Dal bric al truc, i nomi delle montagne piemontesi

Come sono nate le denominazioni delle vette del Piemonte? Lo spieghiamo con la toponomastica geografica

Monviso, Pian del Re, Cuneo. (CC BY-SA 2.0)
Alberto Ghia
Alberto Ghia

Astigiano, è dottore di ricerca in Linguistica italiana, cultore della materia presso l’Università di Torino e redattore dell’Atlante Toponomastico del Piemonte Montano. I suoi campi di ricerca sono la dialettologia, la geografia linguistica e l’onomastica. Nel tempo libero viaggia all’insegna della curiosità, per strade di carta o di asfalto, cercando bei paesaggi, storie interessanti, tradizioni quasi dimenticate e formaggio.

  

Nei precedenti episodi della nostra rassegna sulla toponimia piemontese ci siamo concentrati sull’aspetto storico-linguistico. Abbiamo osservato nomi di luogo che talvolta ci hanno mostrato l’antichità della loro origine, senza dimenticare però che alcune voci di sostrato e superstrato (cioè delle lingue parlate prima della romanizzazione e, rispettivamente, delle lingue portate dalle popolazioni che si installarono dopo la romanizzazione) sono state accolte nel latino parlato come prestiti e sono alla base di parole piemontesi da cui poi sono derivati i toponimi. Abbiamo seguito parole e cose fino al Medioevo: dopo questo periodo però è difficile individuare solo attraverso un nome spie precise che ci indichino in quale periodo esso si sia generato. Molti usi sociali e tecnici, soprattutto nelle aree non urbane, si sono conservati pressoché inalterati fino alle soglie della contemporaneità: ad esempio, si è continuato a dissodare terreni e a chiamare queste zone runc. Dall’altro lato, gli strumenti di controllo del territorio, i consegnamenti e i catasti, hanno favorito la fissazione dei nomi di luogo.

Lasciamo ora il sentiero della storia per incamminarci su un sentiero diverso, quello della geografia, osservando i nomi di luogo che sono stati dati a questa o a quella conformazione geografica. Questo primo episodio è dedicato ai rilievi: non poteva essere diverso, considerando che ben il 55% del territorio regionale è classificato come montano (al di sopra cioè dei 700 m di altezza) e che la percentuale sale ancora se consideriamo il territorio collinare.

Alcune delle cime di Massello.
Alcune delle cime di Massello.

La maggior parte dei nomi che designano un rilievo sono costituiti da un elemento lessicale che vuole (o voleva) dire "rilievo": gli studi toponomastici consentono di isolare molte voci, soprattutto di sostrato; le abbiamo già viste, ma sarà l’occasione per ripassarle e aggiungere nuovi esempi. Talvolta la voce geografica basta da sola, per antonomasia, a nominare il referente; in altri casi, invece, viene aggiunto un secondo elemento (uno specificatore), che predica la caratteristica principale dello spazio nominato e vedremo assieme alcuni esempi dei tipi più diffusi. Sarà quasi impossibile essere esaurienti in un solo appuntamento: speriamo però, come sempre, di cogliere il vostro interesse.

Come si dice rilievo?

Due voci molto diffuse in piemontese (almeno in alcune varietà) sono bric e truc. Entrambe sono di origine preromanza e possono indicare rilievi di ben diversa altitudine: si va dai bricchi delle Langhe e del Monferrato fino ad alcune cime alpine. Alcuni esempi: rimandano a bric Bric Volpat, tra Locana e Corio (TO), Bric Cortaccio a Civiasco (VC), Bric Ambria tra Alfiano Natta e Villadeati (AL), Bric Faidal a Vesime (AT), Bric dell’Olmo a Vernante (CN),  Bric Mazzero a Curino (BI); rimandano a truc Trucco Vudrand a Limone Piemonte (CN),  Truc di Soi a Robilante e Vernante (CN), Truc dei Prati a Mattie (TO), Trucca la Comuna a Frabosa Sottana (CN), il Truc a Coggiola (BI). Il piemontese conosce anche altri geosinonimi di minore diffusione, tra cui va ricordata la voce mut con la variante muta, anch’essa voce di origine prelatina, a cui vanno accostati per esempio i toponimi Motta di Campo a Malesco (VB), la Motta a Druogno (VB), Mottone tra Antrona Schieranco e Calasca-Castiglione (VB) e Mot Gianin a Premosello Chiovenda (VB). Altre radici prelatine per le quali è stato ricostruito un significato di ‘rilievo, altura’ ci sono invece note solo attraverso i nomi di luogo: tra queste ricordiamo *pal-, che occorre ad esempio in Pallone del Badile, tra Carcoforo (VC) e Macugnaga (VB) e *mal-/mel-, presente in Rocciamelone. Per tutte queste radici potete trovare altri esempi nel contributo dedicato agli elementi di sostrato. Dal latino montem, invece, derivano il piemontese munt e l’italiano monte, di grande diffusione e che ci pare superfluo esemplificare; ricordiamo però che anche nomi di luogo come Mondorosso, frazione di Villafranca d’Asti (AT), e Bricco Pian del Mondo tra Borgomale e Castino (CN), risalgono alla voce latina, con sonorizzazione della dentale (munt > mund).

