Enrica Fiandra, un'archeologa anticonformista

L'intraprendenza della prima donna nominata Ispettrice ai Monumenti d’Italia

Enrica ad Exilles (TO), 2006, durante alcune ricerche in merito alle serrature a perni cadenti, risalenti al periodo della prescrittura (foto © Olivia Musso).

Specializzata in Archeologia medievale all’Università di Firenze, ha partecipato a missioni di scavo in Turchia e Uzbekistan; da diversi anni lavora in Piemonte in attività di scavo archeologico e archeologia preventiva. È interessata soprattutto alla storia dell’archeologia e al mutare della percezione del passato.

  

Lo descrivo come lo ricordo. Un salotto non grande, ma molto alto; quasi quadrato. Su un lato un camino, sempre spento, con stipiti in marmo grigio; davanti al camino una poltrona, la sua poltrona, di colore verdino, minuta ma un po’ bombata. Poi due divanetti disposti ad angolo, dove si sedevano gli ospiti; sullo schienale di uno dei due una coperta suzani proveniente dall’Uzbekistan. In mezzo alla stanza un tavolino basso con gli ultimi libri arrivati. Dietro uno dei divani la rampa di scale per salire al piano superiore; dietro l’altro, un piccolo scrittoio con il suo portatile: quando si sedeva, dava la schiena alla porta finestra che si apriva sul cortile, lì dove ad aspettarla c’era il cane Natalina. Sul muro opposto un grande scaffale in acciaio pieno di libri. Sullo stesso lato della stanza un piccolo tavolino con il telefono grigio, quello fisso a cornetta; vicina, una grande anfora verticale, ricoperta di incrostazioni marine, utilizzabile come porta ombrelli. E poi il soffitto, in pannelli di gesso decorati a rilievo, secondo una tecnica peculiare delle cascine di vaste zone del Piemonte meridionale tra il XVIII e il XIX secolo e fino ai primi del Novecento: il gesso veniva colato in forme lignee, a formare dei pannelli rettangolari decorati con motivi geometrici, floreali, simboli religiosi e araldici; il soffitto era costituito da un ordine di travetti in legno che sorreggeva i pannelli in gesso portanti.

Foto di solai in gesso.

Dai soffitti in gesso alle cretule

Una delle ricerche principali portate avanti da Enrica Fiandra, architetto e archeologa, nel corso della sua intensa e variegata esistenza è stata proprio quella sui soffitti in gesso piemontesi: una forma di artigianato poco o per nulla considerata nei primi anni Settanta del Novecento, quando inizia a occuparsene presentandoli in una serie di studi e mostre che si tennero a Bagnasco (frazione di Montafia), Asti e Torino. I soffitti erano diffusi per lo più nelle case contadine, per i proprietari erano un simbolo della povertà del passato e come tali erano da eliminare e sostituire con soffitti più moderni; in quegli anni, infatti, moltissimi furono demoliti e sostituiti da strutture moderne in cemento armato. Fiandra creò un gruppo di lavoro per lo studio e il censimento dei solai in gesso, con lo scopo di far conoscere e apprezzare questa forma di artigianato popolare che combinava perfettamente funzione, economicità ed estetica.

A livello internazione la fama di Enrica Fiandra è legata soprattutto allo studio delle cretule: palline di materiale spalmabile, generalmente argilla (ma anche gesso, ceralacca o sterco), spesso decorate tramite l’apposizione di un sigillo, che furono utilizzate nel bacino del Mediterraneo antico tra IV e I millennio a.C. per la gestione economica dei beni; Fiandra è stata la prima a studiare questi oggetti da un punto di vista funzionale e non puramente estetico (la decorazione dei sigilli), scoprendo che si trattava di uno strumento di contabilità, atto a razionalizzare le operazioni di controllo e immagazzinamento merci, e sorto in società prive della scrittura.

Cretula (circa 2400 a.C.).
Cretula (circa 2400 a.C.).

I soffitti in gesso piemontesi dell’età moderna e le cretule del Mediterraneo antico di millenni prima: antipodi complementari, che possono aiutare a farsi un’idea della varietà di interessi e della libertà di ricerca che hanno contraddistinto la vita di Enrica Fiandra. Oppure, ed è più o meno lo stesso, l’immagine del salotto della sua casa in frazione Bagnasco a Montafia (AT): una natura morta allo stesso tempo sobria e sbarazzina, piemontese e internazionale, perfetto contrappunto di una koinè culturale e umana originale per vocazione.

