il racconto, disponibile solo in frammenti manoscritti, è corredato da una ricca introduzione, lettere, documenti e poesie relative al caso.
Sapendo del mio interesse per il libro, di cui parlavamo da anni, Federico mi ha anche concesso il privilegio di scriverne la postfazione. Recensito sui principali quotidiani nazionali, La bocca dell’Inferno è stato anche menzionato in una divertente puntata di Pagina 3 su Radio Tre Rai, curata da Edoardo Camurri (cercatela su RaiPlay, se volete).
È stato un privilegio lavorare per lui e con lui. Abbiamo fatto insieme qualcosa di cui essere felici: un lavoro fatto bene, un libro bello e apprezzato come La Bocca dell’Inferno, che è poi diventato la punta di diamante del suo catalogo. Mi piaceva l’idea di fare qualcosa con un editore piccolo e giovane, ma pieno di idee e di voglia di fare. Questo mi ha dato la possibilità di lavorare con una libertà di cui faccio sempre più fatica a privarmi e che difficilmente si può avere con editori più grandi o affermati. Federico ha avuto una grande pazienza con me, perché sono schiavo di quell’orribile difetto che è il perfezionismo. Ma credo di aver ricompensato quella pazienza, dandogli un lavoro fatto con amore. So che all’amore Federico credeva molto, e tanto di quell’amore di cui era capace lo si trova oggi nei libri che ha pubblicato. È un catalogo bellissimo il suo, un discorso che non posso, nemmeno sforzandomi, credere interrotto. La passione pura, forse anche un po’ folle ai nostri giorni, di quel piccolo grande editore che è stato Federico merita di rimanere accesa anche ora che la fiamma della sua vita si è spenta.
L’ultima uscita della casa editrice è stata Lungo la strada (1886), breve romanzo dello scrittore danese Herman Bang, uscito nella collana Cecilia. Può sembrare un luogo comune, ma trovo bello immaginare Federico sulla banchina di una stazione, come le protagoniste del suo ultimo romanzo, in attesa del treno che lo porterà verso altri luoghi.
Con Federico Tozzi se ne va un amico, un libraio intelligente e una voce unica nel panorama editoriale italiano. Come scrive Marco Pasi, la sua passione merita di restare accesa. Credo che il più bel regalo che ora si possa fare a Federico, sia portare avanti il suo lavoro. Mi auguro con tutto il cuore che ci sia qualcuno interessato e in grado di farlo.
Noi vogliamo andare in controtendenza; non ci interessano i best-seller o le letture che si dimenticano in un battito d'ali. Ci piacciono i libri che restano dentro, che ti fanno pensare, ti spiazzano e ti fanno arrabbiare. Vogliamo esplorare e cercare testi mai tradotti in Italia e al contempo salvare quei tanti romanzi che una politica editoriale sempre più miope sta condannando all'oblio. Noi non ci rassegniamo a vedere sparire un mare di testi che hanno la sola colpa di non essere buoni per il salotto di una tivù.
I libri del catalogo Federico Tozzi Editore sono in vendita presso Libreria Savej.