Il monte Tre Denti (Alpi Cozie, TO) dalla roccia Castellar.
Il monte Tre Denti (Alpi Cozie, TO) dalla roccia Castellar.

Troviamo poi voci che richiamano un elemento geografico per metafora: designano per esempio cime appuntite le voci dente, che troviamo in Tre Denti tra Frassinetto e Borgiallo (TO) e Dente di Seirasso a Magliano Alpi (CN); becco Becco di Mea a Groscavallo (TO), Becco Grande tra Canosio e Sambuco (CN) e Bec di Ovago a Varallo (VB); corno Corno Rosso e Corno del Camoscio ad Alagna Valsesia (VC); dal latino acucula (ago) Uia di Ciamarella Balme (TO), Uia della Gura a Groscavallo (TO), Punta Uia a Locana (TO) e Gran Guglia a Villar Pellice (TO); a una radice onomatopeica *pits- ‘estremità (acuminata)’ vanno collegati i toponimi Pizzo del Loranzolo a Rassa (VC) e Pizzo Marona tra Miazzina e Aurano (VB). Possiamo immaginare invece cime più arrotondate per il tipo testa: ricordiamo solo la Testa a Locana (TO).

Montagne di montagne

In diversi casi il nome di un rilievo è costituito da due voci che esprimono entrambe l’idea di ‘altura’. Eccone alcune: Bric del Cucuc a Pragelato (TO) e Monte Cucco a Valstrona (VB): in entrambe riconosciamo la radice *kukk(a)- ‘rilievo’; Punta Aguglion tra Limone Piemonte e Chiusa di Pesio (CN) e Punta Uia a Locana (TO); Cima la Motta tra Limone Piemonte e Peveragno (CN); Monte Motta a Val della Torre (TO); Piz ’d la Vugia ‘pizzo dell’ago’ a Premosello Chiovenda (VB); Monte del Dente a Bognanco (VB); Monte Maluna a Roaschia (CN); Corno del Pallone ad Alagna Valsesia (VC); Cima Palù a Briga Alta (CN); Rocca delle Penne (da *pen-, alla base di Appennino e delle Alpi Pennine) a Caprauna (CN). Bric Moncucco a Ternengo (BI) ne conserva invece ben tre!

Rocca delle Penne e Rocca Tramontina dal Monte della Guardia.
Rocca delle Penne e Rocca Tramontina dal Monte della Guardia.

Si mescolano qui gli esiti di due tipi di creazione in parte differenti: da un lato una trafila popolare-orale, dall’altro lato una trafila dotta-scritta. Teoricamente, per riconoscere da quale trafila discende il toponimo basterebbe osservare la forma orale (per esempio, Fiume Po è denominazione di trafila cartografica, perché oralmente si dice Po), ma non è sempre così semplice, perché forme orali possono essere state create dalla forma scritta. Prendiamo per esempio il Re di Pietra: il suo nome sarebbe Viso, come attestano la forma popolare (a Crissolo CN lou Visou) e diversi nomi derivati (Visolotto, Viso Mozzo, Buco di Viso); ma alzi la mano chi non l’ha mai chiamato Monviso, forma che deriva dalle registrazioni cartografiche Monte Viso

Il Monviso visto da Torino (CC BY-SA 4.0)
Il Monviso visto da Torino (CC BY-SA 4.0)

