Può un intero villaggio, insieme alle sue strade, ai suoi edifici e ai suoi abitanti, dissolversi nel nulla? D’altronde, se sono scomparsi imperi sconfinati, regni e città imponenti, figuriamoci Giardino! Una manciata di case nel nulla della bassa novarese.
Però, di Giardino, per secoli, niente si è salvato, nemmeno il ricordo del nome. Almeno fino alla metà Novecento, quando la curiosità del recettese Giovanni Deambrogio ne riesumò il nome dalle macerie della storia. E dove non arrivò la ricerca storica, ci pensò la letteratura, nella persona di Sebastiano Vassalli. Nella finzione romanzesca de La Chimera, l’autore riporta in vita l’antico paese, ricostruisce le sue strade e abitazioni, dà voce alle storie di streghe e sortilegi, ma soprattutto rievoca i tipici abitanti del posto — quelli, sì, scomparsi per sempre.
Giardino sorgeva tra i paesi di Biandrate e Recetto nell’attuale provincia di Novara. Come Biandrate e Recetto, anche Giardino si trovava sulla sponda occidentale del fiume Sesia. La sua precisa ubicazione topografica si deve a Giovanni Carlo Badoni, canonico della Chiesa di San Colombano di Biandrate. In un commento all’edizione settecentesca degli Statuta Blanderati, il prelato sostiene che Giardino sorgesse nel tratto del territorio biandratese indicato con la denominazione catastale di “Regione Campo Giardino”, a ridosso dell’attuale quartiere di Borgo Vecchio. Più precisamente, il piccolo abitato sarebbe stato compreso tra il fontanile Gautieri (ancora esistente e situato a poche decine di metri dall’Autostrada dei Trafori) e la Roggia Molinara di Biandrate o Bolgora.
Il Fontanile Gautieri, o Roggia della Fontana del Boschetto. Appena fuori dal centro abitato di Biandrate, lungo la strada che collega il paese a Recetto, si trova la risorgiva identificata da Carlo Badoni come uno dei limiti entro i quali sorgeva il villaggio di Giardino.
Giardino non doveva essere più grande di Biandrate e pressappoco delle stesse dimensioni di Recetto, anche se è complicato stimarne l’esatta dimensione: nei documenti, esso è talvolta indicato come villa, altre volte come locum e altre ancora con il più generico terram. Grazie a due carte di compravendita datate 1381 sappiamo che Giardino poteva contare su un castello, su un forno e su un mulino — poco meno di quanto disponeva Recetto qualche secolo dopo, cioè prima del saccheggio spagnolo del 1636.
Secondo Deambrogio, Giardino non sarebbe mai menzionato nei documenti anteriori al Trecento e nei capitoli degli Statuti biandratesi coevi. Si può pertanto supporre che il cuore del centro abitato, il castrum documentato nella seconda metà del Trecento, sia sorto al principio del XIV secolo o negli anni immediatamente successivi a un evento accorso nel 1311.
Il Quattordicesimo fu un secolo tormentato per le comunità della pianura novarese. Della prima sciagura, avvenuta appunto nel 1311, furono responsabili le bande armate al servizio delle città di Novara e Vercelli. Dopo aver distrutto il castello dei Conti di Biandrate nel 1168, le due città decisero di spartirsi i territori dei Biandrate. Ma l’intesa ebbe vita breve e, dalle prime tensioni, si passò a una lunga rivalità armata, intervallata da temporanee pacificazioni. Lo scontro insorto nel 1311 tra guelfi e ghibellini novaresi interessò anche Vercelli, ma soprattutto Recetto, Biandrate e i territori sui quali sorgeva Giardino. La fazione ghibellina di Novara ebbe la meglio sulla guelfa, i cui principali esponenti trovarono rifugio nelle fortezze del contado. I ghibellini occuparono e devastarono i paesi colpevoli di aver concesso riparo agli avversari, alleati con la città di Vercelli, la cui autorità si estendeva su Recetto e Giardino. Non sappiamo, tuttavia, se Giardino possedesse strutture difensive già all’epoca della devastazione ghibellina o le abbia erette in seguito.