La scuola di Atene 

Enrica Fiandra, nata a Chieri il 19 febbraio 1926, figlia unica, cresce a Pessione, dove i suoi genitori gestiscono una panetteria, e frequenta le scuole a Chieri. I genitori, preoccupati di indirizzarla verso una professione, la mandano prima a Moncalieri per fare l’avviamento commerciale, poi alle magistrali a Torino, nella speranza che diventi maestra. Enrica ha altre idee, vuole studiare, e si iscrive alla facoltà di Architettura del Politecnico di Torino.

Uno dei suoi docenti, Paolo Verzone, di lì a poco fondatore della Missione Archeologica a Hierapolis di Frigia in Turchia, la introduce all’archeologia. Dopo la laurea nel 1954, partecipa, insieme a Verzone, al suo primo scavo archeologico, a Side nella Turchia meridionale. Verzone la convince a partecipare a un concorso pubblico per un posto di architetto alla Soprintendenza ai Monumenti del Piemonte: Fiandra lo vince, diventando nel 1955 la prima donna Ispettrice ai Monumenti d’Italia; 10 anni dopo sarà Soprintendente. Sempre nel 1955 vince una borsa di studio per la prestigiosa Scuola Archeologica Italiana di Atene: insieme a lei sono ammessi Antonio Giuliano, Giovanni Rizza e Ernesto de Miro. La scuola di Atene era allora diretta dal professor Doro Levi, con il quale Fiandra iniziò un'intensa collaborazione, durata sino al 1961. Nel 1956 ottenne il distacco dalla Soprintendenza alla Scuola di Atene e poté così occuparsi per alcuni anni di rilievo e studio dei monumenti antichi, in particolare del palazzo minoico di Festòs a Creta (lo scavo archeologico principale della Scuola tra gli anni Cinquanta e Settanta).

Enrica Fiandra (al centro) fra le colleghe Jale Inan (a sin) e Nezaat a Side in Turchia, 1954 (foto © Enrica Fiandra).
Enrica Fiandra (al centro) fra le colleghe Jale Inan (a sin) e Nezaat a Side in Turchia, 1954 (foto © Enrica Fiandra).

Torino come Atene

Parte dell’epistolario di Enrica Fiandra relativo a quegli anni è stato pubblicato da Giovanna Bandini. Molte sono le lettere scritte ai genitori, allo scopo evidente di assicurarli e informarli del suo perfetto stato di salute e morale. Li aveva avvertiti di aver vinto il concorso alla Scuola di Atene solo il giorno prima della partenza, perché non si preoccupassero, e ora scrive loro con un linguaggio semplice, descrivendo dove si trova nell’intento – si direbbe – di far loro comprendere che non c’è alcuna differenza tra Atene e Torino: come quando ad esempio, rivolgendosi alla madre, scrive

Sii tranquilla come lo sono io, perché non mi pare che ci sia nessuna differenza tra l’essere vicini o lontani (Lettera del 12 agosto 1955, Bandini G., op.cit., p. 182).
Atene, Scuola Archeologica Italiana, maggio 1955: Giovanni Rizza, Enrica Fiandra ed Ernesto De Miro (© Archivi G. Rizza)
Atene, Scuola Archeologica Italiana, maggio 1955: Giovanni Rizza, Enrica Fiandra ed Ernesto De Miro (© Archivi G. Rizza)

Corrispondenti privilegiati di Fiandra sono Doro Levi e Paola Pelegatti, bibliotecaria della scuola; a quest’ultima, con la quale era legata da una profonda amicizia, sono indirizzate diverse “lettere a fumetti”, in cui Fiandra rappresenta se stessa e gli altri come delle figure stilizzate, che dispone in strisce a comporre racconti e descrizioni. Parla di sé in terza persona e, a differenza degli umani, disegna in modo più dettagliato oggetti, ambienti, animali. Riguardo al rapporto con i suoi compagni di corso, scrive alla Pelegatti:

Mi sento molto protetta, il Rizza paternamente mi cura e mi offre martini, l’Ernesto mi offre gelati e (con grande scandalo da parte tua) mi forbisce con il tuo fazzoletto, il Nino mi avvolge di materne cure e mi da il braccio appena debbo superare dieci centimetri di altezza; io, per conto mio, proteggo molto loro, quindi pensa un po’ tu che razza di protezione animali viene fuori. (Bandini G., op.cit., p. 130)

Parole similmente ironiche scrive anche alla moglie di Levi, Anna, la Signora o Kyria come la chiamavano i greci, aggiungendo:

Per quanto io sia quella che mangia di più e che si stanca di meno, debbo sempre fingermi debole e svenevole per farli contenti, per dare loro qualche soddisfazione a titolo di compenso per tante attenzioni (Bandini G., op.cit., p. 124)
“L’archeologia è la scienza più innocua dove gli errori vengono definiti opinioni”
Enrica Fiandra

Ricordi

Di quegli anni Fiandra dirà: “ero molto frivola”, mentre Ernesto de Miro, uno dei compagni di corso e futuro professore di Archeologia e storia dell’arte greca e romana e Soprintendente ai Beni Archeologici, la ricorda “dalla vivace aggressiva intelligenza”, dalla “pur apparente spregiudicatezza e indipendenza di pensiero”.