Descrivere con i nomi

Oltre a una voce geografica che classifica il luogo denominato, spesso il nome di luogo è costituito anche da un secondo elemento, un sintagma che richiama il tratto caratteristico principale del luogo, secondo chi ha dato il nome. Prima ne abbiamo già citati alcuni; ora passeremo in rassegna alcune tipologie molto comuni. Molto diffusi sono gli specificatori che informano delle qualità fisiche del referente. Citiamo la Punta Acuta tra Sauze di Cesana e Prali (TO), il Monte Rotondo di Ormea (CN), il Truc Riunt di Massello (TO), Rocca Lunga a Corio (TO), Monte Longia a San Damiano di Macra (CN) e Motto Lungo a Paruzzaro (NO); poco distante si erge il Motto Grande, ad Arona (NO). A elementi generici se ne affiancano altri talvolta molto concreti e particolari: Punta Ambutur ‘imbuto’ a Entracque (CN); Bric Tavolin a Voltaggio (AL); Bric dell’Omo a Briga Alta (CN) e addirittura Punta del Berretto del Vescovo tra Rassa, Campertogno e Alagna Valsesia (VC). Anche il colore è un elemento spesso evocato per caratterizzare un rilievo: Monte Rosso tra Ceres e Cantoira (TO); Rocca Azzurra a Ronco Canavese (TO) sono solo alcuni esempi. Non va inserito nell’elenco il Monte Rosa: talvolta si legge che il nome sarebbe dovuto alla bella colorazione assunta dal ghiacciaio quando viene illuminato dal sole, ma in realtà deriva da una voce di origine celtica che significa ‘ghiacciaio’. Il colore rosso è molto frequente e, assieme ad esso,  il bianco e il nero: bastino come esempi Corno Bianco tra Ceresole e Groscavallo (TO) e Monte Nero a Locana (TO). In alcuni casi l’opposizione bianco/nero caratterizza alcune cime che si trovano a poca distanza l’una dall’altra: Rocca Nera tra Pragelato e Sauze d’Oulx (TO) e Rocca Bianca a Cesana Torinese (TO); Pizzo Bianco e Pizzo Nero entrambe a Macugnaga (VB); Rocca Nera a Crissolo (CN) e Rocca Bianca ad Oncino (CN); probabilmente in questi casi i colori esprimono metaforicamente il concetto di ‘esposto a sud’ (bianco) ed ‘esposto a nord’ (nero).

Le bianche falesie di Rocca Bianca.
Le bianche falesie di Rocca Bianca.

Orologi e bussole

Procedendo nel suo moto apparente, il sole e i suoi raggi illuminano ora questa, ora quella vetta, lasciandone altre in ombra. L’uomo ha sfruttato tale fenomeno per orientarsi nello spazio e nel tempo: e il nome di alcune montagne risale proprio a questa importante funzione orientativa. Il mezzogiorno è un momento di spartiacque all’interno della giornata: così, molte cime su cui il sole cade a perpendicolo in tale ora, richiamano questo fenomeno nel nome. Questa parte della giornata era denominata hora sexta in epoca latina, ma durante il Medioevo il mezzogiorno viene chiamato hora nona. Dalla formula derivano: Testa di Nona a SO di Paesana (CN), Bec di Nona e Cima di Nonassa a Groscavallo (TO) e Pizzo Nona tra Druogno e Bannio Anzino (VB). Nella nostra regione nessuna cima richiama invece le dodici, il numerale con cui oggi ci riferiamo al mezzogiorno; diversi sono invece i nomi che continuano l’espressione latina medius dies: Bec del Mezzodì a Bardonecchia (TO), Bric di Mezzodì a Garessio (CN) e Groscavallo (TO), Beccas del Mezzodì tra Demonte, Monterosso Grana e Valloriate (CN), Pizzo del Mezzodì a Ceppo Morelli (VB), Punta del Mezzodì a Chiomonte (TO), Punta di Mezzodì a Mattie (TO) e Punta del Mezzogiorno tra Castelmagno, Dronero e Pradleves (CN).