Oltre alle carte private del 1381, la prima testimonianza scritta nella quale appare il toponimo “Giardino” risale al 7 agosto 1404. Nel documento, i de Arborio, antica famiglia vercellese, sottomette i propri territori (oltre a “Giardini”, Recetto, Arborio, Ghislarengo e Lenta) all’autorità di Amedeo VIII di Savoia. Fu un omaggio ben calcolato poiché gli Arborio avevano la necessità di trovare riparo dall’anarchia sfrenata del periodo sotto l’ala di signori più potenti. Una volta terminati gli scontri tra fazioni avverse di novaresi e vercellesi, negli anni Trenta del Trecento, dopo Novara, anche Vercelli perse le proprie libertà comunali e fu assorbita nel Ducato di Milano. Lo stesso destino toccò a Recetto, alla sua frazione, Cassinale, e a Giardino. Pare, tuttavia, che gli Arborio abbiano continuato a esercitare i loro diritti feudali su quei territori anche sotto il dominio visconteo.
Le possenti mura del castello dei Conti di Biandrate, i cui resti sono ancora visibili, un tempo inglobavano la collegiata di San Colombano. Nel 1168 il castello fu abbattuto dalle truppe al servizio delle città di Novara e Vercelli. Da allora iniziò il declino della Contea di Biandrate.
Gli sconquassi del periodo proseguirono. Nel 1341 la Sesia compì una delle sue frequenti inondazioni travolgendo i centri di Albano, Greggio e Oldenico, e non è improbabile che le sue acque abbiano toccato anche le località sulla sponda opposta, come Giardino e Recetto.
Intorno al 1361 fu una pestilenza a devastare il Novarese e il Vercellese. Il morbo vi sarebbe stato portato da una compagnia di ventura inglese assoldata dal marchese del Monferrato, in rotta con i Savoia e gli Acaia. Ad approfittare delle discordie fu Facino Cane, temibile condottiero che mise a soqquadro vaste aree del Piemonte. Nel 1402 la morte improvvisa del duca Gian Galeazzo Visconti, che allora mirava a unificare questa parte d’Italia, gettò le terre del Ducato nel caos totale. Facino Cane sottrasse agli Arborio (e quindi anche ai Savoia) i territori di Lenta, Ghislarengo, Arborio, Greggio insieme a quelli “al di là del fiume” di Vicolungo e Giardino. Nel 1406 il condottiero assunse il titolo di Conte di Biandrate, elevato a tale rango da Filippo Maria Visconti, secondogenito di Gian Galeazzo che, per qualche tempo, accettò obtorto collo la scomoda presenza del condottiero. Nonostante i tentativi di venire a patti con il nuovo Conte, i Savoia furono costretti ad approvare che Giardino e altri territori del contado venissero riconosciuti come parte del feudo di Biandrate a Facino Cane, prima, e a Filippino Cane, fratello di Facino, poi.
Il punto in cui la Roggia Molinara entra a Biandrate, sottopassando il Canale Cavour, e il letto (asciutto in certi periodi dell'anno) del corso d'acqua. La Bolgara, o Roggia Molinara di Biandrate, è un corso d’acqua millenario che, deviando dalla Sesia all’altezza di Landiona, ha contribuito allo sviluppo irriguo delle pianure novaresi e vercellesi.
La situazione si trascinò per qualche anno fino a quando Amedeo VIII occupò militarmente le terre a sinistra della Sesia e riconquistò sia Recetto che Giardino. I Visconti furono obbligati a riconoscere la cessione di Vercelli e del distretto alla destra del fiume. Il passaggio avvenne con un atto stipulato a Torino il 2 dicembre 1427: i Savoia si ripresero Recetto e Giardino, mentre Vicolungo, Biandrate e San Nazzaro Sesia rimasero possessi viscontei. Dopo un breve passaggio agli Sforza, Giardino e Recetto rimarranno paesi di confine sotto i Savoia fino all’Unità d’Italia. Tuttavia, Giardino non avrebbe mai assistito all’unificazione del paese.
Col trascorrere degli anni gli Arborio si erano divisi in tanti rami. A uno di questi apparteneva Mercurino Arborio di Gattinara. Per ricompensarlo dei servizi prestati, l’Imperatore riconobbe Mercurino legittimo discendente della casata, conte di Gattinara e feudatario dei luoghi un tempo appannaggio degli Arborio ― tra questi, Giardino. Giacché i feudi sorgevano su territorio sabaudo, nel 1525 Mercurino chiese a Carlo III di Savoia, ottenendola, la conferma delle concessioni imperiali. Da allora fino al 1709 tutti i diplomi sabaudi di investitura ai Gattinara elencavano il nome di Giardino. Dopodiché, il nulla.