Atene, Acropoli, 19 maggio 1955: Gorham Phillips Stevens, Doro Levi, Ernesto De Miro, Enrica Fiandra, Giovanni Rizza e Antonio Giuliano (© Archivi G. Rizza)
Atene, Acropoli, 19 maggio 1955: Gorham Phillips Stevens, Doro Levi, Ernesto De Miro, Enrica Fiandra, Giovanni Rizza e Antonio Giuliano (© Archivi G. Rizza)

Un altro ricordo di quegli anni è quello di Elisa Lissi Caronna, archeologa piemontese da poco scomparsa; l’aneddoto risale al 1959, quando Lissi Caronna, come allieva della Scuola Archeologica di Atene, partecipò alla missione archeologica a Festòs:

Molto spesso, quando il Professore desiderava che gli altri presenti non capissero, parlava con Clelia Laviosa in inglese. Liliana Mercando, Enrica Fiandra e io, le tre piemontesi, decidemmo, quando non volevamo che altri capissero ciò che si diceva, di parlare in “piemontese arcaico”, il dialetto che parlavano le nostre nonne, cioè non inquinato dai neologismi italianizzanti che già si erano introdotti nel dialetto. A uno dei nostri discorsi era presente, tra gli altri, anche Doro Levi. Ci guardò stupito: egli, poliglotta, non aveva capito ciò che noi tre dicevamo. La cosa ci divertì molto ed ogni tanto noi parlavamo in "lingua sconosciuta".

Dalla Grecia all'Egitto

Nel 1955 Levi ritrova a Festòs, sotto il pavimento di uno dei vani del palazzo, più di 6.500 cretule, ovvero gnocchi di argilla con una o più impronte di sigilli. Un giorno Fiandra, nel museo di Heraklion, vede il professore che studia le cretule dividendole, com’era consueto allora, secondo la tipologia del sigillo (cioè della decorazione impressa sulla pallina di argilla); è in quel momento che le viene in mente di guardare il retro delle cretule, dove era conservata l’impronta lasciata dall’oggetto da esse sigillato. Inizia cioè a chiedersi quali siano gli oggetti misteriosi sui quali sono stati apposti gli gnocchi di argilla. Il professore, entusiasta delle sue prime interpretazioni, le regala un chilo di marron glacé; inizia così la sua appassionante ricerca sulle cretule, costellata – come ogni vera ricerca – di giorni di studio paziente e meticoloso, errori, ripensamenti, agnizioni improvvise.

Cretule con la stessa impronta di sigillo.
Cretule con la stessa impronta di sigillo.

Fiandra così racconterà in sintesi la scoperta della funzione delle cretule:

Dopo i primi dubbi riesaminai da capo tutto il materiale, feci infiniti calchi e i miei dubbi aumentarono notevolmente. Scoprii così che una categoria di cretulae presentava l’impronta di piccoli fori causati dai tarli. Si trattava dunque di legno che non poteva certo essere riprodotto in forme identiche compresi i buchi fatti dai tarli. Di conseguenza potevo constatare che le cretulae erano state poste ripetutamente sugli stessi oggetti e non su tanti oggetti identici. In pratica ogni categoria aveva sigillato lo stesso oggetto tante volte quante erano le cretulae ad essa appartenenti. Cadde così definitivamente l’ipotesi che esse avessero sigillato tanti tappi identici su boccaletti provenienti dall’esterno del palazzo. Si trattava, in realtà di un controllo dei beni all’interno del Palazzo.
Gli oggetti sigillati erano prevalentemente dei pomelli di legno o cavicchi sui quali era avvolta una corda in più spire. Si rendeva necessario scoprire a che cosa servivano questi pomelli e cavicchi lignei e, soprattutto, perché le cretulae poste su di essi erano prima conservate tutte insieme e poi, sempre tutte insieme, gettate con l’intento di distruggerle. Pensai che l’unica soluzione per evitare altre interpretazioni di fantasia ci poteva venire dall’Egitto, luogo dove, in genere, gli oggetti archeologici sono ben conservati in virtù del clima secco.
Con i fondi del Premio Michael Ventris dell’Università di Londra andai al Museo del Cairo dove i pomelli erano profusi ovunque su cassette, cofani e altri contenitori, ma la sorpresa più grande la riservava il Museo Egizio di Torino dove per la prima volta, nonostante le mie frequenti visite fatte in precedenza, "vidi" un bellissimo pomello di legno, del tutto simile nella forma a quelli di Festos, su una intelaiatura di porta di una cappella di Deir el Medina. I pomelli servivano per assicurare i battenti delle porte o i coperchi dei contenitori.

