Verso la fine del III secolo a.C. i Romani iniziarono a interessarsi alla nostra regione. Una data da ricordare in tal senso è il 222 a.C., anno della battaglia di Clastidium (Casteggio, PV), nella quale i Romani sconfissero le armate galliche locali: la vittoria aprì le porte alla penetrazione di Roma nell’area transappenninica. Altrettanto importanti furono le guerre combattute e vinte contro la popolazione ligure degli Statielli (179–172 a.C.) che assicurarono ai Romani il possesso dell’area cispadana, dove furono poi create due importanti strade: la Via Postumia (148 a.C.) e la Via Fulvia (125 a.C.). Tralasciando di dare dettagli precisi sull’organizzazione amministrativa della regione, ricordiamo che il territorio piemontese, sotto Augusto, fu ripartito tra due diverse regioni: l’area in sinistra idrografica (Nord) del Po faceva parte della Regio XI Transalpina; quello in destra idrografica (Sud) della Regio IX Liguria.
Il contatto con il mondo romano fu profondo: le popolazioni preromane si lasciarono attrarre fortemente dagli usi e dai costumi dei conquistatori, tanto da farli pian piano propri. Essi abbandonarono pure la loro lingua a favore del latino (certo non repentinamente: si è trattato di un lungo processo). La latinizzazione fu favorita dal crearsi di insediamenti e dalla ripartizione dell’ager publicus conquistato tra i veterani dell’esercito.
Cosa successe al paesaggio linguistico del Piemonte? Abbiamo già accennato a come i Romani impararono dalle popolazioni autoctone diversi nomi di luoghi (soprattutto di corsi d’acqua e di cime montuose); essi furono latinizzati e continuarono ad essere impiegati. Altri luoghi videro affiancarsi al nome prelatino un elemento latino: vedremo in seguito i nomi di alcune città. In molti altri casi, l’amministrazione romana e la romanizzazione furono creatrici di spazi, e di conseguenza di nomi che riflettono l’adozione degli usi e dei costumi da parte della stragrande maggioranza della popolazione: importanti sono i nomi legati alla centuriazione del territorio, all’assegnazione di terre ai veterani e quelli nati dallo sviluppo della rete stradale.
Per i toponimi che presenteremo in seguito valgono le stesse precauzioni che abbiamo già formulato nei capitoli precedenti. In primo luogo, un etimo latino non è indizio sicuro di un toponimo di età romana: può benissimo essere una creazione medievale da una parola latina ancora in uso (il latino perdurò come lingua di cultura) oppure da una voce piemontese derivata da quello stesso etimo. Consideriamo, ad esempio, il toponimo Pontecurone (AL): si tratta di un nome costituito da un elemento latino, pontem ‘ponte’ e dal nome di un fiume, Curone (a sua volta derivato dal nome romano Curio), sufficientemente trasparente. Il fatto che l’etimo dei suoi costituenti sia latino non basta assolutamente a dirci che il centro nominato risalga all’età romana: potrebbe benissimo essersi formato nel Medioevo, a partire da una voce romanza coetimologica (pi. punt) o dalla voce latina, per trafila amministrativa. Le tracce archeologiche (la pianta rettangolare e le vie rettilinee) sono elementi ben più eloquenti della sua romanità. Se nel nome di luogo si è fissata una voce latina che non è passata alle lingue romanze è ben più probabile che il nome e il luogo che denominano risalgano all’età romana: ciò significherebbe che il toponimo sia stato imposto prima che la voce uscisse dall’uso, vedremo alcuni esempi. Possiamo infine classificare con certezza come di età romana quei toponimi citati nelle fonti antiche. Altra precauzione è che alcune etimologie sono ancora oggetto di discussione dalla comunità scientifica… ma è ora di passare ai toponimi!
Risale almeno alla metà del II secolo a.C. la fondazione di diverse città nel Piemonte meridionale: iniziamo con Hasta, oggi Asti: il suo nome va probabilmente collegato all’asta, strumento che indicava il luogo in cui i Romani organizzavano le vendite pubbliche dei beni confiscati ai nemici sconfitti. Per il capoluogo astigiano sono state avanzate anche altre proposte etimologiche, tra cui un etimo ligure *ast- che significherebbe ‘altura’. Altri insediamenti sorti nella Regio IX sono Valentia, odierna Valenza (AL), e Pollentia, odierna Pollenzo, frazione di Bra (CN); in questo caso siamo di fronte a nomi augurali: chiamando i nuovi centri Valentia e Pollentia, si augurava loro di essere valorosi e ricchi. Altri nomi augurali furono aggiunti a centri preesistenti: è il caso di Carreum, odierna Chieri (TO), a cui fu aggiunto l’appellativo di Potentia (la potente) e di Bodincomagus, a cui fu aggiunto l’appellativo Industria (ora il centro non esiste più: restano gli scavi presso Monteu da Po, TO). Nel luogo dell’antica capitale degli Statielli, Caristum, fu fondata Aquae Statiellae, oggi Acqui Terme (AL): il nome latino richiamava la presenza di acque termali e quello della popolazione autoctona.
