I luoghi di Napoleone in Piemonte

Nel bicentenario della morte, un itinerario piemontese sulle tracce dell'imperatore che riscrisse la storia

Napoleone alla battaglia di Marengo. Incisione ottocentesca.
Roberto Coaloa
Roberto Coaloa

Storico, biografo di Tolstoj, slavista, traduttore, critico letterario, autore di saggi dedicati al Risorgimento, alla Grande Guerra e ai viaggiatori, come Carlo Vidua, collabora a Il Sole-24Ore e La Stampa. È uno dei più autorevoli specialisti della storia dell’Austria-Ungheria. Si definisce “flâneur esistenzialista”: un instancabile ricercatore di cose rare e amateur di musica.

  

Un itinerario napoleonico in Piemonte deve partire assolutamente da Torino, passare da Mombasiglio e concludersi nel Piemonte orientale, a Casale Monferrato, Alessandria e Stresa.

Prima tappa è il Museo Nazionale del Risorgimento italiano. All’epoca della Rivoluzione francese e di Napoleone sono dedicate quattro sale, perché è dal berretto frigio sopra l’albero della libertà che inizia la sequenza di visita relativa alle varie tappe del movimento di nazionalità italiano che portò all’Unità. Tra i cimeli importanti: la bandiera della città di Torino annessa alla Francia e alcuni busti napoleonici.

Museo Nazionale del Risorgimento italiano
Museo Nazionale del Risorgimento italiano, Torino. Ricostruzione dell'albero della libertà eretto in Piazza Castello a Torino l'11 dicembre 1798. In cima all'albero il berretto frigio.

Chi scrive auspica che il Museo Nazionale del Risorgimento italiano possa diventare, grazie al suo prezioso team di studiosi e operatori culturali, il capofila di un progetto internazionale di “passeggiate napoleoniche” che sappia congiungere oltre ai luoghi celebri legati a Napoleone, come Marengo, anche i luoghi della guerra tra la Repubblica francese e il Regno di Sardegna, nel periodo 1792–1796, quando sorse la stella del giovane generale d’armata Napoleone Bonaparte. Quindi Cherasco, Bene Vagienna, che ospitò Napoleone nel palazzo Lucerna di Rorà dopo la vittoria di Mondovì, per non parlare dei tantissimi siti di splendide avventure napoleoniche nelle vicine Liguria e Valle d’Aosta.

Tra ponti e carrozze

A Torino spicca un’opera fatta erigere da Napoleone: il ponte in pietra sul Po, a cinque arcate ellittiche che unisce oggi piazza Vittorio Veneto alla Chiesa della Grande Madre di Dio. Fu progettato dall’ingegnere Claude Joseph La Ramée Pertinchamp, dell’École des Ponts et Chaussées. Tale ponte è così iconico da essere stato uno dei luoghi preferiti ripresi da Peter Coolinson per il cult The Italian Job del 1969.

Le mini del film The Italian Job sul Po
Torino. Le mini del film The Italian Job (1969) sul Po, sullo sfondo il ponte napoleonico di pietra.

A Torino visse Gustavo Rol, grande collezionista di oggetti napoleonici. Oggi, la carrozza che servì a Napoleone e a Giuseppina nel loro viaggio da Parigi a Milano per l’incoronazione del 1805, acquistata da Rol, dopo mille peripezie alle quali non basterebbe un volume per raccontarle, è passata dalla sua collocazione originaria a Stupinigi alla reggia di Venaria Reale, dove è possibile ammirarla.

Dal Museo di Mombasiglio a Casale Monferrato

Gravure politique su Napoleone di Carlo Vidua
Gravure politique su Napoleone acquistata da Carlo Vidua a Parigi nel 1814. Annotazione manoscritta di Vidua: "Première caricature qui fait parue sur Bonaparte à Paris en 1814".

Dopo Torino, merita una visita il Museo di Mombasiglio, sede di un interessante percorso museale napoleonico. Durante la prima Campagna d’Italia, i soldati di Napoleone che avevano combattuto a San Michele Mondovì, dimorarono per alcuni giorni all’interno dell’edificio, lasciando i segni del loro passaggio nel salone del terzo piano, graffiti in carbone tracciati dagli stessi sulla pietra del camino. Il museo conserva una collezione di ben quarantaquattro incisioni su rame, di primo Ottocento, tratte dagli acquerelli realizzati dal pittore torinese Giuseppe Pietro Bagetti e commissionate dallo stesso Napoleone, che nel 1802, da Parigi, volle un ricordo di questi territori che lo avevano consacrato vincitore nella prima campagna d’Italia.