L'amministrazione di un tempo

Fiandra e la collega Piera Ferioli schedarono moltissime cretule conservate nei musei e provenienti da scavi (in particolare, le oltre 6.000 ritrovate nel complesso palaziale e templare di Arslantepe in Turchia, del IV millennio a.C., indagato da Marcella Frangipane dell’Università “La Sapienza” di Roma) e determinarono l’uso amministrativo e ‘burocratico’ di questi dispositivi. Le cretule tolte dai contenitori che avevano contenuto merci e derrate consegnate nei magazzini del palazzo venivano raccolte e conservate negli archivi per un certo periodo, probabilmente un'annata amministrativa; poi venivano gettate. Dopo aver avuto, nel periodo in cui sigillavano le merci, un significato di garanzia del prodotto, le cretule assumevano un nuovo significato di comprova e ricevuta della consegna.

Lo studio delle cretule fu la base per una ricerca più ampia relativa ai sistemi di amministrazione economica nel mondo antico (Turchia e Vicino Oriente), tema intorno al quale Fiandra organizzò tre importanti convegni internazionali e a cui dedicò molti anni di lavoro, in contemporanea con gli impegni istituzionali. Come ispettore della Soprintendenza rivestì vari incarichi: fu a Genova (1961-1966), Bari (1967, 1969/70), Roma; nel 1976 fu direttrice del comitato tecnico per la ricostruzione delle zone terremotate del Friuli; fu impegnata direttamente contro l’abusivismo edilizio in varie zone d’Italia quali Puglia e Liguria, sino alla nomina a Ispettrice Centrale per l’Architettura del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. In contemporanea partecipò a numerose campagne di scavo archeologico all’estero: Creta, Rodi, Atene, Leptis Magna in Libia, Iran (Shahr-I-Sokhta) e Turchia (Istanbul, Side, Arslantepe).

L’interesse e l’attenzione al territorio piemontese non vennero mai meno, e lo dimostra non solo lo studio dei solai in gesso (che fece da stimolo per la realizzazione del Museo di Arti e Tradizioni popolari di Magliano Alfieri e del Museo del Gesso di Moncucco Torinese) ma anche, ad esempio, la valorizzazione dell’attività degli scalpellini locali, in dialetto piemontese i picapere, una famiglia dei quali viveva nella casa di Fiandra a Bagnasco prima che l’abitassero i nonni e i genitori.

Uno spazio bianco

Con lo scopo di salvare e mantenere – come poi avvenne – la missione archeologia a Leptis Magna (Libia) da lei diretta insieme a Piera Ferioli a partire dal 1978, Fiandra fondò nel 1990 il CIRAAS (Centro Internazionale Ricerche Archeologiche, Antropologiche, Storiche), tuttora esistente, con doppia sede una a Roma e l’altra proprio a Bagnasco di Montafia.

Non avrebbe mai scritto una autobiografia, lontanissima da ogni forma di autocelebrazione; lontana non tanto per modestia, quanto perché la vita è troppo breve per non occupare tutto il tempo in studio, ricerche, incontri (per la stessa ragione, immagino, non faceva mai pranzo, come mi disse un giorno: una colazione abbondante e poi era a posto fino a sera); ma forse anche perché la parola scritta le appariva insufficiente per includere ciò che davvero conta, un concetto che traspare nella parole scritte a Paola Pelegatti nel 1955, parlando di Festòs: 

Le tombe, il palazzo, ecc. ecc. […] sono cose indescrivibili; perché tu abbia un’idea di come mi hanno colpita lascerò uno spazio bianco: è la descrizione migliore che possa fare. (Bandini G., op.cit., p. 132)
Enrica Fiandra con il volume
Enrica Fiandra con il volume "Arslantepe cretulae" del 2007, scritto in collaborazione con M. Frangipane, P. Ferioli, R. Laurito e H. Pittman.