Nel 1730 il contado di Gattinara cessò di esistere e tutti i territori tornarono ai Savoia. La storia successiva è nota: nel 1738 il Novarese è ammesso al Regno di Sardegna, nel 1800 Napoleone raggruppa i territori novaresi nel Dipartimento dell’Agogna e, infine, nel 1861 tutto il Piemonte segue le scelte della politica unitaria. Ma di questa storia Giardino non ne faceva più parte. Per Deambrogio, la riconferma della signoria degli Arborio su Giardino fino ai primi del Settecento sarebbe puramente teorica e semplice riconoscimento degli antichi privilegi. Secondo lo storico, infatti, il paese avrebbe cessato di esistere già nella seconda metà del Cinquecento. Tuttavia, alcuni eventi catastrofici verificatisi nel secolo successivo propenderebbo a far spostare in avanti la sparizione di Giardino.
Tra il 1627 e il 1629 le terre novaresi furono flagellate da una carestia horrenda, aggravata, nelle regioni sottoposte al dominio spagnolo, dall’alloggiamento di compagnie militari. A simili condizioni si aggiunse una devastante pestilenza: il 1° maggio 1630 si registrò il primo infetto a Novara, l’indomani Landiona fu messa al bando, poi toccò a Vicolungo, Carpignano Sesia, Borgomanero e via via fino all’Ossola. Improbabile che Giardino sia rimasto immune.
Come se non bastasse, all’epidemia si accompagnò la guerra. Con il Trattato di Rivoli dell’11 luglio 1635, i Savoia si schierarono con i francesi e contro gli spagnoli. I territori novaresi divennero campo di battaglia: nel 1636 truppe tedesche incorporate nell’armata spagnola invasero le località di confine. Recetto venne privato delle mura difensive e della chiesa, e l’impatto di quelle devastazioni fu tale da essere ricordato ancora nel Novecento.
Infine, nel 1698 la Sesia ruppe gli argini all’altezza di Arborio ed esondò modificando il proprio corso. Il resoconto del Governatore dei Vercelli elenca minuziosamente i danni provocati e ricorda un’esondazione precedente che aveva a sua volta fatto mutare corso al fiume. Forse una di queste piene travolse Giardino?
Anche Sebastiano Vassalli optò per l’ipotesi secentesca. Egli infatti collocò a Giardino, tra il 1590 e il 1610, la breve esistenza di Antonia, stroncata dall’intolleranza e dal fanatismo, figli degeneri della paura e dell’ignoranza. È immediatamente chiaro come il paese, che prima accoglie e poi saluta con giubilo la condanna dell’esposta novarese, non sia un banale sfondo alle vicende di Antonia, ma è protagonista esso stesso. Il lettore lo capisce dai primi capitoli, quando cioè viene accompagnato lungo il percorso che conduce Antonia da Novara a Zardino. Al lettore pare di essere sul carro dei coniugi Nidasio, tra i sacchi di sementi a fianco della giovane. Dalla piazzetta davanti alla Pia Casa di Carità a San Michele fuori le Mura, nell’attuale quartiere orientale di Sant’Agabio, il biroccio imbocca “il viale dei pioppi che portava al Borgo Santa Croce ed alle mura di Novara”. Da lì, costeggiando la cinta muraria, il carretto giunge a Porta San Gaudenzio, dove oggi si trova la Barriera Albertina, prima di inoltrarsi in un sobborgo che, all’epoca, “sembrava fosse stato appena costruito, tant’era lucido di vernici, fresco di intonaci, nuovo in ogni suo dettaglio”: il sobborgo di San Gaudenzio. Quello era il luogo dove le strade s’incrociavano: “a sinistra, uscendo dal sobborgo, s’andava verso Vercelli”; a destra, “s’andava verso Biandrate e verso i paesi della valle del Sesia”. Presa la strada di destra, il piccolo convoglio, una volta superati i boschi della valletta del fiume Agogna, si trova immerso nella campagna “che oggi appare piatta come un tavolo da bigliardo”, ma allora era “ondulata e colorata con tinte a tratti vivacissime”. Infine, oltrepassato il bivio per Gionzana, e dopo aver percorso una decina di chilometri in direzione di Biandrate, Antonia raggiunge per la prima volta Giardino.
L’inventiva e l’esperienza dei luoghi di Vassalli è in grado di restituire vita al paese, del quale ricostruisce strade ed edifici e tratteggia personaggi tipici ormai scomparsi. Il borgo è composto da una trentina di nuclei familiari. Le poche e povere case di Giardino sono fatte in parte di mattoni, in parte di ciottoli di fiume, i loro balconi in legno così come le stalle e le rimesse degli attrezzi. La strada principale, sulla quale si affaccia la maggior parte delle abitazioni, è proprio quella che conduce a Novara e attraversa il paese fino alla piazzetta della Chiesa. In questo luogo, due volte al mese, si tiene il mercato di prodotti agricoli; approfittando della folla, l’Osteria della Lanterna di fronte alla chiesa diventa un locale animatissimo, “un vero e proprio mercato nel mercato”. A fianco della strada, l’unica, che porta a Novara, si trova il lavatoio e, più avanti, il mulino dei tre Re. Fuori dal centro abitato, Giardino è circondato da vigneti, boschi, prati, risaie e campi di mais. Ci sono infine due dossi formati dai detriti che la Sesia accumula durante le piene. Su uno di quelli, il dosso dell’albera, Antonia viene arsa viva tra il tripudio della folla.