A Casale Monferrato, nella Biblioteca e nel Museo Civico sono conservati i libri e le incisioni del periodo napoleonico collezionate dal conte Carlo Vidua tra il 1814 e il 1815 a Parigi. La collezione, “la più completa di Parigi”, è ora conservata alla Biblioteca Civica di Casale Monferrato, insieme ad una ancor più rara collezione di stampe napoleoniche, les gravures politiques (su Napoleone, i Cento Giorni, l’occupazione di Parigi, la restaurazione dei Borboni). Questa raccolta, dal valore inestimabile, è ora visibile in piccola parte in una sala del Museo. Nella Biblioteca, inoltre, troviamo prime edizioni di Benjamin Constant e di Chateaubriand.

Da Casale Monferrato a Marengo, consiglio un viaggio in auto ascoltando Tosca! La splendida promenade militaire è assicurata dalle emozioni che si presenteranno ai nostri occhi di curiosi di storia e da una bella flânerie musicale, seguendo l’opera di Puccini!

Un platano a ricordo della battaglia di Marengo

Dal campo di battaglia, dove quasi tutto è rimasto fermo al 14 giugno 1800, dal fiume Bormida verso Tortona, da Alessandria si procede verso la Torre di Teodolinda, vestigia medievale, ora in via Barbotta di Spinetta Marengo, di fronte al Museo napoleonico di Marengo, costituito da una parte recente, con tanto di piramide, vale a dire il museo con percorso multimediale e Villa Delavo, fatta costruire nel 1846, in pratica il primo museo al mondo interamente dedicato a Napoleone. Un farmacista di Alessandria, Giovanni Delavo, innamorato di Marengo e appassionato cultore delle memorie napoleoniche, fece costruire accanto al bivio che era stato al centro della battaglia, una villa in stile neoclassico. Ne recinse il vasto cortile con una cancellata sorretta da colonnine a foggia di fasci repubblicani. Al centro collocò una statua marmorea, opera del grande scultore Benedetto Cacciatori, che ritrae Napoleone come primo console. Nel parco fece poi innalzare una cappella nella quale furono riuniti i resti di molti caduti di Marengo e, accanto a questa, pose una stele con un busto del generale Desaix.

Platano di Napoleone a Marengo
Il platano di Napoleone. Fotografia di Roberto Coaloa, aprile 2021.

Nel secondo atto di Tosca, nel mezzo della drammatica scena della tortura di Mario Cavaradossi, la notizia della vittoria napoleonica di Marengo sugli austriaci di Michael Friedrich Benedikt von Melas segna, con l’aria “Vittoria, vittoria”, la definitiva condanna a morte per fucilazione di Cavaradossi, sostenitore dell’eroico generale corso. È il famigerato barone Scarpia a nominare Melas all’arrivo della notizia della sconfitta di Marengo. È risaputo che Napoleone adorasse ricordare Marengo e ogni volta che passava in Italia ci tornava, come nel caso dell’incoronazione di Milano nel maggio 1805. Tra l’altro Napoleone entrava solennemente a Milano da Porta Ticinese, attraverso l’arco che era stato elevato in gloria di Marengo.

Napoleone piantò un albero in ricordo della celebre battaglia. Oggi una targa, un po’ consumata, ricorda “Il platano di Napoleone”, in una posizione drammatica per il turista, che deve sfidare un traffico di mezzi, davvero sostenuto, sulla strada provinciale. Il platano si trova uscendo da Alessandria in direzione di Spinetta Marengo, poco prima del ponte sul fiume Bormida. È alto quaranta metri e la tradizione vuole sia stato piantato nel 1800 da Napoleone per onorare i circa 2.000 soldati morti il giorno della battaglia e i 10.000 feriti di entrambi gli schieramenti, di cui settemila morirono successivamente a causa delle gravi ferite e infezioni che la medicina del tempo non poté curare.