Altri centri trassero il loro nome da quello di imperatori e generali. In Regio IX ricordiamo Forum Fulvii, odierna Villa del Foro, frazione di Alessandria, che prende il nome da M. Fulvio Flacco, console vittorioso contro gli Statielli (a lui si deve anche il nome della Via Fulvia); Alba Pompeia, nome assunto dopo l’89 a.C. dall’odierna Alba (CN), in onore del console Gneo Pompeo Magno che promulgò una legge per estendere la cittadinanza romana alla Gallia Cisalpina (il primo elemento invece è di origine preromana e va confrontato con Albingauna, Albenga e Albintemelia, Ventimiglia); Augusta Bagiennorum, oggi Bene Vagienna (CN): il toponimo attuale reduplica il riferimento alla popolazione locale dei Bagienni, mentre il primo elemento è un chiaro tributo a Ottaviano Augusto, così come, passando in Regio XI, in Augusta Taurinorum, cioè Torino (il nome attuale risale all’etnico, cioè al nome degli abitanti della città, i Taurini, attraverso l’accusativo Taurinos).
Molti toponimi richiamano lo straordinario sistema stradale romano. Numerosi sono, in primo luogo, quei toponimi costituiti da un numerale ordinale; questi centri nacquero nei pressi di una pietra miliare, la pietra cioè che indicava a quante miglia ci si trovava dalla città importante più vicina. Tali toponimi si concentrano nelle zone più fortemente romanizzate, e sono particolarmente densi lungo la via Fulvia, la strada di collegamento tra Torino e Tortona. Sul suo tracciato tra Asti e Torino sussistono alcuni dubbi, mentre per il restante tratto un’ampia messe di toponimi conferma il tracciato: andando da Asti verso Tortona troviamo Valterza e Quarto, frazioni di Asti e Castello d’Annone (AT; ad nonum). Lungo la strada che congiunge Asti e Torino si trova il centro di Dusino (AT; < duodecimum) San Michele; esso si trovava probabilmente a pari distanza tra Asti e Chieri. Sulla strada tra Asti e Chivasso (che passa per Industria) troviamo prima Terzo, presso Casabianca, frazione di Asti, e poi Settime (AT). Sempre in Regio IX vanno ricordate Quarti, presso Pontestura (AL), in direzione di Vardacate (Casale Monferrato); Vesime (AT; < ad vigesimum lapidem), a metà strada tra Alba e Acqui Terme; lungo la stessa strada (una derivazione della via Postumia) troviamo Treiso (CN) a tre miglia da Alba e Trezzo d’Acqui (AL) a tre miglia da Acqui Terme. Quinto Bianco infine, frazione di Bra (CN), si trova sulla strada che collegava Pollenzo e Cavallermaggiore (CN). In Regio XI troviamo Quinto Vercellese (VC) sulla strada che congiungeva Vercelli e Biella; Settimo Torinese (TO), sulla strada che congiungeva Torino a Milano; Settimo Rottaro (TO), sulla strada tra Ivrea e Vercelli; Settimo Vittone (TO), sulla strada tra Ivrea e Aosta; None (TO), sulla strada tra Torino e Pinerolo.
La storia di questi centri inizia come mansiones, mutationes o stationes, aree attrezzate per lo stazionamento dei passeggeri (alloggi, bagni, officine per riparare i veicoli, taverne, stalle per i cavalli, ecc.), che poi si svilupparono in veri e propri borghi. Al primo dei termini rimandano alcuni toponimi: Masio, comune alessandrino e frazione di Aramengo (AT) e Poirino (TO); Masino borgo del comune di Caravino (TO) e località di Cassine (AL); Masone frazione di Ala di Stura (TO). Presso le strade si riscuotevano anche tributi, come la quadragesima Galliarum, una tassa imposta sulle merci in arrivo dalle Gallie; ne conserva traccia il nome di Carema (TO), dove era riscossa (forse a Dogane, località nello stesso comune).