Come scrisse Roberto Cicala, il paesaggio così tratteggiato è “uno sfondo antropologico che diventa anch’esso protagonista”. Su quella pianura, oggi piatta e coltivata ma a quei tempi ondulata e in parte incolta, si muovevano personaggi che di quel paesaggio erano espressione autentica: risaroli, camminanti (irregolari che peregrinavano di paese in paese), pittori di edicole votive, campari e quistoni (rispettivamente “guardiani dei campi” e “falsi preti”), e poi uomini e donne precocemente invecchiati dal lavoro nei campi. Infine, Antonia, la cui tragica fine permette a Vassalli di celebrare il coraggio e la forza di una giovane i cui principali crimini sarebbero l’eccessiva avvenenza e l’amore, malriposto ma mai rinnegato, per la persona sbagliata.
Ha ancora senso, oggi, l’operazione letteraria messa in piedi da Vassalli trent’anni fa? Perché disseppellire un paese dimenticato dalla storia e mettere in scena una vicenda di stregoneria apparentemente anacronistica? Nella Premessa si legge che
nel presente non c’è niente che meriti di essere raccontato. Il presente è rumore: milioni, miliardi di voci che gridano, tutte insieme in tutte le lingue e cercando di sopraffarsi l’una con l’altra, la parola "io".
Se dunque il presente appare poco interessante, allora l’autore ha fatto bene a guardare al suo opposto, a un passato marginale e dimenticato. Si tratta, pertanto, di un’operazione affatto nostalgica, ma che vuole provare a dare un senso al presente. Benché scritto più di trent’anni fa, la persecuzione di Antonia ricorda tristemente, non nei modi ma nella sostanza, i tormenti patiti da sempre più donne negli ultimi tempi.
Sempre nella Premessa, l’autore descrive nulla quanto appare dalle finestre della propria casa e il vuoto lasciato da Giardino. Per quanto appartenuti a tempi ostili e a luoghi esposti a innumerevoli pericoli, il paesaggio e i personaggi evocati nel romanzo davano ognuno significato all’altro. Oggi, se il paesaggio della bassa è ancora in buona parte rurale, i suoi abitanti sono completamente cambiati. Non si vedono più risaroli chini nelle risaie, ma vere e proprie macchine, sempre più potenti, che hanno sostituito gli uomini nel lavoro nei campi. Gli abitanti di questo angolo di terra lavorano perlopiù in uffici, negozi e fabbriche. Le loro abitazioni, il loro modo di esprimersi e abbigliarsi li avvicina a milioni di persone in Italia e nel mondo. In breve, i modelli culturali sono cambiati: non più valori contadini, ma modelli di tipo consumistico imposti dal processo industriale e veicolati dai moderni mezzi di comunicazione. Quella che Pasolini, circa cinquant’anni fa, battezzò “mutazione antropologica degli italiani”.
Per coloro che provano un senso di smarrimento di fronte alla dicotomia tra abitanti e paesaggio della bassa, non rimane che mettersi alla ricerca di un nuovo Giardino e di altre Antonia: “uscire dal rumore, andare in fondo alla notte o in fondo al nulla”. Solo così, forse, si potranno trovare le chiavi del presente.
In memoria di Giovanni Deambrogio, detto Giuani d’la Maiastra. Recettese illustre.
Beltrame D., Recetto (D’Arborio) e Cascinale (Del Bosco) due terre alla sinistra del fiume Sesia, Pro Loco Recetto, 2008.
Cicala R., Vassalli scava nel ‘600 e trova il nulla, in L’Azione, 14 aprile 1990.
Deambrogio G., Due terre vercellesi e sabaude sulla sponda sinistra del fiume Sesia (Recetto e Cassinale), Vercelli, SETE, 1962.
Deambrogio G., Di Giardino, un paese scomparso, in Giovanni Deambrogio. Antologia di Scritti, Vercelli, Mercurio, 2009.
Vassalli S., La Chimera, Torino, Einaudi, 1990.