Nell'Alessandrino, tra vigneti e cascine

Tra Marengo e Castelceriolo la cascina Barbotta, pur con tocchi moderni, mostra ancora, verso nord, il basso muro di mattoni tipico delle vecchie fattorie alessandrine. Qui si batterono per alcune ore le truppe di Lannes sino a che non si videro arrivare addosso i reggimenti di Ott provenienti da Castelceriolo (dove oggi la strada principale porta il nome del generale francese Louis Charles Antoine Desaix). Alcuni testimoni della battaglia ricordano, nei loro scritti, che i francesi respinti da Castelceriolo si rafforzarono nelle vigne dietro il paese. Queste vigne (che un tempo riempivano di buon vino la capace cantina del castello Ghilini) furono distrutte dalla fillossera nei primi decenni del Novecento e oggi non resta quasi traccia di quella coltura. Rimangono invece i campi di grano di cui parla ripetutamente il capitano Coignet.

Tra Castelceriolo e San Giuliano Vecchio il terreno si innalza leggermente. Non si tratta di una collina ma di una leggera ondulazione che si nota appena sulla linea dell’orizzonte. Qui sorgono alcune cascine: la Rana, la Busona, i Poggi, i cui nomi compaiono già sulle carte francesi del 1800. La cascina Poggi, forse la più alta, si trova per così dire in un punto panoramico da dove si possono scorgere in lontananza i tetti di Marengo e, al di là di quelli, la spalliera di alberi lungo la Bormida. In questa zona, ma è difficile indicare il luogo esatto, la guardia consolare di Bonaparte, serrata in quadrato, si sacrificò nel tentativo di arginare le cariche della cavalleria nemica. Più sicura, invece, è l’identificazione del luogo dove nel 1805, un 5 maggio (!), sorse il palco da cui Bonaparte e Giuseppina assistettero alla ricostruzione della battaglia di Marengo. La zona, oggi una assolata distesa di messi con un gruppetto di gelsi, si chiama regione Trono, a testimonianza di quell’evento che soppiantò, con la prepotenza delle insegne imperiali, il ricordo che il comandante dell’armata francese Berthier aveva seguito di là le prime fasi della battaglia.

Il quartier generale di Napoleone, cascina Torre Garofoli

Nel nostro itinerario napoleonico potremmo trovare altre cose interessanti (consiglio di dedicare almeno due giorni al tour alessandrino): una cascina vicino a Tortona, a Torre Garofoli, sede del comando di Napoleone, e soprattutto una piccola lapide, prima di arrivare a Torre Garofoli, partendo da Alessandria, in zona Vigna Santa (oggi sede dell’Agriturismo Vigna Santa), che omaggia il generale Desaix, vero eroe di Marengo, nel luogo dove – si presume – cadde da cavallo sfinito dalle ferite della battaglia. Come il toponimo suggerisce, nel 1800 il terreno era coltivato a vigneto. Oggi si estendono solo campi di grano e qualche albero. Nei dintorni di San Giuliano Vecchio e di Castelceriolo, le vigne di cui si parla in molti scritti dei combattenti di Marengo, sono scomparse.

Cascina di Torre Garofoli
Interno dell'antica cascina di Torre Garofoli. Fotografia di Roberto Coaloa, aprile 2021.

Alla vigilia della battaglia, la sera del 13 giugno, Napoleone, dopo aver ispezionato gli avamposti a Marengo, mosse da San Giuliano per ritornare al suo quartier generale di Voghera, ma a causa del maltempo dovette fermarsi a Torre Garofoli. La località, ora racchiusa in piccole case, un cimitero e la Chiesa di S. Giustina e S. Agnese, eretta a parrocchia nel 1595, con grandi platani sul sagrato, conserva un’antica fattoria. Sullo spigolo esterno del muro di cinta della cascina è stata infissa una targa metallica con la scritta: “Torre Garofoli quartier generale di Bonaparte”. Entrando nel vasto cortile, che il granatiere Coignet descrisse rischiarato dai bivacchi dei soldati della guardia consolare e ingombro di feriti, si nota sulla facciata dell’edificio principale una lapide. Il testo ricorda che Bonaparte concepì il piano della battaglia di Marengo e raccolse le ultime parole del generale Desaix ferito a morte. Le indicazioni non sono esatte. Napoleone a Torre Garofoli non concepì alcun piano: la battaglia gli fu imposta di sorpresa da Melas; in quanto a Desaix, venne portato al quartier generale già morto. Più esatta la recente plaquette installata accanto a un portone della fattoria accanto alla Chiesa di S. Giustina e S. Agnese. Si legge:

Cascina Torre Garofoli. Costruita nella seconda metà del XV secolo, apparteneva alla nobile famiglia Tortonese dei Garofoli. Nel censimento del 1541 è denominata Torre de fraschetta. Giustina Garofoli, ultima dell’illustre famiglia, nel 1603 la destinò con tutti i suoi beni a Guglielmo Guidobono Cavalchini, sposo della nipote Laura Busseti. Ampliata nella seconda metà del XVIII secolo, la cascina ospitò il quartier generale di Napoleone Bonaparte, primo console di Francia, nelle ore decisive della battaglia di Marengo, combattuta nella piana tra Torre Garofoli e il Bormida, il 14 giugno 1800.