Un mare in cantina

La conobbi grazie a un amico; un giorno andammo a trovarla partendo da Torino, lui salì sulla mia macchina con una mantide intrappolata in un vasetto di vetro e l’intenzione di liberarla in campagna. La liberammo, accostando l’auto a bordo strada non so più dove. Uscii da casa di Fiandra con tre titoli di articoli da scrivere. Aveva un mare scomparso in cantina (la spiaggia pliocenica fossilizzata, la battigia e lo scoglio) e la capacità continua di meravigliarsi e interessarsi alle persone; partiva sempre dalle cose piccole (come la cretula) e conservava tutto.

Il settore della ricerca archeologica e della tutela dei beni culturali, negli anni in cui ha iniziato ad operare, era appannaggio soprattutto maschile ma la cosa non sembra averla minimamente influenzata. In una video-intervista del 2007 mostra un originale punto di vista sul ruolo della donna nella società e afferma di non essere femminista;

Bisogna essere convinti che siamo pari agli uomini, io ne sono sempre stata convinta da quando sono nata.
“There is more than one way to do good archaeology”
Hurst Thomas D., Kelly R. L., “Archaology. Down to Earth”, 2007, p. 2

Sostiene poi che se una donna vuole una cosa la otterrà, non le sarà di impedimento il sesso. Per lei, persona di grande caparbietà, ironica e con un ottimismo apparentemente incrollabile, questo era sicuramente vero. Anticonformista in modo spontaneo, sembrava del tutto impermeabile a critiche; “ho litigato con tutti i direttori generali e con tutti i ministri” ribadisce nell’intervista citata, a proposito del suo lavoro in Soprintendenza. Era distante mille miglia dalle piccole diatribe tra archeologi (le critiche ai colleghi, la ricerca spasmodica per aumentare il numero delle pubblicazioni); lo racconta con grande ironia in una rara pagina di riflessioni personali, che risale al periodo ateniese:

L’articolo [degli archeologi] serve di solito a coprire d’ingiurie l’autore che ha dimenticato la ¨ su una parola tedesca nelle note. Le note sono la cosa più importante ed interessante dell’articolo perché lì si potranno trovare gli errori del collega che è sempre necessariamente un rivale da demolire. Con ciò non si deve pensare che gli archeologi non si trattino bene, sono gente molto fine molto educata che si bastona solo per iscritto. L’archeologia è la scienza più innocua dove gli errori vengono definiti opinioni.
(Bandini G., op.cit., p. 192)
Daria Ferrero De Bernardi, Clelia Verzone Luce ed Enrica Fiandra a Torino, 2006 (foto © Olivia Musso).
Daria Ferrero De Bernardi, Clelia Verzone Luce ed Enrica Fiandra a Torino, 2006 (foto © Olivia Musso).

A volte era eccessiva e un po’ troppo ardita. Mi allontanai da lei perché voleva coinvolgermi in uno studio che a me interessava poco e sul quale avevamo punti di vista diversi. Inoltre non riusciva a capire perché non facessi concorsi, non partecipassi a missioni archeologiche all’estero, non cercassi di istituzionalizzare la mia posizione ma facessi invece questo lavoro, l’archeologa, in un altro modo. Avessimo avuto il tempo e la possibilità di discuterne ancora, saremmo probabilmente rimaste in disaccordo ma sarebbero state parole preziose, le sue, perché derivate da un'eccezionale indipendenza di pensiero. E con la consapevolezza di fondo, condivisa, che “There is more than one way to do good archaeology”.

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Bibliografia

  • Bandini G., Lettere dall’Egeo. Archeologhe italiane tra 1900 e 1950, Firenze, Giunti editore, 2003.

  • Fiandra E., L’archeologia dei sistemi economici, in Le Scienze, 169, 2002, pp. 102-112.

  • Fiandra E., Frangipane M., Controllo dell’economia e nascita della burocrazia. Le "cretulae": un efficace strumento di potere nelle mani delle prime élites di governo, in Frangipane M. (a cura di), Alle origini del potere. Arslantepe, la collina dei leoni, Milano, Electa Mondadori, 2004, pp. 77 ss.

  • Musso O., Enrica Fiandra: una vita per la cultura e la conoscenza, in Picchioverde, 7, 2020, pp. 74-76.

  • Musso O. (a cura di), I solai in gesso: giochi artistici d’ombre dal Monferrato, Montafia, CIRAAS, 2011.

“There is more than one way to do good archaeology” è una citazione da David Hurst Thomas, Robert L. Kelly, Archaology. Down to Earth, 3 ed., 2007, p. 2

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