A mezzogiorno il sole indica il sud; le denominazioni precedenti ovviamente forniscono anche questa informazione importantissima, in un contesto agricolo e pastorale: la vegetazione è più rigogliosa nei terreni meglio esposti, dunque si possono ricavare raccolti migliori. Altre espressioni per indicare l’esposizione a sud sono solivus, che troviamo per esempio nei toponimi Motto Solivo a Borgo Ticino (NO) e Bric Suia a Voltaggio (AL) e indritto, da cui la Punta dell’Adret a San Giorio di Susa (TO); probabilmente richiama la buona esposizione delle pendici anche l’oronimo Corno del Sole, che si erge tra i comuni di Bannio Anzino (VB) e Rimella (VC).

Viceversa, i terreni esposti a nord ricevono poca luce e sono generalmente freddi. Il lessico per indicare tale esposizione è ricco: si trovano continuatori di opacus, come Monte Ovago a Pila (VC), Bric degli Uvi a Cassinelle (AL), Bric del Love a Ovada (AL), di varius, come Bric del Vaj a Castagneto Po (TO), di hibernus, come in Testa Malinvern, tra Vinadio e Valdieri (CN) e ovviamente, come contrari di mezzogiorno, il tipo (mezza)notte e malanotte, come nel Monte Malanotte, tra Frabosa Soprana e Sottana (CN). Metaforicamente, oronimi come Roccia Freida a Sestriere (TO), Bric Froid tra Cesana e Sauze di Cesana (TO), Monte Freid ad Acceglio (CN), Monte Freidour tra Perrero e Bobbio Pellice (TO) possono indicare monti e pendici esposti a nord. Questo tipo di denominazioni sono strettamente collegate al punto di vista di chi ha dato il nome: se si cambia il punto da cui si dirige lo sguardo, esso può risultare immotivato. Immaginiamo due valli con andamento est-ovest, separate da una catena montuosa: per gli abitanti della valle a nord, una vetta lungo la catena potrebbe essere una “punta a sud”; per gli abitanti della valle a sud, viceversa, si tratta di una vetta a nord. Da ciò possono derivare nomi differenti, almeno nell’oralità, che talvolta possono essere accolti nelle carte come in alternativa. Un esempio è forse la Punta Midi o Muret che troviamo nel territorio di Perrero (TO), sullo spartiacque tra la val Chisone e la val Germanasca. Il significato di Punta Midi si fa trasparente se ipotizziamo che il nome sia stato dato dagli abitanti di Roure in val Chisone, per i quali appunto la vetta si trova a mezzogiorno; Punta Muret invece, se deriva da maurus ‘scuro’, sarebbe una motivata denominazione per una montagna esposta a N: e questa è la prospettiva degli abitanti di Perrero in val Germanasca, per i quali appunto la montagna risulta a settentrione.

Piante e animali

Per caratterizzare una montagna spesso sono impiegati voci del lessico che rimandano alle forme prevalenti di vegetazione o agli animali che la popolano. Cominciando dalla vegetazione, dobbiamo notare in primo luogo che alcuni nomi indicano semplicemente la presenza o l’assenza di formazioni vegetali: rimandano a calvus Punta Chalvet a Usseaux (TO), Rocca Cialva a Groscavallo (TO), Monte Calvo a Fraconalto (AL); a pilatus Gran Pelà tra Usseaux e Chiomonte (TO), Monte Pelato a Pragelato (TO); a nudus la Costa Nu di Usseglio (TO). Punta di Pelusa a Noasca (TO) rimanda invece a pilosus: sulla montagna non crescono alberi, e la cima è coperta solo da una coltre erbosa; una motivazione simile ha portato forse alla creazione del nome Monte Pratolino, a Garbagna (AL). In altri casi invece troviamo i nomi delle specie vegetali o arboree più diffuse: Bric Zenevrei (ginepro) a San Damiano d’Asti (AT), Bric del Gorei (vimini) a Cassinelle (AL), Monte Bozzola (prugnolo selvatico) tra Mongiardino Ligure e Cabella Ligure (AL), Punta Fiounira (trifoglio) tra Prali e Bobbio Pellice (TO), Punta del Fo a Vinadio (CN) e Punta del Tillio ad Alagna Valsesia (VC). Come le piante, anche gli animali concorrono spesso a caratterizzare una località, si tratti di presenza vera o presunta: Rocca dell’Orso a Bagnolo Piemonte (CN); Rocca dei Camosci a Chiomonte (TO); Cima del Rospo a Valprato Soana (TO); Cima degli Uccelli a Montecrestese (VB); Punta dell’Aggia (aquila) a Monastero di Lanzo (TO). Per ulteriori esempi, rimandiamo agli articoli pubblicati (e pubblicandi) su Rivista Savej.