Probabilmente Napoleone si fermò a Torre Garofoli ancora la sera del 14 giugno, alla fine della battaglia, dove mangiò con grande appetito, il famoso pollo (“Alla Marengo”).

L'aquila rubata di Marengo

Una storia interessantissima e avventurosa accompagna l’enigmatica colonna commemorativa della vittoria napoleonica di Marengo, costituita da un pilastro con iscrizioni, in cima al quale è posta l’aquila francese dorata. È un monumento commemorativo eretto a Marengo, per la prima volta, nel 1801, l’anno dopo la battaglia. Una seconda volta, dopo la Prima guerra mondiale, nel 1922, quando gli eredi dell’Impero d’Austria-Ungheria sconfitto nella Grande guerra consegnarono agli italiani l’aquila francese dorata (quella ancor posta sulla colonna), che gli austriaci s’erano presi come bottino nella Restaurazione.

Colonna con aquila a Marengo
Marengo 1922. Punto di biforcazione delle due strade, per Castelceriolo e per Spinetta, dove fu ricollocata la colonna con l'aquila.

Quando venne eretto nuovamente il monumento, nel 1922, la colonna era ben visibile di fronte al castello di Marengo, sul bivio dove dalla strada per Tortona-Piacenza si separa quella per Spinetta Marengo: strade strette, prive di costruzioni e di alti guard-rail sui bordi (e con un traffico molto meno intenso e veloce di oggi) che consentivano a tutti, passando, di vedere da un lato il castello, dall’altro la colonna con l’aquila. Poi le strade sono state allargate, si sono aggiunti palazzi e atroci guard-rail e il risultato è che la colonna commemorativa dell’evento più importante di Alessandria sia diventata praticamente invisibile, separata dal contesto naturale cui appartiene, cioè la villa-museo e il parco di Marengo. Inoltre la colonna di Marengo quando venne ricollocata nel 1922 era priva di un basamento a forma piramidale, che si suppone fosse presente nella prima collocazione del 1801.

Oggi, la cosa stupefacente è che – durante il riallestimento del museo – della colonna e dell’aquila gli amministratori locali si sono assolutamente dimenticati. L'invisibilità della colonna e dell’aquila, infatti, è diventata pressoché definitiva il giorno in cui (ad un centinaio di metri di distanza e qualche anno fa) sulla grande rotonda stradale (appena superato il castello di Marengo e il suo museo) è stata collocata un’insegna luminosa policroma, visibile solo di notte e da un solo lato, ad imitazione del Napoleone trionfante di David. È senz'altro augurabile che prima o poi ad Alessandria qualcuno rifletta e riporti aquila e colonna nel loro contesto naturale, cioè nel complesso Museo-parco-ossario di Marengo, magari con tanto di piramide (dove in passato erano scolpite certamente alcune iscrizioni). La loro storia merita d’essere raccontata in un approfondimento alla fine di questo articolo.

busto in marmo di Napoleone
Il busto in marmo di Napoleone, opera di Giovanni Battista Comolli, tra Roberto Coaloa e Louis-Napoléon Bonaparte-Wyse. Alessandria, 2005.

Infine la città di Alessandria conserva altre testimonianze napoleoniche. Accenniamo qui alle collezioni del museo e della pinacoteca. Da ammirare il grandioso marmo di Giovanni Battista Comolli, eseguito per ordine del Municipio di Alessandria nel 1811–1812, che rappresenta un busto di Napoleone laureato, molto simile a quello di Milano del 1809 (al Museo del Risorgimento), che, invece, è cinto dalla Corona Ferrea.