L’ampio pantheon romano ha lasciato tracce scarsissime e molto poco sicure: sembrano rifarsi a Iovem, il cui culto era collegato alle vette alpine, Monte Giove, a Cannobio (VB) e a Premia (VB), Montegiove a Chivasso (TO), Monte Giovetto a Belangero (TO). Va detto tuttavia che persistono diversi dubbi sulla corretta interpretazione motivazionale dei toponimi: essi infatti potrebbero anche riferirsi alla presenza (medievale) di strutture gestite dagli hospitalarii dei frati del Mons Jovis (Gran San Bernardo) e del Mons Jovetus (Piccolo San Bernardo); va peraltro ricordato che l’esito di Iovem e iogum ‘giogo’ (e per estensione profilo montuoso che ricorda un giogo) tendono a confondersi: ciò ha provocato, da un lato, che alcuni rilievi dedicati a Giove siano diventati gioghi – come alcuni ipotizzano per il Roc di Jeu, nome francoprovenzale di un masso nel territorio di Usseglio (TO), su cui sono state ritrovate incisioni che fanno pensare a una dedica a Giove; dall’altro, che alcuni gioghi siano diventati dediche a Giove, nel tentativo di nobilitare la toponimia locale. Mercurago, frazione di Arona (NO), potrebbe rimandare a Mercurio, ma il suffisso -ago, che abbiamo incontrato tra i prediali di origine celtica, fa pensare a un antroponimo, più che a un teonimo. In Capanne di Marcarolo, frazione di Bosio (AL), il riferimento divino è secondario: il toponimo deriva da mercuriolum, una pila di sassi che veniva lasciata agli incroci; il nome deriva a sua volta da Mercurio, divinità preposta al commercio e agli spostamenti. Diano d’Alba (CN) potrebbe far pensare a Diana, divinità della caccia, ma rimanda invece all’aggettivo dianus ‘esposto a sud’.
Un altro indizio dell’antichità di un centro è che il suo nome risalga a una voce latina non passata alle lingue romanze: ciò significherebbe infatti che il nome sia stato importato (e ovviamente il centro nato) prima che la voce uscisse dall’uso. Tra queste possiamo ricordare: agellum ‘campo’, nel toponimo Agello, località di Casale Monferrato (AL) e forse Azeglio (TO); album ‘bianco’, presente in Qualba (< aquam albam), torrente che si immette nel Lago d’Orta e Rivalba (TO); alluvies ‘luogo soggetto ad alluvioni’, da cui il nome del torrente Olobbia, nel biellese; fibulinam ‘fabbrica di fibulae’ in Fubina, frazione di Viù (TO) e Fubine (AL); fictiliarium ‘fornace di terracotta’ in Figliere di Monterosso Grana (CN); figulinam ‘bottega del vasaio’, a cui credo si possa accostare Figino, frazione di Albera Ligure (AL; per Serra però il toponimo deriva da fageinum, ma credo sia più proficuo metterlo in relazione con Fegino in val Polcevera, per cui è appunto proposto l’etimo succitato); lucum (coetimologico del *leucos celtico visto nella scorsa puntata) in Lu, ex comune della provincia di Alessandria (ora Lu e Cuccaro); septemvir ‘funzionario dell’amministrazione delle colonie’ in Strevi (AL); vepres ‘roveto’, fitonimo a cui rimanda il toponimo Beura (attestato Vepra, a. 840), frazione di Beura-Cardezza (VB).
Quando i Romani sottomettevano una popolazione, il territorio conquistato veniva incamerato nell’ager publicus; al termine delle campagne militari esso veniva in parte distribuito tra i veterani, come premio e ricompensa per il loro servizio, in parte assegnato a coloni. Tale distribuzione era preceduta dalla centuriazione, cioè dalla ripartizione dell’ager in unità di territorio quadrate, della grandezza di due iugera ciascuna (dette appunto centurie). Alcuni toponimi richiamano queste ripartizioni: Scarmagno (TO; < ex quadrum magnum); Caravino (TO; < quadratinum) e Carrone, frazione di Strambino (TO < quadratonem), per esempio. Alle dimensioni di un fundus fa riferimento il toponimo Quattordio (AL), che per ragioni fonetiche non può essere accostato ai toponimi derivati da numerali ordinali che abbiamo visto prima (malgrado che lo stemma comunale rappresenti proprio una pietra miliare con il numero XIV); di solito però i fundi prendevano il nome dal loro proprietario (ne vedremo tra poco alcuni esempi).