Il Monte Pelato a Pragelato.
Il Monte Pelato a Pragelato.

Di santi ed esploratori

Non pochi oronimi sono costituiti da nomi di persone. Le tipologie più frequenti sono due: da un lato, a dei e santi venivano affidate le vette dalle popolazioni valligiane, per scongiurare calamità e avere aiuto durante gli spostamenti in alta quota, erigendo loro templi o santuari mete di pellegrinaggi. Nel mondo romano come abbiamo già visto il dio preposto alle sommità era Giove; ricordiamo qui il Monte Giove di Premia (VB); altri ne abbiamo elencati illustrando i toponimi di età romana. Tra i monti dedicati ai santi troviamo invece due Monte San Bernardo (fondatore dei due ospizi del Grande e del Piccolo San Bernardo, in Valle d’Aosta e protettore degli alpinisti; ne abbiamo parlato nella scorsa puntata): uno a Fabbrica Curone (AL) e l’altro tra Roccabruna, Villar San Costanzo e Busca (CN), e due Bric San Bernardo, uno a Priero (CN) e l’altro a Moncucco Torinese (AT). Gli esempi sono molti, citiamo solo: Bric San Michele a Serravalle Langhe (CN) e Cima San Michele a Bardonecchia (TO), Monte San Vito a Garbagna (AL), Monte San Bartolomeo a Momperone (AL), Monte San Carlo ad Arona (NO); Punta San Pietro a Macugnaga (VB) e Pizzo di San Martino tra Antrona Schieranco, Calasca-Castiglione e Venzone con San Carlo (VB).

Panoramica del gruppo del Monviso da Est, con indicazione dei principali punti notevoli della cresta, tra cui Punta Sella.
Panoramica del gruppo del Monviso da Est, con indicazione dei principali punti notevoli della cresta, tra cui Punta Sella.

Altre vette ricevono il nome dagli alpinisti che per primi hanno raggiunto quella vetta o ad alpinisti importanti: Punta Francesetti, nel comune di Groscavallo (TO), deve il suo nome a Luigi Francesetti di Mezzenile, nobile che fu sindaco di Torino e pionieristico esploratore alpino; Punta Gnifetti sul massiccio del Monte Rosa nel comune di Alagna Valsesia (VC) prende il nome da Don Giovanni Gnifetti, che la conquistò nel 1842; Punta Sella, sul Monviso nel comune di Oncino (CN), ricorda il ministro Quintino Sella, che fu il primo italiano a compiere una spedizione sul monte, nel 1863. Pochi mesi dopo fondò al Valentino assieme a una quarantina di soci il Club Alpino, che due anni dopo diventò il CAI. Lasciamo per ultima la Punta Cesare Battisti di Macugnaga (VB), dedicata al famoso irredentista e geografo: non molti sanno che studiò a lungo i nomi di luogo per ricavare informazioni sul valore geografico dei termini che li costituiscono.

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Bibliografia

  • AA.VV., Atlante geografico del Piemonte, Regione Piemonte, Torino, 2008.

  • AA.VV., I nomi delle montagne prima di cartografi e alpinisti, Atti dei convegni e guida all’escursione, Club Alpino Italiano (Sezioni di Varallo e Milano), Istituto dell’Atlante Linguistico Italiano.

  • Bertotti G. e altri, Le valli Orco e Soana. Note sui nomi delle località, torrenti e montagne delle valli Orco e Soana e sul loro significato, Cuorgnè, Corsac, 1995.

  • Gasca Queirazza G. e altri, Dizionario di Toponomastica. I nomi geografici italiani, Torino, Utet, 1990.

  • Olivieri D., Dizionario di toponomastica piemontese, Brescia, Paideia, 1965.

  • Pellegrini G.B., Toponomastica italiana. 10000 nomi di città, paesi, frazioni, regioni, contrade, fiumi, monti, spiegati nella loro origine e storia, Milano, Hoepli, 1990.

  • Serra G., Della denominazione di cime alpine dalle ore del giorno e della divisione medievale per horas del territorio cittadino e rurale nell’Italia superiore, in Id., Lineamenti di una storia linguistica dell’Italia Superiore, vol. I, Napoli, Liguori, 1954, pp. 111-126.

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