Una notte sul Lago Maggiore

L’ultima tappa del nostro itinerario napoleonico è a Stresa, dopo Torino la località più turistica del Piemonte. All’epoca di Sua Eccellenza Don Giberto V Borromeo, nono marchese di Angera, risale la frequentazione più illustre dell’Isola Bella, quella di Napoleone con la moglie Giuseppina. Fu una visita inaspettata e complicata, come risulta dalla corrispondenza tra l’amministratore del palazzo e il conte Giberto V Borromeo, che si trovava a Roma in qualità di ambasciatore presso la Santa Sede. Il marchese fu poi deportato dapprima a Cuneo e poi alla fortezza di Nizza, dove rimase imprigionato e liberato solo dopo la battaglia di Marengo. Correva l’anno 1797. Nella primavera era terminata la campagna d’Italia. Al congresso cispadano Napoleone aveva appena affermato:

La disgraziata Italia è da molto tempo cancellata dal novero delle potenze europee. Se gli Italiani d'oggi son degni di recuperare i loro diritti e di dare a se stessi un governo libero, si vedrà un giorno la loro patria figurare con gloria fra le grandi potenze della terra.

Molti anni dopo, nel soffocante carcere di Sant’Elena, Napoleone ricordò il periodo:

Da allora, ho cominciato a immaginare ciò che sarei potuto divenire! Vedevo il mondo fuggire sotto di me, come se io fossi sollevato in aria…

Nel 1797, il Sacro Romano Impero, dopo la stipula del definitivo trattato di Campoformio, fu obbligato a cedere alla Francia i Paesi Bassi austriaci, accettò l’occupazione francese della riva sinistra del Reno e delle Isole Ionie e riconobbe la Repubblica Cisalpina; in cambio il Direttorio offrì la Repubblica di Venezia compresa l’Istria, la Dalmazia e altri territori nell’Adriatico agli Asburgo, il cui Imperatore era il rappresentante del Sacro Romano Impero.

Napoleone all'Isola Bella
Bonaparte all'Isola Bella. Incisione di François Flameng, 1898. Napoleone è ritratto mentre assiste all'esibizione della cantante varesina Isabella Grassini.

Napoleone si diresse all’Isola Bella dopo la battaglia di Milano (i cui difensori si arresero il 29 giugno nel Castello Sforzesco), direzione Parigi, dove lo attendevano feste indimenticabili. A Palazzo Borromeo vi restò una sola notte il 17 agosto 1797 (due giorni dopo il suo compleanno, il 15 agosto), accompagnato da una corte di almeno sessanta persone e dall’esercito. Aveva appena compiuto ventotto anni. Il generale Louis Alexandre Berthier dormì nella galleria dei quadri che da allora prese il suo nome. Il giorno seguente prima di attraversare il Golfo Borromeo, per raggiungere Laveno, Napoleone si fermo sull’Isola Madre per cacciare qualche fagiano da portare con sé. Nei due giorni in cui Napoleone e la moglie si trovavano sull’Isola Bella, passeggiando nei pressi di una grande pianta di alloro, il generale incise con la lama di un pugnale la parola "battaglia" sul fusto del grande albero. Tali informazioni risultano da parecchie fonti, una tra le più note è quella del Medoni:

[...] uno di questi allori (presenti sull’isola...) attrae l’attenzione per la smisurata mole [...] desta altresì attenzione in quanto credesi che il Bonaparte vi abbia scolpito la parola battaglia quando visitò l’isola in compagnia della moglie.

L'amore di Giuseppina per l'Isola Bella

Giuseppina soggiornò due volte all’Isola Bella: nel 1797, all’indomani della prima campagna d’Italia di Napoleone, e vi tornò poi, innamorata del luogo, nel 1805. Oggi, di questi soggiorni, resta la stanza di Napoleone, arredata da mobili in Stile Impero. Inizialmente questa sala era chiamata "Sala dell’Alcova", per la grande rientranza in cui tradizionalmente veniva inserito il letto. Durante l’Ottocento il nome fu modificato a ricordo della visita di Napoleone. Il letto a baldacchino è in damasco e raso con decorazioni in seta e fili d’argento, l’arredo in stile Impero. Al soffitto è appeso un lampadario in vetro di Murano della seconda metà del Settecento. Sul cavalletto a destra del letto, una riproduzione di una tela che rappresenta un momento del soggiorno del generale francese, intrattenuto nel giardino insieme ai suoi dignitari. In alto sulle pareti alcune cornici sagomate in stucco sono rimaste pressoché vuote: ospitavano i dipinti di Francesco Zuccarelli dedicati alle proprietà Borromeo che sono stati però spostati altrove, in quanto questa sala risulta tra le più umide del palazzo.