La centuriazione era un’operazione compiuta dagli agrimensori; alla loro attività rimandano anche altri toponimi, che evocano oggetti da essi impiegati per indicare i confini. Tra questi, erano impiegati i contenitori per i liquidi, come tinae, butticulae, orculae: sembrano conservarne traccia nel nome il torrente Tinella, che era forse il confine tra i territori di Asti e Alba; Tina, frazione di Vestignè (TO), che prende il nome da un rio che probabilmente segnava il confine tra Ivrea e Vercelli; restando nell’eporediese il torrente Orco pare separasse la centuriazione di Torino da quella di Ivrea; ci si può forse vedere un continuatore della voce latina (di origine mediterranea) orc(ul)am, che designava un contenitore per liquidi. Buttigliera d’Asti si trovava sul confine tra la pertica di Chieri e quella di Asti; Buttigliera Alta (TO), in compenso, era sui confini delle Alpi Cozie. Ad essi si possono aggiungere Buttifinera (‘bottiglia finaria’) a Pont Canavese (TO); Buttj di Frassinetto (TO); Pignatta di Oglianico (TO) e forse il rio Tigna, a Incisa Scapaccino (AT). La romanità di queste denominazioni è molto incerta: l’espediente di indicare i confini con recipienti proseguì anche dopo l’età romana e la pratica quindi potrebbe aver favorito la nascita di nuovi toponimi in età medievale.
Parte del territorio centuriato veniva distribuito a veterani, sotto forma di fondi. Generalmente tali fondi ricevevano il nome dai loro proprietari: da uno degli elementi del nome proprio (perlopiù dal gentilizio) veniva derivato un aggettivo, di solito mediante il suffisso -anus. I toponimi così formati, detti prediali, sono una buona spia di insediamenti romani. Ne abbiamo già visti alcuni precedentemente, ora ne vedremo un paio d’altri per provincia: ad Alessandria Felizzano (Felix), e Rosignano (Rosinius); ad Asti Azzano (Aius o Agius) e Grazzano (Gratius o Gratianus); a Biella Gaglianico (Gallianus) e Vigliano (da Villius); a Cuneo Corneliano (Cornelius) e Cossano (Cottius); a Novara Gozzano (Gaudianus) e Sizzano (Sittius); a Torino Cinzano (Cincius) e Oglianico (Ollius); a Verbania Agrano (Acrius) e Arizzano (Aretius); a Vercelli Cigliano (Caelius) e Costanzana (Costantius). In alcuni casi troviamo toponimi che coincidono con un semplice elemento della formula onomastica, come Carisio (VC) dal gentilizio Carisius, al pari del derivato Caresana (VC). Non bisogna dimenticare che furono romanizzati e impiegati durante l’età romana pure suffissi di origine celtica e ligure per creare prediali e che in alcuni casi toponimi di questo tipo sono costruiti con elementi onomastici preromanzi.
Le invasioni germaniche segnano per molti l’inizio del Medioevo; nel prossimo episodio della nostra rassegna vedremo il loro contributo toponimico. Il sistema amministrativo collassò nel V secolo, decaddero città e strade, ma non andò tutto perduto. Sopravvisse, ad esempio, il latino, anche se subì importanti modifiche.
Il latino parlato continuò la sua evoluzione, allontanandosi sempre più da quell’idea di latino che ci si è fatti studiando in un liceo; il processo era già in atto da diversi secoli, la caduta dell’impero non fece altro che accelerare il processo. Esso si modificò fino a diventare la lingua romanza locale, il piemontese per quanto ci riguarda, nelle sue mille sfaccettature. I toponimi che si crearono in questa nuova lingua romanza sono generalmente considerati parti dello “strato”, perché il loro etimo è comunque latino. Essi sono molti e li affronteremo in seguito ripartendoli per sfere semantiche. Una, particolarmente interessante, riguarda i nomi che si rifanno alla vita collettiva, amministrativa dei territori rurali, che non sembrò subire brusche modifiche: di questa continuità i toponimi sarebbero una testimonianza, come sottolinea Serra (1931) in uno studio ricco di esempi e particolarmente importante. Chiudiamo quindi con alcuni toponimi derivati da una voce che appunto rappresenta un elemento di continuità tra tardoantico e medioevo, vicus ‘gruppo di case’ ‘centro abitato’: Mondovì (CN; Mons Vici) Vico Canavese (TO), Vicoforte Mondovì (CN), Vicolungo (NO), Viù (TO; ant. Vicus), Volpedo (AL; vicus pecudis). Altri nomi di luogo rimandano invece ad aggettivi derivati, che servivano a indicare i possessi del vicus: Viale (AT), Viganella, ex comune ora frazione di Borgomezzavalle (VB) e il torrente Viana, nel canavese.
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