Quadro di Tito Conti, il letto di Napoleone all'Isola Bella
Un celebre quadro di Tito Conti: la regina Vittoria d'Inghilterra e la principessa Beatrice davanti al letto di Napoleone all’Isola Bella nel 1879, olio su tela.

La visita di Napoleone è ricordata a Stresa da sempre, come rammentano i filmati d’epoca del ventennio fascista (dove la visita di Napoleone è però collocata nel settembre 1797), con sontuose rievocazioni storiche. Ancora oggi è una festa, celebrata dal sindaco e dalla popolazione. Sulla futura imperatrice, si racconta che, innamoratasi del luogo, fece di tutto per convincere i Borromeo a vendere l’Isola Madre o (meno probabilmente) i castelli di Cannero. Incontrò il rifiuto dei Borromeo, ma seppe assai degnamente consolarsi con la splendida Villa d’Este di Cernobbio, sul lago di Como. La sala dove dormì Napoleone ha ricevuto le visite di turisti illustri. Un magnifico quadro di Tito Conti, ad esempio, raffigura la regina Vittoria d'Inghilterra e la principessa Beatrice davanti al letto di Napoleone all’Isola Bella nel 1879.

La colonna commemorativa di Marengo

La colonna commemorativa della vittoria di Napoleone a Marengo venne eretta per la prima volta nel 1801, un anno dopo la battaglia; il monumento, costituito da un pilastro con iscrizioni alla cui sommità spicca un'aquila francese dorata, venne preso dagli Austriaci come bottino ai tempi della restaurazione del Regno di Sardegna. Dopo la Grande guerra, e precisamente il 14 giugno 1922, la colonna commemorativa fu ricollocata al suo antico posto. La cerimonia del ricollocamento fu modesta, come esigevano le circostanze del tempo, e come, a dire il vero, esigeva la modestia del monumento, il cui pregio consiste nel suo valore simbolico e nella memoria che a lui si connette.

Colonna con aquila di Napoleone a villa Tersatto
Da una fotografia d'inizio Novecento, veduta a sinistra della colonna con aquila trasportata dal generale asburgico Nugent nella sua villa di Tersatto e collocata presso il tempietto racchiudente il sepolcretto gentilizio dei Laval di Nugent.

La prima erezione del monumento fu amara ed ebbe una storia breve. Ritornata Casa Savoia in Piemonte, mentre ancora Alessandria era presidiata dalle alleate truppe austriache della Santa Alleanza, il monumento venne atterrato. L’importanza però delle sue memorie invogliò il conte Laval Nugent von Westmeath, generale austriaco di discendenza irlandese, all’epoca nel corpo degli ingegneri del Genio, addetto allo Stato Maggiore delle truppe austriache, ad “approfittarsi”, per così dire, della abbattuta colonna, e trovò modo di impossessarsene, trasportandola, trofeo di guerra, a Tarsatto presso Fiume nel proprio castello, collocandola vicino al sepolcro gentilizio dei de Nugent. L’impero francese e l’impero asburgico usavano con orgoglio il simbolo dell’aquila, anche se nell’ornitologia araldica l’aquila di Bonaparte ha una testa sola, mentre la specie degli Asburgo ne possiede due. Il mausoleo dei de Nugent è tuttora una meta visitabile in Croazia, dove trionfa con due vistose statue di drago all’ingresso del tempietto.

Laval Nugent von Westmeath
Laval Nugent von Westmeath, il generale asburgico protagonista delle vicende della colonna commemorativa di Marengo.

Quando le armi italiane, vittoriose nel 1918, liberarono Fiume, si pensò subito alla colonna di Marengo a Tersatto. Nel 1922, la Sovraintendenza ai Monumenti del Piemonte, e la Società Storica della Provincia di Alessandria, con il voto del Comune, provocarono presso il Governo la restituzione del cimelio storico al Municipio di Alessandria, che ne era proprietario. E la colonna difatti fu recuperata per il tramite dell’Autorità militare di allora e fu deposta al forte Bormida. Però non è affatto vero che l’idea della restituzione dell’aquila di Marengo sia sorta per la prima volta dopo la vittoria del 1918.

Nel 1899, ad Alessandria, sorse un comitato internazionale con lo scopo di celebrare il centenario della battaglia. Il progetto fu elaborato dallo studioso napoleonico Alberto Lumbroso e Francesco Gasparolo, storico di Alessandria, allora residente a Roma. Il comitato si divise in due sezioni: una con sede a Roma, l’altro ad Alessandria. Organo del comitato fu un Bollettino, uscito in due numeri assai rari e collezionati da chi scrive. È interessante notare che (oltre al Congresso internazionale di studiosi di storia napoleonica, oltre una esposizione di cimeli napoleonici, a cui avevano promesso di partecipare, fra tanti, gli stessi membri della dinastia napoleonica, con a capo la vedova di Napoleone III, l’Imperatrice Eugenia, nata il 5 maggio (!) 1826 a Granada e morta l’11 luglio 1920 a Madrid, oltre a una solennissima tornata accademica da tenersi nella villa di Marengo la sera del 14 giugno, e dove Carducci aveva già accettato di tenere il discorso d’occasione) si era rigorosamente pensato a far ritornare da Tersatto la colonna di Marengo. Lo studioso Alberto Lumbroso aveva assicurato di riuscire nell’intento, però, recatosi appositamente a Tersatto, e considerata da una parte la modestia del monumento, e dall’altra parte la spesa che avrebbe richiesto il suo trasporto ad Alessandria, deliberò di fare eseguire un monumento simile a Marengo.

tempietto dei Laval di Nugent
Oggi senza il trofeo napoleonico: il tempietto dei Laval di Nugent, dove il generale Nugent portò l'aquila francese.

Le elezioni amministrative avvenute ad Alessandria il 25 giugno 1899, tuttavia, troncarono improvvisamente tutti i progetti fatti e che dovevano essere attuati. Il giovane partito socialista aveva preso il potere nell’amministrazione cittadina e una lettera del sindaco dichiarava al Presidente e Vicepresidente del Comitato internazionale, che questo, di fronte alla città di Alessandria, si riteneva come sciolto. Fu un vero colpo di scena e un fulmine a ciel sereno. Colpo di scena, perché esorbitava dalle competenze del capo di una amministrazione elettoralmente sconfitta di troncare una iniziativa che assai probabilmente sarebbe stata accettata e continuata, come tutto lasciava credere, dalla nuova amministrazione. Fulmine a ciel sereno, perché tale atto mosse a sdegno talmente lo studioso Alberto Lumbroso che, nonostante le più vive preghiere di continuare nell’opera, si dichiarò anche per parte sua sciolto da ogni impegno preso. Francesco Gasparolo non riuscì da solo a portare a termine i grandiosi festeggiamenti per celebrare a Marengo il centenario della vittoria di Napoleone. Intervenne il conte Giovanni Zoppi, che organizzò per l’anniversario della battaglia, il 14 giugno 1900, una ridotta festa. Come scrisse Gasparolo nella Rivista di Storia, Arte, Archeologia per la provincia di Alessandria, nel 1922 (fascicolo XXIII (Serie III):

Così fra le altre cose tramontò anche l’idea di far innalzare la colonna del 1801 a Marengo con mezzi di pace: quattro lustri dopo doveva restituirla la guerra nazionale vittoriosa contro l’antico nemico d’Oltralpe.
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Bibliografia

  • Bianchi P., Merlotti A., Andare per l’Italia di Napoleone, Il Mulino, 2021.

  • Coaloa R., Carlo Vidua, un romantico atipico, Città di Casale Monferrato, Assessorato per la Cultura, 2003.

  • Levra U., Il Museo Nazionale del Risorgimento italiano di Torino, Milano, Skira, 2011.

  • Merlotti A., Andare per regge e residenze, Bologna, Il Mulino, 2018.

  • Palumbo P., La carrozza di Marengo, in Revue du Souvenir Napoléonien, 2, 2020.

  • Ronco A., Marengo. Vittoria di Bonaparte, Genova, Sagep, 1980.

  • Spantigati C. e Romano G. (a cura di), Il museo e la pinacoteca di Alessandria, Cassa di risparmio di Alessandria, 1986.

  • Thiry J. e altri, Marengo. 14 giugno 1800, Cassa di risparmio di Alessandria, 1980.

  • Zaghi C., L’Italia di Napoleone dalla Cisalpina al Regno, Torino, Utet, 1986.

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